Viaggio tra i teatri nella terra di San Francesco

Viaggio tra i teatri nella terra di San Francesco Fino al 1930 erano una quarantina, in mezzo secolo una rapida decadenza Viaggio tra i teatri nella terra di San Francesco (Nostro servizio particolare) Perugia, agosto. La Regione umbra ha ordinato il censimento dei teatri e teatrini che nell'Ottocento, ma anche prima e dopo, funzionavano nella terra di San Francesco. Sorpresa: è risultato che fino al 1930 in questa terra povera e depressa (ma con un'aristocrazia ed una borghesia colta) ce n'erano attivi una quarantina. Gli umbri, che ora si guardano dal mettere piede agli spettacoli del festival di Spoleto, erano dei veri patti del teatro. A Narni hanno ancor oggi fama di ascoltatori finissimi tanto che per fare l'Aida ed avere più spazio sfondarono la parete del teatro (ancor oggi si vedono i muri della casa di fronte). In ogni città e cittadina fiorivano rigogliose le accademie dei «palchettisti» che possedevano in condominio e gestivano il teatro cittadino. Alcuni di questi teatri erano dei veri gioielli di architettura e per pitture e ornamenti. Ahimè, la decadenza dei teatri umbri, nel giro di cinquantanni, è stata salvo che per alcuni rapida e fatale. Oggi in funzione c'è il Morlacchi di Perugia, il Caio Melisso e il Nuovo di Spoleto (grazie al Festival dei Due Mondi) mentre quelli di Orvieto, Todi e Città di Castello si aprono di rado per uno spettacolo. Cos'è rimasto degli altri? Alcuni distrutti da incendi o da manomissioni, oppure trasformati in cinematografi. La maggior parte in condizioni fatiscenti. Il teatrino di Spello dell'Accademia dei Quieti, progettato dal lorenzini che ha firmato il Comunale di Bologna e il Morlacchi di Perugia, ha il tetto che s'infradicia e sarà presto tutto distrutto se non si provvede. A Città della Pieve il tetto è già crollato, ma con una spesa di 150 milioni si può ancora recuperare il teatro. Una delizia il teatrino a M. Castello Vibio del 1808, ottanta posti a sedere, belle decorazioni nel soffitto, ma se entro un anno non s'interviene crolla tutto. A Campello sul Clitumno il teatrino settecentesco di villa Campello è ora utilizzato a magazzino. Il teatro civico di Norcia è tutto da rifare. C'informa l'arch. Bruno Salvatici che ha diretto la schedatura dei teatri umbri e organizzato mostre e dibattiti per sensibilizzare le cittadinanze al problema del recupero dei loro teatri: «Qui, se gli umbri non tornano a prendersene cura con amore, un patrimonio prezioso va perduto». Proprio ora che riappare la voglia di teatro nelle province italiche (dove magari il teatro non c'è e le compagnie recitano in piazza) lasciar andare questi gioielli umbri è un delitto. Da notare che molti hanno sale aggiunte che un tempo funzionavano come sale da ballo o da riunione e che oggi potrebbero servire per iniziative sociali e culturali. Ma — spiega l'architetto — è bene che le città si colleghino per i restauri per fare palcoscenici standard e un magazzino di attrezzature e servizi tecnici in comune, così da facilitare le compagnie di giro. I recuperabili sono undici oltre ai pochi funzionanti. A Trevi il teatro si è salvato perché vi si è installato un cinema. A Panicale una delizia di teatro del '700 è inagibile per mancanza di dispositivi di sicurezza così co- me l'altro gioiello del teatro Torti di Bevagna (la bella e antichissima città di Properzio) creato nel 1886 all'interno dello stupendo palazzo dei Consoli del '200, con i suoi tre ordini di palchetti a ringhiera, il bel sipario di Domenico Bruschi, le adiacenti sale da ballo e da giuoco affrescate dal Piervittori, il ridotto con le allegorie dello stesso Bruschi: a trenta chilometri appena da Spoleto, con un minimo di iniziativa da parte dei bevagnesi potrebbe inserirsi piacevolmente nel Festival dei Due Mondi di cui Bevagna — ora addormentata sui millenni della sua storia — potrebbe essere una degna dependance. Unico in fase di restauro è il teatro condominiale di Gubbio, che è stato espropriato. In molti di questi teatrini esistono ancora le macchine e i marchingegni antichi a cui di nuovo si volge il teatro moderno dopo le delusioni dell'automazione. Dice l'architetto: «In Svezia e in Germania si torna alla manovra manuale perché è molto più rapida di quella meccanica e permette effetti immediati». Anche al Caio Melisso di Spoleto — magnifico teatrino del '600 — i macchinisti preferiscono usare le macchine antiche. Sono congegni ingegnosissimi che consentono il cambiamento istantaneo che desta stupore: uno faceva un urlo, la gente si voltava e la scena era bell'c cambiata. A Todi si è trovata l'antica macchina del tuono e della pioggia (un grosso parallelepipedo pieno di sassolini). A Bevagna, Panicale, Ficulle c'erano una volta le filodrammatiche (a Panicale c'è ancora) che rappresentavano drammi classici o inventati: «Bisogna che rifioriscano le filodrammatiche locali, è indispensabile che il recupero di questi teatri parta dai cittadini perché diventino anche centri di vita e di risveglio culturale», afferma appassionato il giovane architetto (il quale, piuttosto di puntare sugli interventi dall'alto, vorrebbe riaffezionare le città ai loro teatri). Ai restauri provvederebbe la Coobec, una interessante cooperativa di Spoleto dove operano giovani restauratori diretti da Bruno Toscano, professore di storia dell'arte all'università di Perugia. La spesa globale non sarebbe astronomica — qualche centinaio di milioni —. Speriamo che i cittadini contribuiscano almeno in parte con offerte spontanee: è nella natura umana conservare con più cura le cose che sono costate almeno un poco. Laura Bergagna

Persone citate: Bruno Salvatici, Bruno Toscano, Campello, Laura Bergagna, Morlacchi