Deputati dc senza partito di Mimmo Candito

Deputati dc senza partito UNA SORPRESA ALLE CORTES SPAGNOLE DOPO FRANCO Deputati dc senza partito Una cinquantina di democristiani seggono in Parlamento, ma eletti su liste regionali o di altri gruppi - i due partiti de non hanno ottenuto nessun rappresentante; persino i "padri della democrazia", Gii Robles e Ruiz Gimenez, sono rimasti esclusi (Dal nostro inviato speciale) Madrid, luglio. Nel palazzo delle Cortes i lavori sono quasi terminati. La nuova democrazia ha adattato in qualche modo le aule e gli scanni del vecchio regime, si riprende a far politica. C'è un governo nato da un voto popolare, il « motorista » che dal Pardo portava ai ministri gli ordini di licenziamento è ormai in pensione. I busti di José Antonio e i ritratti di Franco sono finiti nell'archivio sotterraneo del Parlamento, un decreto legge ha cancellato le flechas del Movimiento. La nuova Spagna somiglia abbastanza al progetto politico immaginato durante i venti mesi della transizione. Mostra soltanto due differenze. Ogni onesto programma di fiction politica illustrava la prima riunione del Parlamento democratico con l'immagine dell'emiciclo diviso in tre fette di dimensioni diverse: a sinistra lo spicchio rojo, con una costante socialista e una variabile comunista; poi il centro, dominato da un blocco maggioritario de, onnivoro fino a divorare gli spazi intermedi sui due lati; e una larga area di franchisti irriducibili, ammassati su tutto il settore destro. Venerdì 22, ad ascoltare il discorso inaugurale del re Juan Carlos, non ci saranno invece né franchisti in camicia azul né deputati di un partito democristiano. Il successo elettorale dell'Union di Sudrez, continuista e riformista nello stesso tempo, ha consumato le speranze della destra e le certezze di quanti fanno politica nel nome di Cristo. Rinviamo il discorso sul fallimento di Blas Piriar e Fraga Iribarne. Sembra assai più sorprendente che la democrazia nata il 15 giugno faccia a meno dei democristiani. La loro lista ufficiale, di color giallo, con la sigla Fdc, non è riuscita a portare al Congresso nemmeno ì due padri della democrazia Ruiz Gimenez e Gii Robles. La « santa Spagna » dei re cattolici e della Chiesa di regime appare ridotta a poche migliaia di voti. Gli ultimi sondaggi avevano attribuito alla Fdc una quota di adesioni tra il 5 e il 10 per cento; nel meeting di chiusura della campagna elettorale, davanti a uno Zaccagnini che portava il riconoscimento d'un partito di governo succeduto a una dittatura, Ruiz Gimenez aveva dichiarato di contare sulla conquista d'una cinquantina di seggi. La notte del 15, nella lunga attesa di voti che non arrivavano, appariva smarrito. Increduli, gli telefonavano anche dall'Italia gli uomini di Piazza del Gesù: le notizie che davano alla de meno dell'I per cento sembravano inattendibili, forse manipolate. Il risultato finale è stato di 246.355 schede, pari all'I,35 per cento dei votanti. Le notizie avevano dato un trend corretto, l'Union de Centro non aveva lasciato spazio per un'altra opzione moderata. Tra i 350 deputati e i 248 senatori delle nuove Cortes ci saranno, comunque, alcuni «democristiani»: i 12 baschi e i 2 catalani dei gruppi regionalisti de (affiliati aH'Equipo di Ruiz Gimenez, anche se autonomi), i 5 senatori designati in coalizioni locali miste, i 29 candidati del Pdc di Alvarez de Miranda eletti nelle liste dell'Union de Centro. Sono 48 parlamentari (49 se si aggiunge Federico Silva, eletto nel partito di Fraga ma autoproclamatosi da sempre democristiano): quasi i cinquanta che aveva previsto Ruiz Gimenez. Ma nessuno di loro è un parlamentare del « vero » partito cristiano, dietro ciascuno ci sono altre scelte polìtiche e altre sigle. Rivali "centristi" La de si era presentata