Rovigo tenace e gaudente di Francesco Rosso

Rovigo tenace e gaudente LE CITTÀ VENETE, FRA TRADIZIONI E NOVITÀ Rovigo tenace e gaudente Capoluogo del Polesine, ne divide le conquiste, le crisi, i contrasti - Dopo l'alluvione e il grande esodo del 1951, chi è rimasto vive e lavora meglio - Ma i progressi sarebbero stati maggiori senza i molti progetti falliti per gli errori e le liti dei politici (Dal nostro inviato speciale) Rovigo, 30 giugno. Le prime immagini sono da idillio, coi bei giardinetti attorno alle case basse simili ad esposizioni dì fiorai, gli uomini in piazza Vittorio Emanuele col cappello piantato dritto sul cranio come usano i buoni rurali ed un silenzio intorno che ricorda Venezia, aiutando la memoria una colonna col leone di San Marco e le casette variopinte con imposte verdi alle finestre. Un'oasi di pace, si pensa, persino le automobili scivolano senza strepito fra le strette viuzze che, ovunque, odorano di campagna. Poi tutto cambia, anche l'agreste Rovigo, città delle rose la definì Ariosto andando a inventarsi una stramba etimologia greca, si rivela una città italiana, guardinga, sospettosa, ed anche rissosa, non da impugnare coltello o pistola, ma la più subdola arma della maldicenza. Siamo in una piccola città dove tutti sanno tutto di tutti, vizi privati e virtù, pubbliche, ma è sulle virtù che sì discute maggiormente per metterle in dubbio. Rovigo è una bella placida cittadina di poco più di 50 mila abitanti, frazioni incluse, vi circola dentro un'aria intrisa di umori terragni, impregnata dall'umidità delle acque di cui è sempre troppo doviziosa, fino a soffrirne quando il Po s'arrabbia e travalica gli argini. Nelle vie centrali si affacciano lustre vetrine di negozi, soprattutto d'abbigliamento maschile, che non sfigurerebbero in una metropoli. «Vede quello?Vent'anni fa andava in giro col carretto». Mi indicano un negozio lussuoso, con prezzi milanesi. Passano esplosive figliole inguantate dai jeans. E quelle? Un sorriso, un ammicco, anche una gomitata. Che strano Veneto, penso; una breve conversazione al caffè e già li hai amici, e se gli stai insieme a conversare, a far domande, senti nella loro cadenza dialettale più il largo e beffardo accento romagnolo che non quello compunto e cantante del veneto. Romagnoli e veneti, una marca di confine, con di mezzo soltanto il Po, che nonostante la vastità ed i guai che procura, non è una bar¬ riera. Questo miscuglio di regionalità ha generato un tipo unico, il polesano, un essere che vive quasi in solitudine nella sterminata vastità del Delta, un tempo gran fornitore di storie che facevano sorridere, o inorridire, a seconda dei temperamenti. Il Polesine, si diceva, ha il più alto tasso di analfabetismo d'Italia, divide con la provincia di Ferrara il primato dei figli illegittimi, gli incesti sono la norma, Rovigo è povera almeno come Matera. Probabilmente erano fantasie dilatate già ai tempi in cui circolavano; oggi il Polesine è una provincia come tutte le altre, venete e no, coi suoi difetti ma anche con molti meriti, è forse un po' più povera delle altre province venete, ma non più misera. Il rilancio, purtroppo, è incominciato da un'immane sciagura, l'inondazione dell'autunno 1951; il Polesine fu quasi interamente sommerso, l'acqua arrivò alla periferia di Rovigo. Poi il Po rientrò negli argini sfondati, le terre asciugarono; ma c'era una realtà che non si poteva ignorare; una provincia intera distrutta, una popolazione ridotta all'indigenza, quando non alla fame. I polesani si guardarono intorno, misero in un fagotto poche cose, e partirono; Milano, Torino, Genova