Lettere da Cuneo

Lettere da Cuneo Lettere da Cuneo EPPURE, Cuneo è una città che gli stolti d'Italia si divertono a svillanneggiare. Recentemente, su La Stampa del 6 giugno 1977 Sandro Doglio osservava che dire Cuneo per molti è ancora alludere alla «provincia più remota», a gente semplice e rozza. Di qualcuno che appaia un poco addormentato c'è qua e là ancora l'uso di dire che «ha fatto il militare a Cuneo» e che perciò sarebbe stato contagiato dalla tardezza locale. Ci sono cuneesi che ci ridono su, e altri magnanimi che si adeguano alla esortazione del poeta Achille Busancano, autore di un Inno a Cuneo in versi e musica: «Qual regina, da quest'Alpi / di tue glorie testimoni / coronata, tu perdoni / allo stolto schernitor». Apparsa il 25 maggio 1893 in un fascicolo de Le cento città d'Italia (supplemento mensile de // Secolo, quotidiano milanese) questa poesia aveva ancora corso a Cuneo più di venti anni dopo, e infatti me la fecero imparare a memoria nella quarta elementare della j^uola di via Barbaroux. Era un omaggio al nostro motto «Ferendo», cioè un invito a sopportare dign'i osamente anche questa avversità, la stoltezza degli altri mossa contro di noi. Però può essere penoso, ed un altro dei sindaci di Cu¬ neo che ho conosciuto, l'eccellente professor Mario Del Pozzo, mi domandava infatti un po' inquieto, e seriamente, molti anni fa: «Mi dica, lei che vive a Roma, è vero che tutti continuano a prenderci in giro?». Risposi di no e per rassicurarlo aggiunsi che chi lo avesse fatto avrebbe avuto torto, e sarebbe stato, più che per celia, per invidia e gelosia. «Ah, son contento», disse Del Pozzo tranquillizzato. Un altro dei nostri sindaci recenti, Tancredi Dotta Rosso, ammetteva obbiettivamente nel 1968: «Si può forse celiare su Cuneo con qualche arguzia montanara, poiché ciò è stato favorito dalle stesse tradizioni e dalle storielle pervenute fino a noi, ma nessuna città in Italia mi sembra in grado di dare a Cuneo delle lezioni di carattere». Storielle io non intendo raccoglierne, ma certo questa è una faccenda vecchia di secoli, perfino assurta qualche volta alla considerazione di letterati insigni. Trovo nell'epistolario di Giuseppe Baretti (a cura di Luigi Piccioni, Laterza 1936, voi. I, pag. 59) una sua lettera inviata da Cuneo nel 'uglio 1742 al conte Camillo Zampieri, illustre latinista di Imola, nella quale è scritto che «sendo io in un paese di bufoli in sembianza umana, che distinguere non sanno il jculo dalle brache (...) m'è for¬ za raccomandarmi agli amici, che nelle lettere loro mi dicano quello che invano desidererei mi fosse da que' di Cuneo detto a bocca». Perciò il Baretti pregava il conte amico di tenerlo al corrente sui fatti e i casi della società erudita italiana, al fine «di alleviarmi in parte di quella noia che provo nel vedermi costretto usare con questi asini», noi cuneesi. Insisteva il 26 gennaio 1743 (op. cit., pag. 66) con il prevosto di Trino Vercellese, Andrea Irico: «Io sono stracco morto di stare in questo... paese, l'aria di cui nulla affatto si confà colla mia complessione, e meno ancora i costumi e i modi della gente». Ho una mia idea sui motivi della insoddisfazione, o allergia, di Baretti nei riguardi dei cuneesi. Era venuto fra noi il 1" luglio 1742 in qualità di economo per i lavori alle nuove fortificazioni della città, esposta alla minaccia di francesi e spagnoli durante la guerra per la successione d'Austria. Il suo impiego era buono («per riguardo dell'interesse mi è molto vantaggioso») e non lo teneva occupato che «poche ore... appena due giorni la settimana», essenzialmente consistendo nel retribuire puntualmente ingegneri, muratori e manovali con un fondo che gli era stato messo a disposizione. Col tempo bello, ogni mattina faceva la sua passeggiata sui bastioni, lun¬ go belvedere delle Alpi dalla parte della Bisalta. Però, per quanto sistemato con tutta convenienza, Baretti a Cuneo si sentiva a disagio per l'aria di guerra che vi tirava. Correva la voce che ventitremila spagnoli, o «miche- letti», che erano bande di soldati dei Pirenei non meno for- 1 lettuali scarsamente vocati midabili dei lanzichenecchi tedeschi di due secoli prima, fossero attendati presso Nizza e già sul punto di muovere alla volta del passo al Col di Tenda. La psicosi pesava: un giorno fu arrestato un povero frate questuante che su un taccuino si annotava le elemosine ricevute: lo avevano sospettato di essere una spia intenta a rilevare i piani delle fortificazioni. Baretti, uno di quegli intelai Il leggendario barone Federico Guglielmo Leutrum (Baròn Il leggendario barone Federico Guglielmo Leutrum (Baròn Litròn della canzone), eroe dell'assedio dì Cuneo nel 1744