Uccise a martellate il figlio epilettico e ribelle e tentò di bruciarne il corpo: condannato a 18 anni

Uccise a martellate il figlio epilettico e ribelle e tentò di bruciarne il corpo: condannato a 18 anni Un dramma dell'ignoranza e della miseria nella vallata del Pellice Uccise a martellate il figlio epilettico e ribelle e tentò di bruciarne il corpo: condannato a 18 anni Il ragazzo, 17 anni, era stato allevato dai nonni ed era geloso dei fratelli cresciuti dai genitori - Si rivoltava spesso con violenza - Il padre, a uno di questi scatti, perse la testa - Era un uomo che aveva sempre lavorato come un mulo Giulio Comba, l'uomo che uccise con due martellate il figlio diciassettenne e ne bruciò il cadavere, è stato condannato a 1B anni di carcere per omicidio. Dichiarato seminfermo di mente dovrà scontare altri tre anni In una «casa di cura e custodia». Lo ha deciso ieri la corte d'assise (pres. Barbaro, giudice a latere Mitola, p.m. Moschella, cane. Ferirlo) accogliendo le richieste dell'accusa, a conclusione di un processo Incominciato quattro mesi fa. Ignoranza e miseria fanno da sfondo all'atroce delitto avvenuto nel pomeriggio del primo marzo '75 In un cascinale di Lusema San Giovanni (località Prassuit) a conclusione di un alterco tra padre e figlio. Il giovane, Renato Livio, era in cucina in casa del nonni materni con i quali viveva dall'età di un anno. «Stava sdraiato sul divano — ha spiegato la madre, Ada Benedetto, piangendo — quando la nonna gli ha chiesto di lasciarle il posto ha urlato: "Vattene vecchia, devo fare il bagno". Poi si è alzato di scatto, l'ha presa per le braccia e l'ha gettata sul divano. Ho cercato di intervenire, ma mi ha minacciato: "Ce n'è anche per te, bada"». Scenate del genere erano ormai quasi quotidiane e la donna, spaventata, andò a chiamare 11 marito perché Intervenisse. Il resto è Giulio Comba, 43 anni, a raccontarlo con frasi mozze: «Quando sono entrato in cucina l'ho rlm- proverato. Per tutta risposta si è avventato contro di me. "Ti faccio diventare nano come tutti gli altri" ha detto. Mi sono difeso. Avevo in tasca il martello e ho colpito. Ho perso la testa». Due colpi dati con forza e il giovane cadde in un lago di sangue. Il padre, in preda alla disperazione, come un automa lo trascinò fuori, forse senza rendersi completamente conto di ciò che stava facendo. Andò a prendere un fustino nel quale teneva la benzina per la «Vespa», versò il contenuto sul corpo ormai privo di vita e diede fuoco. Ora non ha più lacrime e resta immobile dietro le sbarre, oppresso dal peso terrìbile della sua colpa. Neppure la lettura della sentenza riesce a scuoterlo. Dalle deposizioni dei testimoni è emersa l'immagine di un giovane squilibrato, ricoverato due volte a Villa Cristina, soggetto a orisi epilettiche. Ha frequentato fino alla quinta elementare poi non è più andato a scuola. Di lavoro neanche parlarne. «Dormiva tutto fi oiorno — ha detto la madre — e andava a spasso la sera, con cattive compagnie. Geloso dei fratelli, li aspettava fuori casa per picchiarli». Un malato, ma nessuno pensò che avrebbe avuto bisogno di cure anziché di punizioni. Non l'ha pensato al processo, nem. meno la difesa, descrivendolo come un ragazzo «malvagio, cinico, prepotente e manesco con i parenti», gli avvocati Serafino e Gay: hanno più giustamente insistito sull'altra vittima, 11 padre: «Un uomo mansueto, un lavoratore che manteneva famiglia e suoceri con un salario di 135 mila lire al mese. Costretto a lavorare fin da bambino come garzone in una cascina, si è sempre ammazzato di lavoro. Quando usciva dalla fabbrica andava a coltivare la terra. Aveva fatto di tutto per mettere il ragazzo sulla buona strada, si era perfino rivolto ai carabinieri, ma ogni tentativo è stato inutile». In paese sono state raccolte 250 firme di solidarietà «che fanno fede — dicono 1 difensori — della rettitudine di quest'uomo». Il presidente Barbaro ha cercato di approfondire 11 quadro all'interno del quale è maturato il dramma. «Perché — ha chiesto — avevate affidato il ragazzo ai nonni?» Le ragioni sono quelle della miseria. Il padre al lavoro tutto il giorno, prima in fabbrica poi nei campi; al lavoro anche la madre per poter quadrare 11 misero bilancio familiare. Nessuno può prendersi cura di Renato Li' vlo: viene cosi affidato al nonni Nascono altri figli e 11 ragazzo continua a vivere fuori casa, si sente un escluso, anche li suo equilibrio è instabile. Una volta cresciuto non vuole più ritornare dai genitori. Questa «legittima disaffezione» della vittima è sottolineata anche dal p.m. che ha chiesto venisse negata all'Imputato l'attenuante della provocazione, sollecitata invece dal difensori. «Un giovane senza famiglia — ha detto il dottor Moschella — espulso di cosa La verità è quella di un figlio difficile, malato e trascurato». Nella precedente udienza la pubblica accusa aveva proposto per Giulio Comba 22 anni di carcere. Ieri, dopo la perìzia del prof. Umberto Signorato che ha accertato la seminfermità di mente dell'uomo, il p.m. ha chiesto 18 anni. Le corte d'assise, come si è detto, ha emesso una sentenza conforme imponendo all'Imputato tre anni di casa di cura e custodia una volta scontata la pena. Giulio Comba si è difeso davanti ai giudici: « Ho perso la testa » - Il figlio ucciso

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