furono le loro destinazioni, pochi scelsero l'estero. Nel novembre del 1951, all'epoca dell'alluvione, il Polesine aveva circa 358 mila abitanti; oggi ne ha meno di 254 mila. Oltre 100 mila hanno abbandonato tutto, sono andati a rifarsi un'esistenza, come si dice quando non si hanno giustificazioni valide per non aver impedito quel dissanguamento. Oggi il Polesine sta meglio, ma è anche merito di quelle partenze, sono in meno a dividere la torta ed il reddito medio è aumentato. Non è soltanto per quello che i polesani stanno meglio, in virtù della legge speciale varata dal governo dopo il disastro, c'è stata una serie di investimenti pubblici e privati, sorretti soprattutto dal Consorzio per lo sviluppo socio-economico del Polesine; specialmente negli ultimi 8 anni, il Consorzio ha ottenuto successi rimarchevoli aumentando soprattutto i posti lavoro nell'industria, indirizzando verso produzioni selezionate l'agricoltura che sì è intensamente meccanizzata, concorrendo cioè in misura cospicua al miglioramento delle condizioni ambientali, economiche e sociali della provincia. E forse i progressi sarebbero siati ancor più notevoli se negli imprenditori privati non ci fossero stati troppi timori di esporsi impegnando capitali in una terra che, si crede, un anno sì e l'altro anche va a mollo. Ed è una stolida convinzione perché, dopo il 1951, ci sono ancora stati momenti dì paura, ma gli argini del Po hanno tenuto. « E' una colpa di voi giornalisti, mi dice Luigi Bortoluzzi, direttore del Consorzio di sviluppo, col quale converso di queste cose; la grande stampa si ricorda del Polesine solo quando ci sono sciagure, o delitti ». Non condivido l'opinione, ma sono d'accordo sul fatto che il Polesine è la provincia più fertile d'Italia, e che i polesani sono tenaci nel lavoro e leali nei rapporti con i loro simili. Però, imputare ai giornali tutti i guai del Polesine mi sembra eccessivo; purtroppo, questa regione offre sovente argomenti che interessano la stampa. Per esempio, quei tre che sono stati arrestati, poi rimessi in libertà provvisoria, per truffa allo Stato e falso ideologico; si pagavano i viaggi in America, per vacanza, coi soldi del ministero dell'Agricoltura. Si poteva ignorare un fatto così clamoroso? Qui il discorso si fa politico, e cerco di informarmi da qualcuno che sia fuori dalla mischia, ammesso che ci sia. Rovigo è la città dell'on. Antonio Bisaglia, l'amico Toni. Si dice, o si diceva: «Non muove foglia che Bisaglia non voglia». Qualcosa è cambiato anche nel Polesine, il biancofiore è stato seriamente danneggiato da falce e martello nelle elezioni dell'anno scorso, molti comuni sono passati all'amministrazione socialcomunista. Rovigo è sempre stata una provincia particolare, il cattolicissimo Veneto qui si stempera già nel rosso emiliano e nel verde edera romagnolo. La prima setta carbonara scoperta dagli austriaci avvenne a Fratta Polesine, ed il suo fondatore Fortunato Oroboni finì allo Spielberg. Giacomo Matteotti è di Fratta Polesine e guidò le prime furenti lotte contadine della regione. Socialismo e anticlericalismo avevano buone radici in questa terra. Avvenne l'alluvione, oltre 100 mila se ne andarono, ed erano in gran parte tinti di rosso. La democrazia cristiana ebbe il sopravvento elettorale, che è durato fino all'anno scorso. Poi ci sono stati alcuni intoppi; l'on. Bisaglia, delfino di Rumor, abbandonò il capo della corrente dorotea pensando di potersi affermare grande leader de nel Veneto. Incontrò molte ostilità anche nella sua regione ed ora, mi dicono, è un po' in ribasso. Con Rumor e