Dietro le cifre dei giovani senza lavoro di Giuseppe Galasso

Dietro le cifre dei giovani senza lavoro Dietro le cifre dei giovani senza lavoro All'indagine condotta dall'Istituto Centrale di Statistica nell'aprile scorso le persone aventi una occupazione ascesero a 20.184.000; quelli che cercavano un'occupazione ascesero a 1.432.000. Il dato dovrebbe essere confortante. E' vero, infatti, che fra gli occupati furono calcolate anche 949.000 persone che risultavano al lavoro nel momento dell'indagine, ma non potevano essere considerate stabilmente occupate in quanto denunciavano la loro occupazione come parziale e casuale. Questa è, però, una frazione dell'occupazione che può essere considerata costante o almeno ricorrente in un mercato del lavoro quale è quello italiano. Resla il fatto che, sul totale delle persone contate dalla rilevazione di aprile, la percentuale dei non occupati era del 6,62 per cento. Il che, per un momento di forte crisi dell'economia nazionale e per un paese contraddistinto tradizionalmente da una pesante quota di manodopera inattiva, non è male. Alla stessa indagine dell'aprile su un totale di 1.432.000 persone in cerca di lavoro, i giovani in età da 14 a 29 anni risultarono 1.048.000, ossia il 73 per cento. Anche questo potrebbe essere un dato di sdrammatizzazione delle opinioni correnti sul lavoro nel nostro Paese, se potesse significare che la disoccupazione è soprattutto giovanile, ma che poi, in età ancora verde, il lavoro si finisce col trovarlo, sicché nelle classi più adulte la percentuale degli inoccupati si riduce a molto, molto meno, e si contiene in limiti quasi fisiologici per una economia di mercato. Ma per accettare questa interpretazione dovremmo dimenticarci del fatto che alla rilevazione non risultavano, e non potevano risultare, coloro che il lavoro lo hanno trovato all'estero (un milione? due milioni?) e che, se si trovassero in patria, farebbero crescere l'indice dei non occupati in maniera verticale e drammatica. E dovremmo dimenticare pure che, di quel milione e quarantottomila giovani risultati inoccupati alla rilevazione di aprile, ben 383 mila sono laureati o diplomati (addirittura il 36,54): il che dà alla nostra disoccupazione giovanile un carattere sociologico ed economico che la rende ancor più significativa e preoccupante nel contesto della vita sociale italiana. Sorprende, comunque, che alla fine di luglio i giovani che si sono fatti iscrivere nelle liste speciali di collocamento istituite dalla légge per il preavviamento al lavoro siano soltanto 293.093. ossia alquanto meno di un terzo della cifra risultata all'Istituto di Statistica in aprile. E' vero, le iscrizioni si potranno effettuare ancora per quasi un'altra decina di giorni (fino all'I 1 di questo mese). Ed è vero pure che la nozione di «giovane» della legge e quella della rilevazione possono largamente non coincidere. La differenza è, tuttavia, assai forte; ed era, inoltre, lecito pensare che l'affluenza maggiore degli iscritti a seguito di un provvedimento come quello adottato per il preavviamento al lavoro si avesse subito e che negli ultimi giorni si iscrivessero alle liste soltanto i ritardatari consueti ed i soliti più pigri. Spiegare la cosa non è facile; e, dovendosi rimandare un commento definitivo alla chiusura ultima delle liste, nel frattempo non è possibile formulare altro che ipotesi. Insufficiente pubblicità fatta alle misure disposte dalla legge sul preavviamento, di qui anche disinformazione sulle modalità stabilite per usufruirne? Il numero dei giovani in cerca di occupazione è realmente alquanto inferiore a quello indicato dalle pur raffinate e attendibili indagini dell'Istituto di Statistica? Scarso credito nei provvedimenti annunciati nei giovani che ne dovrebbero usufruire, e scarsa fiducia quindi in un'azione pubblica efficace, nonostante l'impegno concorde delle maggiori forze politiche? Maggiore fiducia e credibilità riconosciuta ai canali più tradizionali della ricerca di occupazione, da quello assolutamente individuale e privato o tecnico a quello dell'appoggio clientelistico o corporativo? Sono interrogativi spiacevoli, ma vanno posti. E prima o poi ci si dovrà anche rispondere. Ne sono implicati aspetti importanti e centrali dei problemi economici e sociali del nostro Paese. Qualcosa, però, di importante e di rispondente a ciò che ci si poteva aspettare, i dati sulle iscrizioni per il preavviamento giovanile al lavoro, dicono già. Si tratta dell'aspetto più scontato, ma certo non del meno grave della disoccupazione italiana. Si tratta, cioè, della distribuzione territoriale del fenomeno e della tristemente costante prevalenza meridionale della sua consistenza. Le cifre parlano chiaro. Dei 293.093 iscritti nelle liste speciali, fino alla fine di luglio. 169.219 (il 57,74%) sono meridionali, 57.756 (il 19,70%) so¬ no del Centro e 66.118 (il 22,56 per cento) del Nord. Commenti non ne occorrono. Più sorprendente e meno scontato appare, invece, il rapporto tra maschi e femmine. Le richieste femminili per il preavviamento risultano, infatti, di 126.273 su 293.093, ossia il 43 per cento. Il fatto è, però, più sorprendente solo in apparenza. C'è la realtà della disoccupazione femminile, sempre tuttora molto più forte di quella maschile, nonostante i mutamenti di generazione, anche a livello giovanile. Nella realtà di una coscienza femminile assai più sviluppata per ciò che riguarda la possibilità di presenza della donna nella vita sociale e in tutte le relative funzioni. Rispetto alle medie dei Paesi più avanzati, l'occupazione femminile italiana è ancora bassa. I dati provvisori sulle iscrizioni per il preavviamento annunciano che la pianificazione del lavoro italiano ne dovrà tenere ampiamente conto. Infine, un ultimo dato, anch'esso non nuovo, ma più degli altri grave e preoccupante per ciò che conferma. Si tratta dell'altissima concentrazione della richiesta di lavoro giovanile in Campania. Si va, secondo i dati di fine luglio, addiritttura oltre ciò che già si sa. La Campania annovera, infatti, 76.454 iscritti nelle liste disposte dalla legge: il 45 per cento di quelli del Mezzogiorno; il 26 per cento del totale italiano; più di tutti gli iscritti del Nord in cifre assolute (76 contro 66.000). Il confronto delle cifre è schiacciante. Del resto, la recente pubblicazione dello stesso Istituto di Statistica, «Le regioni in cifre» lo conferma appieno. Con una popolazione che è all'incirca il dieci per cento di quella italiana, la Campania denuncia, per quanto riguarda il lavoro, percentuali negative doppie o triple di questa cifra. Si può lasciare questa sacca paurosa di depressione occupazionale così com'è e affidarsi allo sviluppo «naturale» dei fenomeni generali di ripresa dell'economia italiana? Non c'è assolutamente niente da dire o da fare? Non siamo in presenza di un fenomeno di degradazione civile che ha posizioni storiche e che merita un'attenzione particolare? Già altre volte è stato lanciato per la Campania un grido di allarme. Segni di risposta non se ne sono visti, né sentiti. Ma la situazione resta allarmante anche se quello che di solito viene definito il peggio, non accade; e sarebbe tempo di convincersene. Giuseppe Galasso

Luoghi citati: Campania