Revelli dice: Sapevo che la Fiat non avrebbe pagato il riscatto

Revelli dice: Sapevo che la Fiat non avrebbe pagato il riscatto Revelli dice: Sapevo che la Fiat non avrebbe pagato il riscatto (Dal nostro corrispondente) Parigi, 12 luglio. Luchino Revelli Beaumont, liberato ieri dopò un sequestro durato 89 giorni, ha fatto le sue prime dichiarazioni alla stampa. Provato, magro, commosso, ma lucido, il dirigente della Fiat France, ha fornito alcuni particolari sulla sua lunga detenzione spiegando serenamente ai giornalisti di non poter fornire risposte precise (per ragioni di segreto istruttorio) alle domande più insistenti circa la cifra versata dalla sua famiglia per il riscatto e circa il ruolo dell'ex diplomatico dominicano Aristy, arrestato dalla polizia francese. Revelli ha insistito comunque su due punti fermi. Primo: «Sapevo che la Fiat non avrebbe pagato il riscatto, ed ero la persona adatta per esserne cosciente dato che io stesso avevo dato istruzioni in questo senso ai miei colleghi quando ero in Argentina per evidenti ragioni di sicurezza per tutto il personale dell'azienda». Secondo: «Non penso che il mio rapimento possa essere legato alle mie passate attività di responsabile Fiat». Revelli ha anche annunciato che domani si recherà dal giudice francese per costituirsi parte civile. Quanto alle motivazioni del rapimento, Revelli ha dichiarato che gli uomini che l'hanno tenuto prigioniero per 89 giorni gli «hanno dato l'impressione di agire come militanti politici», ma molto candidamente ha detto poi «di non poter giudicare se volessero apparire tali o lo fossero». Uno dei suoi avvocati, Vittorio Chiusano, che col francese Lemaire assisteva alla conferenza stampa, ci ha poi dichiarato che questa risposta «è del tutto logica per un uomo che ha vissuto per tre mesi sotto le pressioni psicologiche dei suoi carcerieri, ma che il rapimento è certamente stato compiuto da criminali comuni che si sono atteggiati a militanti politici per rendere credibile la richiesta di un enonne riscatto, inizialmente di trenta milioni di dollari». Contemporaneamente alla conferenza stampa, unanotizia da Berna della France Presse ha riferito che (secondo un annuncio della polizia svizzera) il riscatto è stato di due milioni di dollari, ed è stato pagato a quattro uomini di origine latino-americana la sera di venerdì, in pieno centro di Ginevra, sulle rive del Rodano, non lontano dal Pont de la Machine. E' la stessa persona che l'ha pagato che ha informato oggi la polizia svizzera, rifiutando di fornire la propria identità, ma descrivendo le quattro persone. La polizia francese avrebbe ricevuto stasera una serie di informazioni utili su di esse dalla polizia svizzera. Anche nell'ambiente della polizia francese circola la voce (diffusa tra i cronisti giudiziari) circa il pagamento, di un riscatto di due milioni di dollari. I legali di Revelli, Revelli stesso, la sua famiglia, ovviamente evitano dichiarazioni sull' argomento. Revelli s'è limitato a dire che per la sua famiglia lo sforzo è stato «eccezionale». Secondo informazioni attendibili la somma versata dovrebbe collocarsi tra il milione e i due milioni di dollari. Le indagini della polizia francese non hanno comunque preso sviluppi nuovi e concreti dopo la diffusione di una fotografia d'un ricercato sudamericano, ricavata da un passaporto evidentemente falso, attirbuito al nome di M.F. Vega-Lopez, e che viene presentato ai giornali come «un membro della gang». Anche alcune intercettazioni telefoniche vengono valutate come «piste inesame». Ma stasera sono continuati gl'incontri degli avvocati Chiusano e Lemaire col giudice Franceschi, domani Revelli deporrà nuovamente in tribunale e alla polizia, perchè da questi racconti si attendono indicazioni più solide. Continua poi il mistero intorno al personaggio di Aristy, arrestato come complice, e per abuso di confidenza con la famiglia del rapito. Messo in libertà dal giudice istruttore, è stato trattenuto in carcere dalla Procura della Repubblica venerdì scorso: cioè il giorno stesso in cui sarebbe stato pagato il riscatto. Non si può escludere che in¬ torno a questo nome siano riprese le indagini. Revelli ha fatto un racconto semplice, mai drammatizzato, della sua lunga prigionia. Ha detto di avere avuto l'impressione di essere stato in una casa di campagna, «in ambienti sotterranei ». La benda sugli occhi gli è stata levata «solo a tratti nel primo mese»: poi i rapitori l'hanno sbendato, consentendogli di ascoltare la radio, di leggere i giornali, salvo le trasmissioni e gli articoli che lo riguardavano. I giornali erano francesi, inglesi, spagnoli, portoghesi. Gli sono stati dati anche dei libri: «Alcuni di letteratura russa, uno su Bakunin, alcuni sui movimenti rivoluzionari, altri sulla guerra civile spagnola». / suoi rapitori «parlavano spagnolo, francese, talvolta un sommario italiano, talvolta anche in inglese». Revelli ha detto di «non essere mai stato maltrattato fisicamente», ma che «non sono mancate penose pressioni psicologiche». Non gli è stato chiesto di fare l'autocritica, e quando il cosidetto «tribunale operaio» decise la sua condanna a morte «tre uomini incappucciati me lo vennero a dire, tornarono in seguito per comunicarmi la data dell'esecuzione, e poi le sospensioni successive». I cronisti hanno chiesto a Revelli cosa provasse in quei momenti. Molto umanamente Revelli ha risposto: «Come immaginerete, ho sofferto». Poi ha aggiunto con calma fermezza: «Mi accusavano di essere personalmente responsabile d'atti dannosi agli interessi del terzo mondo. Io ho sempre (Continua a pagina 2 in quarta colonna)

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