Com 'eravamo: i bisnonni in posa di Stefano Reggiani

Com 'eravamo: i bisnonni in posa I FRATELLI ALINARI; FOTOGRAFI, O FORSE INVENTORI Com 'eravamo: i bisnonni in posa Il loro obbiettivo ha fissato, anche per i libri di scuola di tre generazioni, personaggi, paesaggi, monumenti - L'apparente obiettività nascondeva un severo giudizio moralistico, non senza aperture ai fremiti del peccato - Ma che grandi ritrattisti (Dal nostro inviato speciale) Firenze, agosto. Sentiamo la fatica delle immagini, al Forte del Belvedere. Chissà che differenza c'è tra le fotografie dei fratelli Alinari (1852-1920), esposte da pochi giorni nelle sale e le istantanee visive che si raccolgono nel riquadro delle finestre, aperte sul piazzale erboso, alto sulla città. Sdraiate sull'erba, quasi immobili in pose delicate, coppie di giovani si tengono abbracciate e si baciano e si parlano all'orecchio, sullo sfondo dei campanili e delle cupole, nel fiato fresco di Boboli, lì sotto. Si capisce che c'è un inganno, nelle fotografie dei celebri fratelli e nei quadri spontanei del Belvedere, ma sulle prime il visitatore della mostra Alinari non ha voglia di chiarirlo, gli basta sentire la suggestione di quel confronto e lasciarsi spingere dalla gente per le sale e lungo la scala stretta che porta dal primo al secondo piano. Quanto pubblico, quanto goloso interesse per questa mostra di vecchie fotografìe, splendidamente ristampate e ingrandite, che Firenze ha allestito in omaggio alla ditta Alinari, saccheggiandone minuziosamente gli archivi. Forse gli organizzatori se l'aspettavano, noi ne siamo ancora un po' stupiti e interdetti. Da ragazzi nutrivamo una forte avversione per la firma Alinari. Tutte le illustrazioni dei libri d'arte portavano la loro dichiarazione di proprietà: ogni dipinto, ogni facciata, ogni castello erano «foto Alinari». Come se prima l'Italia non esistesse per immagini e fossero venuti loro a scoprirla, come se i dipinti, le statue, le case non fossero di tutti, ma stessero nascosti e sconosciuti in attesa del copyright fiorentino. Gli Alinari ci parevano dei predatori, dei sopraffattori, in agguato presso i monumenti celebri per dire: «Non guardare, non giudicare, non farti prospettive, l'immagine giusta è la nostra, stabiliamo noi per tutti il peso e il valore di un manufatto artistico». Ed erano foto severissime, senza dubbi, un poco sgradevoli e, ci sembrava, finte. Girando le sale del Belvedere, salendo le scale, ci viene in mente che già in quella prevenzione c'era una parte di verità, c'era l'«inganno» Alinari, che, questa mostra, aggiungendo alle fotografie artistiche quelle di uomini e di città, tende ad allargare ed arricchire con grande efficacia. Dunque, è una mostra necessaria, soprattutto per chi nutra quella vecchia uggia antialinaresca. Gli organizzatori hanno diviso le ottocento fotografie in gruppi tematici. C'è avanti tutto la storia della famiglia Alinari, con la vocazione alla fotografia, le prime immagini, le prime enormi macchine fotografiche. E poi la ricostruzione dello studio di posa, poltroncine, tendaggi, sfondi, tavolinetti, cuscini, divani. E poi le famose foto d'arte. E poi i ritratti della gente, umile o titolata, gli scorci delle città, gli interni delle fabbriche e delle botteghe. E' questa la parte che ci interessa, per completare la riflessione sui fotografi e documentare la storia dell'Italia. Il secondo Ottocento, il primo Novecento sono lì, col marchio Alinari. La buona borghesia consacrava uno stato sociale nella foto e già si manipolava da sé, prima d'essere, con fermezza, messa in posa. Le signore con l'abito lungo a balze, l'aria pensosa, il gomito poggiato al bracciolo o alla colonna, le mani eleganti in modo innaturale. Gli uomini col busto duro, un sussiego nella posizione di tre quarti, una punta di civetterìa baffuta. Le ragazze talvolta avvicinate l'una all'altra in una repugnanza casta dei volti, i merletti a confronto, magari le mani strette. E i bambini, biricchini, qualche volta nudi e fieri; e le bambine nude già con movenze un poco voluttuose, belle statuine sulle quali era consentito esercitare, per smagliatura permissiva, una rarefatta malizia. Tuttavia c'è anche la signorina Gallinetti che la didascalia in catalogo non nomina e lascia nel vago, perché si presume che non fosse di specchiata virtù. Sta sdraiata sul divanetto con una faccia proterva, la scollatura profonda, una mano che regge un libro aperto, l'altra abbandonata in grembo, una gamba distesa, l'altra leggermente piegata in alto. Il fatto è che la gonna è tutta scivolata da una parte e si vedono le eleganti mutandine rimboccate al ginocchio. Gli Alinari la registrano con l'apparente impassibilità che mettono nel ritrarre i lavoratori. I commessi della famosa pasticceria stanno in posa come ufficiali, gli operai della fabbrica aeronautica sono allineati ai banchi come per una gara, le allieve di dattilografia si affollano come infermiere, i frati della farmacia conventuale nascondono le ricette dietro un viso rannuvolato e perfino le suore di Nevers non sono allegre. Ma perché dovrebbero essere allegre? E possono ridere i bambini del brefotrofio costretti al bagno nella vasca lucida e ostile? E i pescatori della Spezia possono fare altro che mimare i loro gesti? Qui si rivela la duplice anima degli Alinari, il loro inganno e la loro lealtà. Essi non volevano il ritratto soltanto bello, ma la foto didattica: volevano dare informa¬ zioni, sull'arte, sulla gente, sulle città. E tuttavia all'intento didattico si sovrapponeva il loro personale sentimento che era frigido, duro, punitivo; qualche volta, senza che se accorgessero, impietoso e sarcastico. La cura formale della fotografia, i toni, la composizione erano anche una prevaricazione, il livellamento a uno stile unico, eccellente e insidioso. Forse pensavano a un Paese di arte nemica e remota, sufficiente a se stessa; a una borghesia tronfia e dileggiata; a un popolo di tristi e volonterose comparse; a una tecnica utile e indifferente. O forse l'Italia era davvero così, né meglio né peggio, una nazione nascente frantumata in immagini altezzose o servili. O forse no, sicuramente no, pensa il visitato¬ re; l'Italia magari era peggiore, ma questo degli Alinari è un paese reinventato con una bravura e una crudeltà incredibili. D'altra parte, come si fa a saperlo? L'immagine dell'Italia l'hanno fatta loro. Il visitatore esce sul piazzale e, dopo aver indagato l'inganno dei fratelli Alinari, trova l'inganno delle immagini reali, l'armonia delle coppie, la suggestione del fondale, il chiacchierare sereno dei turisti. Il confronto lo seduce di nuovo, ma solo come una provocazione. La bellezza dei nostri gesti, la luce delle persone in certi momenti sono legittime perché precarie e consapevoli. Una piccola vendetta del Paese immaginario contro quello reale. Stefano Reggiani Una bambina con il cane Ragazza in abito da sera Vittorio Emanuele II

Luoghi citati: Firenze, Italia