Piccoli aveva lanciato l'idea di un'autostrada Trento, Vicenza, Rovigo; è stata bloccata da una legge che ripudia le autostrade. Aveva lanciato l'idea di Venezia Sud, una grande zona industriale alle foci del Po come alternativa alla terza zona industriale di Marghera, ed il progetto è stato chiuso in un cassetto. Ora c'è in preparazione una zona industriale attrezzata nei dintorni di Adria, ma sono disegni ancora vaghi. Ebbe poi l'idea di appoggiare la costruzione di una centrale termoelettrica nel cuore del Delta del Po, ad Isola Camerini. Vennero a Rovigo, girarono il Polesine i big democristiani del Veneto a presentare l'operazione come la panacea per tutti i mali del Polesine, lavoro e benessere per tutti con la centrale. Insorse Italia Nostra accusando: si vuole uccidere l'ultimo angolo di natura intatta d'Italia, il fumo, i vapori di zolfo, l'acqua calda della centrale uccideranno le erbe, gli alberi, i pesci, gli uccelli palustri in tutta la zona. Nessuno ascoltò, l'Enel incominciò i lavori. Dal 1973 a oggi sono già stati spesi 34 miliardi, senza molto costrutto. La spesa preventivata per la centrale era di 300 miliardi; ora si prevede che supererà i mille miliardi. «E questo per consumare il più mostruoso crimine ecologico d'Italia, mi dice Gianluigi Ceruti, battagliero presidente provinciale di Italia Nostra. Si potrebbe verificare un Vajont silenzioso, animali e uomini morirebbero per strada avvelenati dagli scarichi di zolfo ». «Non esageriamo, ribatte a distanza Luigi Bortoluzzi; i camini saranno tanto alti che i fumi di scarico si disperderanno nel cielo. E poi, qualcosa bisogna sacrificare, se vogliamo energia elettrica dobbiamo pur produrla e per produrla occorre acqua, molta acqua ». « Vadano a cercarsela altrove, proprio nel delta del Po, l'ultimo paradiso d'Italia, devono venire?», dice Ceruti. In questo dialogo devo introdurre l'on. Giuseppe Romanato, deputato al Parlamento per moltissime legislature. «Bisogna scatenare una battaglia nazionale contro la centrale di Polesine Camelia, mi dice; sarebbe lo sterminio in quel poco di mondo intatto che ci è rimasto ». Romanato, antibisagliano abbastanza scoperto, è presidente dell'Accademia dei Concordi, emerita istituzione che tiene viva la cultura in una regione prevalentemente agricola, e come politico non trascura gli aspetti economici della questione. « Dovranno produrre energia elettrica col petrolio, che costerà sempre più caro ». « E' stato un gioco politico, rincalza Ceruti; per non perdere voti, anche i socialcomunisti si sono accodati a sostenere la necessità della centrale; ora si rendono conto di aver sbagliato, ma non vogliono ammetterlo ». «E quali vantaggi economici arrecherebbe al Polesine la centrale? Occupazione, niente, pochi tecnici che verranno da fuori, dice ancora l'on. Romanato. Ma il Delta non ha bisogno di questi interventi, ha le risorse dell'agricoltura, del turismo balneare, della pesca; queste sono attività da incrementare per dare maggior benessere alle popolazioni ». Il benessere, ecco un tasto da toccare con lievità; ciò che si vede è solo apparenza o nelle parole dell'on. Romanato c'è qualche verità quando dice che nel Delta non c'è povertà? Bortoluzzi mi ha detto che in provincia ci sono circa seimila disoccupati, e non è poco se rapportati alla popolazione; ma ad Adria, a Contarina, a Porto Tolte, a Lendinara ci sono i più grandiosi dancings del Veneto, i clienti sono sempre più numerosi, ed il traffico dì auto e moto è in crescendo. Va a capire questa strana Italia, forse davvero povera, ma inguaribilmente gaudente. Francesco Rosso