Calabria: la rabbia è tanta ora può succedere di tutto di Francesco Santini

Calabria: la rabbia è tanta ora può succedere di tutto I sindacati faticano a controllare la base Calabria: la rabbia è tanta ora può succedere di tutto Molti vogliono manifestazioni clamorose, come l'occupazione della ferrovia a Villa San Giovanni - L'ultrasinistra soffia sul fuoco • Braccianti agricoli occupano terre (Dal nostro inviato speciale) Catanzaro, 8 agosto. In Calabria, quest'estate, è comparso il rosso dello spray. Gli slogans dell'autonomia, tracciati in fretta dalle bombolette, si ripetono puntuali da un capo all'altro della regione. Nel centro di Catanzaro, accanto al collocamento, tempestano la piazza. «Lavoro stabile e sicuro», dicono sino all'ossessione e su un muraglione di Gioia Tauro c'è la stella a cinque punte e accanto: «O Centro o morte». «P.38, P.38», hanno scritto al porticciolo di Scilla e appena più su, nei tornanti di Bagnare, la sigla dei Nap imbratta le case basse. Guerriglia? A evocare il fantasma della guerriglia non è l'extrasinistra che ha scelto la Calabria per le vacanze: sono quei giovani meridionali che la primavera scorsa erano a Bologna, a Roma e a Padova, nelle università bloccate dai fuochi dell'autonomia. Sono rientrati a casa. In autunno andranno di nuovo al Nord: nell'attesa, alimentano la rabbia del Mezzogiorno e sconsigliano l'iscrizione nelle liste speciali del preavviamento. Alla vigilia dell'ormai atteso 11 agosto, degli ottantamila diplomati e laureati disoccupati di tutta la Calabria, soltanto in tredicimila si sono presentati agli sportelli degli uffici del lavoro. Gli altri hanno disertato, non perché attratti dalle suggestioni degli ultras, ma «per sfiducia verso lo Stato» dice, a Reggio Calabria, il giovane assessore al Bilancio, Lodovico Ligato, primo eletto nella lista democristiana per la Regione. L'extrasinistra si impegna nel proselitismo. Usa richiami che qui non si ascoltano, ma Franco Ambrogio, segretario regionale del pei, teme la «saldatura» tra università e Meridione. Al pei conoscono i nomi degli ultras che in autunno riprenderanno a risalire verso le sedi universitarie, ma un collegamento tra violenza degli atenei e disperazione del Sud «sempre è possibile». Le conseguenze: «imprevedibili». Ambrogio lo ha detto anche a Roma: chi pensa che le zone deboli del Paese possano essere trascurate senza ripercussioni al Nord ((commette un grave errore di analisi». «Ce la faremo?», si interroga e una vena di pessimismo compare nei suoi discorsi. In questa estate caldissima. con lo spettro dell'acciaio che i dalimenta il panico e la rabbia ] nelle popolazioni delusa della opiana, l'extrasinistra si lancia ! alla conquista della regione. | iAlimenta l'incertezza, soffia j sul fuoco dell'attesa che si fa : insostenibile e una rapida esplorazione a Cosenza, a Catanzaro, a Reggio Calabria, conferma che la tensione è al limite. Negli stabilimenti della Liquichimica di Saline, sulla costa jonica, assemblee tumultuose lanciano proposte difficili da valutare. Gli operai sono senza stipendio da quattro mesi: ricorrente si fa la parola d'ordine per il blocco di Villa S. Giovanni. «Occupiamo la ferrovia — propongono —, tagliamo i collegamenti con la Sicilia». I sindacati, ancora la settimana scorsa, sono riusciti a garantire la compostezza delle reazioni meridionali, ma avvertono: «Non possiamo tenere più a lungo». E Bagnato, della Cisl, segretario provinciale a Reggio Calabria, am aamonisce: «Gli accordi politici, romani rischiano di essere I frustranti per i lavoratori». 11 margini sono strettissimi: «Abbiamo difficoltà gravi — confessa —, il rischio è di perdere il movimento». La I base spinge per iniziative ] eclatanti e l'esponente della | Cisl appare tentato: il sinda-1 cato non può essere coinvolto in una gestione stabilizzante dell'accordo di programma. «Guai se non verranno risposte serie e concrete: abbiamo sostenuto l'accordo — dice —, ma quando i lavoratori spingono per il blocco della Sicilia non possiamo sempre vestirci da pompieri, non possiamo soltanto frenare». Senza pane Occupando i binari, il rischio dell'isolamento per il movimento è certo, «ma non dobbiamo sempre e comunque sopravvalutare questo aspetto. A volte le iniziative più odiose riescono a dare il senso di drammaticità: gli operai lo sanno e vogliono usarle ». Siamo nella sede della Regione, a Catanzaro, e duecento dipendenti della Liquichimica di Reggio Calabria domandano di dare il via alla produzione, di avere i quattro mesi di stipendio arretrati che ancora non arrivano. Il sindacalista