a queste elezioni divisa in due frazioni e in alcune sottofrazioni. La parte principale sembrava dovesse essere la Federación Demócrata Cristiana, nata dall'unione del partito di Ruiz Gimenez e di quello del vecchio Gii Robles: capilista erano i due massimi leaders del cattolicesimo politico, aveva il sigillo d'un riconoscimento in esclusiva da parte dell'Unione mondiale della democrazia cristiana. Un ruolo marginale veniva assegnato al Partido Demócrata Cristiano di Alvarez de Miranda: semisconosciuto fino a pochi mesi fa, l'ex vice di Ruiz Gimenez aveva mollato il suo leader perché non ne approvava la politica di « dialogo aperto » con i comunisti, ed era confluito nel grande calderone centrista dominato da Suàrez. L'Union de Centro e la Fe¬ deración de esprimevano valori, ideologie, programmi politici assai simili. Si rivolgevano entrambe a un elettorato piccolo o medio borghese, tendevano a raccogliere la leadership del Paese nel progetto d'una continuità che portasse la democrazia sapendo evitare i pericoli di una rottura con il passato. Un avanti al centro senza avventure. La fusione tra le due forze appariva abbastanza logica, il pragmatismo dell'Union e la ricchezza ideologica della Fdc avrebbero espresso un blocco elettorale di forte attrazione. Sudrez fece proposte concrete, sembrava disponibile ad affidare a Ruiz Gimenez la leadership dell'Union de Centro conservando per sé il ruolo-guida della strategia politica, senza lasciarsi coinvolgere dai rischi e dalle « miserie » della battaglia elettorale. Fu Gii Robles a bloccare l'operazione, con una sorta dì ricatto nei confronti di Ruiz Gimenez. La sua intransigenza — che rifiutava le troppe compromissioni con il franchismo che s'imponevano a chi saliva sul carro di Sudrez — sembrava ossessionata da un desiderio moralistico di purezza vendicatrice. Lo storia personale travolgeva la lucidità del vecchio politico, la certezza di perdere una quota di seggi parlamentari veniva scontata in un disegno a lungo termine, che avrebbe fatto della de « non compromessa » il ponte necessario per ogni governo futuro. Così ciascuno se n'è andato per la propria strada: Sudrez ha occupato tutto il terreno politico dell'area moderata (utilizzando anche una copertura « de » con lo inserimento, nella stia lista, di uomini di Alvarez de Mi¬ randa) e il partito democristiano è rimasto schiacciato tra i due grandi blocchi suarista e socialista, finendo per impedirsi anche la possibilità di mettere in atto l'ambizioso programma di Gii Robles. La Spagna, che guardava all'Italia o alla Germania Federale, il 15 giugno si è trovata ad aver scelto il modello francese. Scelta mancata Xavier Tusell, 31 anni, docente a Madrid, il più brillante degli storici cattolici spagnoli, dice: « Il disastro elettorale è colpa dei dirigenti del partito, ma comunque era tanto evitabile come prevedibile. La Spagna del '77 non ha nulla a che fare con l'Europa che era appena uscita dalla seconda guerra mondiale: né la religione è vincolata alla politica, né la gerarchia ecclesiastica è disponibile a fornire sostegni che possano risultarle poi controproducenti. Nella Spagna degli Anni Sessanta, auando era in auge il maritainismo questa vittoria forse sarebbe stata possibile; ma ora sembra più di moda il socialismo ». E' un giudizio simile a quello di Felipe Gonzales, il leader del partito socialista: « Nello spazio politico spagnolo bisogna lottare o dal potere — giovandosi cioè dell'apparato del potere, come ha fatto Suàrez — oppure appoggiandosi alla forza di un partito, cioè d'un apparato da opporre al potere dello Stato. La de non ha avuto né l'apparato organizzativo, né il terreno di azione politica (una destra moderata, di tipo europeo) che le è stato rubato da Suàrez. Un partito moderno non