Nella Sardegna degli dèi

Nella Sardegna degli dèi SOPRAVVIVONO BELLEZZE QUASI MITOLOGICHE Nella Sardegna degli dèi Sono centinaia di km di costa: bisogna impedire che gli speculatori la "valorizzino" sui modelli della Liguria e della Versilia (Dal nostro inviato speciale) Cagliari, luglio. « Gran parte delle nostre coste è ancora intatta. Il paesaggio è vergine per centinaia di chilometri », mi dice il presidente della Giunta Regionale, Pietro Soddu, nel corso di una vivace conversazione sui danni arrecati alla Sardegna dal nuovo colonialismo, quello delle società turistico-immobiliari aggiunto a quello dei petrolchimici. D'accordo, centinaia di chilometri di costa sono allo stato naturale, senza alcun segno che testimonii la presema dell'uomo come abitudine secolare. Chi si avventura sui sentieri della costa occidentale tra Buggerru e Marina di Arbus, chi percorre la litoranea deserta da Pula a Porto Teulada, ha la certezza di possedere un paesaggio preistorico. Ignora che quel patrimonio inestimabile è nelle mani di pochi, svizzeri e belgi, milanesi e olandesi, libanesi. Compiamo un rapido viaggio lungo le coste da salvare, partendo da una spiaggia a Sud di Cagliari che mi appare un simbolo perfetto della Sardegna mitologica. E' la spiaggia di Chia: sabbia veramente dorata, un lungo arco racchiuso tra due promotori e abbracciato da alte dune su cui spuntano i ginepri piegati dal maestrale. Alle spalle della spiaggia uno stagno limpido, tra ciuffi di giunchi e campi coltivati. Al centro del quadro una isoletta, raggiungibile camminando su un banco di sabbia. Sotto il promontorio di ponente è abbandonata una roulotte con le porte chiuse. All'estremità opposta della spiaggia altre roulottes e tende da campeggio, disabitate. Il rispetto della natura, intimamente legato all'ospitalità dei sardi, permette ancora tanta libertà: lasciare una casa provvisoria su una spiaggia, da un anno all'altro, nella confidenza più assoluta. «Vorreste conservare inalterata questa Sardegna per goderla in pochi, come un parco naturale al servizio del continente. Per essere più precisi, al servìzio di pochi intellettuali del continente, perché le spiagge prive di attrezzature, prive di alberghi e di residenze, sono sogni di intellettuali », mi accusa Bruno Asili, programmatore regionale e commissario dell'Esit, l'ente che ha il compito di sviluppare il turismo sull'isola. La polemica è vecchia, e nasconde un equivoco: non si tratta di congelare le coste della Sardegna come parti di una leggenda cara a minoranze sofisticate, ma di programmare forme di turismo e insediamenti che non distruggano e non utilizzino il paesaggio come materia prima della speculazione, a vantaggio di pochissimi che oltre tutto non sono sardi. Facciamo alcuni esempi, continuando il viaggio iniziato dal lido di Chia. Pochi chilometri a Sud ecco lo spettacolo grandioso della costiera da Capo Sparavento a Capo Malfatano e Capo Teulada: isole e isolette, scogliere rosse, spiagge di sabbia bianca su acque bluviola e verde smeraldo, prati e macchie aromatiche in cui si intrecciano centinaia di specie tipiche della Sardegna meridionale. Dove gli stagni comunicano col mare le immancabili vacche brune si muovono lentissime e assorte sulle lingue sabbiose. Non una costruzione per chilometri, soltanto un orrendo albergo di disegno e volumi provocatori, consentito per interessamento di un ministro non sardo tuttora in carica (così mi dicono i bene informati di Cagliari, ma non posso farne il nome per mancanza di prove). Conservare questo patrimonio eccezionale, oppure dar via libera all'industriale milanese che si prepara a invadere la costa di Teulada, a trasformare lo stagno in porto turistico per un nuovo «serraglio di ricchi»? Domande analoghe si ripetono all'isola di S. Antioco, dove i terreni sono mes¬ si in vendita con indici di fabbricabilità superiori a quelli della periferia di Torino, sulla «Costa Verde» a Nord di Carloforte, ricca di scogliere e di spiagge in parte raggiungibili soltanto a cavallo. Per ora la « Costa Verde » è intatta essendo fallita la società che ne programmava lo sfruttamento. Tra Bosa e Alghero la « Risiera del corallo» è nelle mani di imprenditori belgi. Porto