della Cisl parla con toni accorati. A interromperlo c'è Durante, del consiglio di fabbrica della «Andreae», un calzaturificio che da cinque mesi non versa un soldo ai suoi cinquecento operai. Durante si rivolge al vice presidente della Regione, il socialista Cingari: «Siamo alla vigilia di Ferragosto — grida — e abbiamo passato il Natale in fabbrica. Anche ad agosto dell'anno passato eravamo negli stabilimenti. Li abbiamo occupati, abbiamo fermato i convogli ferroviari. ! Siamo andati a Roma in corteo: quest'estate che cosa dobbiamo fare, bruciare la città?». L'uomo si siede e già un'operaia di Castrovillari grida dal fondo della saletta spoglia: «Non si può dire ai figli, aspetta poi mangi: qui si tratta di pane, di vero pane, quello fatto di grano, nient'altro». Nell'attesa di un'industria che non arriva, di un'acciaieria che si mostra una grande illusione, la Calabria riscopre la terra. Gli indicatori congiunturali del rapporto Svimez segnalano, per la prima volta in trent'anni, un'inver- sione di tendenza con l'agri- coltura che guadagna, in un anno, undicimila addetti. Dai 160 mila del '75 si è saliti a 171 mila: una percentuale del 6,9 per cento che sembra de I stinata ad aumentare, mentre ] un fenomeno si consolida. E' | quello dell'occupazione delle 1 terre incolte. Così, andando ad Est, sul versante reggino dello Jonio, verso Catanzaro e il continente e, tornando all'interno, verso Cosenza, accanto al cimitero delle piccole aziende fallite, degli oleifici dell'ente Sila che vanno in rovina e mai furono usati, i cartelli e i picchetti punteggiano le terre, delineano i campi. Le occupazioni, nel ricordo di una vocazione antica, assumono gli aspetti di una grande sagra. Cortei di giovani e braccianti, in massa sulle sterpaglie dei latifondisti, degli agrari che qui ancora resistono. Portano zappe, vanghe, bandiere rosse, cartelli e paletti. A guidarli è la Federbraccianti. Il clima è diverso da quello di trent'anni fa, del primo dopoguerra quando migliaia di senzaterra dettero il via alle occupazioni. Allora i braccianti di Melissa, sul terreno incolto dei baroni Berlingeri, trovarono la polizia pronta a sparare. Oggi, nessun ostacolo, nessun militare a presidiare le terre. Così, dopo la requisizione del fondo del barone Susanna, a Ciro Marina, altre ne sono seguite. A Nocera Ticinese, a S. Giorgio Morgeto, a Trionfo. Il partito comunista appoggia il movimento e Ambrogio di¬ ce: «Un esperimento, forse una prospettiva per riscoprire valori nuovi, verso l'agricoltura che molto può dare». Ma le nuove cooperative hanno bisogno di mezzi: «Non possiamo lasciare i giovani a lavorare i campi con le zappe», e già si pensa agli stanziamenti della legge per il preavviamento. Allarmati, gli agrari si affrettano a ordinare qualche piccola opera. Una speranza E' una speranza, sembra l'unica, nella desolazione antica della Calabria che vive ore drammatiche, dimenticata dal resto del Paese. I problemi si sommano. La criminalità, dopo un periodo di stasi, segna nuovi record: tre rapimenti ih tre settimane, mentre gli omicidi di mafia, nella provincia di Reggio sino alla piana di Gioia Tauro, sono quest'anno a ottanta. Ancora una volta la Calabria mostra il peso di tutta la sua storia, nelle grandi contraddizioni, nella violenza acuta e nelle più vaste spinte democratiche. L'accordo politico dei partiti che la governano sarà in discussione in autunno: l'impone la sostituzione del presidente Aragone che termina in consiglio il mandato. Le grandi manovre sono cominciate e, forse, proprio sulla polemica per il quinto centro siderurgico che non arriva. Ma intanto la Calabria aspetta e un ragazzetto di Gioia Tauro scrive nel suo ultimo componimento in classe che i genitori sono disperati: non hanno le settemila lire che ogni mese la mafia chiede loro perché possano coltivare un orticello. Sono indietro di sei rate e il padre, disperato, pensa di andarsene. Il ragazzo si domanda: « Ma dove, se tutti rientrano e l'emigrazione s'è chiusa?». Per lui il quinto centro siderurgico resta una speranza: «Doveva arrivare il lavoro e ci hanno lasciato la fame». E' la disperazione che monta. Oggi i fascisti non hanno più spazio. Il loro campo paramilitare di Taurianova è fallito. Mai riuscirebbero a impossessarsi della rabbia di Reggio Calabria come fecero sette anni fa. Ma oggi, come allora, una rivolta luttuosa sempre è possibile. «Aggregazioni nuove possono formarsi», ammettono i politici che mandano i giovani dei partiti a cancellare i richiami dell'extrasinistra, a coprire le scritte, a verniciare le sigle. Francesco Santini