può più presentarsi come una forza confessionale, anche se solo di nome. Tanto più quando la stessa gerarchia non le dà appoggio ». A febbraio e poi ad aprile, la Conferenza episcopale aveva affermato di « non appoggiare nessun partito, nemmeno quelli che si definiscono cristiani ». Era la chiusura di un processo di rifiuto del nacionalcatolicismo avviato già da un decennio, e accentuato negli ultimi tempi della dittatura. Il risultato, probabilmente, è andato al di là delle previsioni della gerarchia. Il cardinale Tarancón oggi dice: « Abbiamo potuto vedere con soddisfazione che, forse per la prima volta in tutta la storia della Spagna, la Chiesa non è stata al centro della battaglia elettorale ». Tuttavia non è possibile una lettura di questo voto soltanto in chiave ideologica, la trasformazione d'un regime e d'una società impone un più ampio spettro d'analisi. Dice Tusell: « Il compito della democrazia cristiana sarebbe dovuto essere quello di convertire in democratici i settori provenienti dall'apatia politica, cioè raccogliere nelle sua file una gran massa del popolo spagnolo che non è stata esplicitamente antifranchista ». Secondo questo storico, la de ha finito per spostarsi assai più a sinistra del suo elettorato potenziale. Diceva Ruiz Gimenez la notte dei risultati: « Dobbiamo rivedere la nostra immagine, ma resta fermo il nostro obiettivo: essere strumento di dialogo tra il mondo del lavoro e le classi medie ». Confrontando le caratteristiche dei vari partiti, la de offriva un'immagine la più aperta: il maggior numero di donne candidate (19,3 per cento), la più alta percentuale di lavoratori dipendenti (49,3), l'età media più bassa (38 anni). Dice Tusell: « Giocavano ai quattro cantoni, la gente non capiva più chi fossero veramente i democristiani »; L'elettore moderato finiva per sentirsi più sicuro con l'Union de Centro, quello più progressista sceglieva a ragione il psoe. Diventava realtà politica una bipolarizzazione delle forze nell'area del centro-sinistra. Con la conseguente scomparsa della necessità storica dei partitiponte. C'è ancora spazio per una de? Il direttivo del partito s'è riunito in questi giorni, « con profonda umiltà » dice un comunicato. Una parte vuol liberarsi dei Gii Robles e rifondare un partito della sinistra non marxista; altri chiedono la ripresa del dialogo « costituente » con il Pdc di Alvarez de Miranda (che dall'alto dei suoi 29 parlamentari si mostra ora sdegnoso e pieno di distinguo). Qualcuno dice perfino che la de può diventare la vera forza ideologica di una Union de Centro che si liberi dei pochi parlamentari socialdemocratici eletti nelle sue file. Intanto, il governo che s'è appena formato ha tre ministri «democristiani». Il dibattito è destinato a durare quanto queste Cortes. Dice Tusell: « La de non è morta. Una buona parte dell'elettorato dell'Union sono in realtà democristiani, come molti dei deputati e senatori ch'essi hanno eletto. Tanto che, paradossalmente, il collasso della de è allo stesso tempo il suo trionfo. In Parlamento non ci sono mai state tante persone identificate con quello che oggi in Europa significa democrazia cristiana ». E' da pensare che tra De Gasperi e Giscard qualche differenza debba pure esserci, ma la transizione spagnola è appena cominciata. C'è una sola amarezza, autentica, in quanti hanno vissuto la lunga lotta dell'antifranchismo: che un uomo come Ruiz Gimenez oggi resti fuori delle Cortes. Il psoe vuol dedicargli una manifestazione pubblica di omaggio, il re sta studiando come nominarlo alla presidenza del Consiglio di Stato. Va tutto bene, ma le Cortes senza « il professore » dicono comi una democrazia a volte può essere inaiusta. Mimmo Candito Il movimento neofranchista: l'altro partito che le elezioni hanno deluso (G. Neri)