Conte, la grande rada chiusa a Ovest dal solenne Capo Caccia, mostra al suo centro l'assurdo blocco di un « albergo-residence » colossale, in costruzione sulla spiaggia. Su un promontorio vicino a Capo Caccia ecco un grande albergo torreggiane e un villaggio di piccole case bianche, accurata- mente distribuite e mimetizzate, accettabili purché non si moltiplichino. Vengono offerte in vendita con la promessa di un incremento di valore annuo pari al 20-25 per cento. La vacanza accoppiata all'investimento speculativo è formula ripetuta lungo tutta la costa settentrionale. A S Untino la spiaggia della Pelosa (notissima ai patiti della Sardegna, con la sua piattaforma di sabbia candida protesa verso l'isola Piana e l'Asinara, su un mare che passa dall'azzurro più tenue al blu profondo) è ornata da cartelli che annunciano il completamento di villette attorno allo smisurato albergo « Rocca Ruja », promettendo « un moderno complesso urbanistico con centro commerciale, night a picco sul mare, spiaggia privata con cabine, impianti sportivi ». Da Marina di Sorso a Castelsardo, all'Isola Rossa, alla Costa Paradiso, si alternano per decine di chilometri spiagge ricche di pinete, scogliere, dolci insenature divise da torrenti nel cui greto fioriscono gli oleandri rosa, vigneti e campi di frumento, con parentesi di immensi spazi deserti e pascoli. Anche questo tratto di costa sarà « valorizzato » sui modelli della Riviera Ligure e della Versilia, o dei lidi laziali, come si sta facendo più a Nord nella baia di S. Reparata e attorno a S. Teresa di Gallura? Che ne sarà del fiordo verde di Porto Pozzo, già intaccato al suo ingresso? E la prof onda rientranza di Porto Pollo non avrebbe una naturale destinazione a parco, con la preziosa Isuledda saldata alle dune del litorale da un'esigua striscia di sabbia? E' sorprendente la ricchezza della Sardegna che sembra modellata dagli dei per il godimento degli uomini. La sua sorte non deve dipendere dal gusto di qualche architetto, o dalla discrezione di qualche grande consorzio immobiliare. La Regione ha i mezzi e ì poteri per intervenire. Dovrebbe darsi il piano territoriale di coordinamento, tuttora allo studio (i piani dei comprensori turistici restano intanto nei cassetti, primo quello di Italo Insolera per la Gallura). Dovrebbe far rispettare severamente la legge che vieta di costruire a meno di 150 metri dalla battigia, stroncando ogni abuso e correggendo le previsioni di esagerato sviluppo edilìzio contenute nei piani di troppi comuni. Altra possibilità: acquisire aree nelle zone strategiche e realizzare qualche modello di insediamento turistico nel rispetto dell'ambiente e della cultura isolana. E' positivo il fatto che il Piano di Rinascita preveda due miliardi per l'attrezzatura di campeggi, contro la tendenza a identificare il turismo con le seconde case. Ancora nebuloso, invece, il sistema di parchi regionali, benché il Piano di Rinascita preveda la spesa di 1 miliardo e 125 milioni per il suo avvio. Il presidente Soddu mi sembra piuttosto ottimista sul futuro delle coste sarde, pur riconoscendo che molti errori sono stati commessi e che occorre un mutamento di indirizzi. I politici dovrebbero sentirsi confortati e premuti dal nuovo atteggiamento dei sardi, non più disposti ad accettare qualsiasi iniziativa dei « continentali » sulle loro coste, un tempo considerate terra di nessuno. I sardi hanno capito, attraverso l'esperienza, che lo sfruttamento speculativo non porta sensibili benefici economici e dà modesta occupazione. Nei villaggi turistici si importa tutto, dai falegnami specializzati che arrivano da Padova al burro delle Alpi, al latte di Parma, all'acqua San Pellegrino, ai mobili della Brianza. Mi dice il presidente regionale di « Italia Nostra », Antonio Romagnino: «Oggi i nostri alleati più forti sono i sardi che hanno riscoperto il mare e rivendicano il diritto di goderlo». Ne ho prova su una deliziosa spiaggia di punta degli Asfodeli, nel golfo di Cugnana, dove alcuni operai di Olbia hanno piantato le tende per le loro famiglie occupando un pezzo di terreno appartenente a una società svizzera. « Dovranno portarci via di peso con l'aiuto dei carabinieri » affermano ben decisi. Mario Fazio