Comunità al rallentatore

Comunità al rallentatore NOTIZIE MOLTO SCARNE DA BRUXELLES Comunità al rallentatore In maggio a Bruxelles non è successo nulla d'importante. La Comunità, una volta scomparsa l'agitazione fattiva suscitata dalla definizione dei prezzi agricoli, è ricaduta in una profonda sonnolenza. Due date, due week-end saltano all'occhio mentre si passa in rassegna l'agenda del mese: quello del vertice economico di Londra, il 7 e l'i maggio, in cui, come tutti sanno, la « Comunità in quanto tale » è stata bellamente ignorata, e in ogni caso non ha avuto una parte di primo piano; poi quello del 20 e 21, in cut i Ministri degli Affari Esteri dei 9 hanno incominciato ad elaborare una comune dottrina dell'allargamento. Quanto alla Commissione, ha dato l'impressione di lavorare e pensare al rallentatore, di non aver trovato una soddisfacente « velocità di crociera ». Dopo 5 mesi la macchina di Bruxelles sembra ancora in panne. Questo cattivo funzionamento si avverte all'interno stesso della Commissione: il clima, al Berlaymont, è stato raramente così teso, sono molto numerosi i funzionari che esprimono la propria esasperazione di fronte ad una riforma amministrativa il cui significato non è chiaro, e che soprattutto non finisce mai. Intere « Direzioni generali » stanno con gli occhi fissi sull'organigramma, oscillanti tra le delizie dell'intrigo e la angoscia dell'insicurezza, ma non certo in uno stato d'animo propizio alla cura dei dossier. Come spiegare questa situazione di certo nefasta? Una parte di responsabilità ce l'ha il presidente Jenkins. Venuto a Bruxelles con idee in parte inesatte su che cosa siano in realtà la Comunità e la Commissione, non ha ancora trovato un efficace stile di lavoro. Egli apparentemente si preoccupa più di « far politica » che di vivacizzare il sistema, rilanciare i suoi (.alleghi e i servizi, rivedere minutamente i dossier. Il suo ufficio si mobilita in modo eccessivo non appena un affare — come le condizioni della partecipazione del Presidente al vertice di Londra — ha un sapore politico. Pur considerando che la disputa appena rinata è abbastanza anacronistica, non è il caso di negare l'importanza del problema posto dalla rappresentanza della Comunità, e di conseguenza della Commissione, nelle riunioni di questo tipo. Ma non è certo concentrando i propri sforzi su ogni singola peripezia di questo conflitto che Jenkins consoliderà il suo credito. Questa difficoltà ad ammettere che il presidente della Commissione, per riuscire, deve essere anche un buon tecnocrate, non è però la sola spiegazione della lunghezza eccessiva di questa fase di sondaggio. Salvo alcuni casi particolari, pare non ci siano ancora grandi affinità tra i commissari. Le cose avrebbero potuto essere più veloci, i dibattiti avrebbero potuto essere organizzati con maggiore chiarezza, se i membri della commissione si riunissero in due o tre correnti politiche o ideologiche. Ma non è così. La suddivisione delle competenze, fatta al momento dell'installazione del Collegio, è così artificiale, così carica di potenziali discordie, che non favorisce certo la costituzione di una solida équipe. Il caso di Giolitti è esemplare: c'è una possibilità che sia precisata in modo concreto e accettabile, da parte sua e dei suoi colleghi, la missione di coordinamento degli strumenti finanziari che gli era stata affidata? Si potrebbero citare altri esempi di scelta: così, l'estrema confusione che caratterizza ormai l'organizzazione delle relazioni tra la Commissione e il Parlamento europeo, o anche tra la Commissione e i suoi « partners sociali ». Il quadro della situazione è tutto nero, dunque, e il mese di maggio non è servito a niente? No di certo. La Commissione, se è vero che si limita ad amministrare, talvolta lo fa con efficacia. E' notoriamente il caso della politica industriale, in cui Davignon dà l'impressione di tenere ben in mano gli affari affidatigli. Il secondo piano « anticrisi » nei confronti della siderurgia è stato lanciato in condizioni di coerenza e di serietà che fa sperare nei risultati. Dovrebbe venire varato tra breve un programma di ristrutturazione dei cantieri navali. Da parte sua, il presidente Jenkins spinge avanti poco per volta la sua idea di accrescere la capacità di prestito della Comunità, in modo tale da renderla in grado di partecipare a una politica attiva d'investimenti diretti. Questa iniziativa, combinata con una riforma dei metodi d'intervento del fondo regionale e del fondo sociale, è sicuramente interessante in un momento in cui tutti sono concordi nel ritenere che uno degli obiettivi prioritari dei pubblici poteri nei nostri Paesi deve essere la lotta contro la disoccupazione. Resta il fatto che l'operazione, per seducente che sia, non sarà comoda da mettere in pratica: in questi tempi di crisi, i Paesi più ricchi della Comunità (e in primo luogo, naturalmente, la Germania) sono disposti a fornire garanzie a prestiti comunitari sostanziosi? Jenkins e Ortoli avranno senz'altro bisogno di molta forza di persuasione per convincerli, ma l'impresa merita probabilmente d'essere tentata. Si può anche pensare che la riunione di Leeds Castle sia stata salutare. La posizione espressa dal presidente Jenkins sui problemi sollevati da un eventuale allargamento della Cee, riassumeva felicemente i sentimenti, spesso contraddittori, nutriti dai governi membri, e tracciava una linea di condotta apparentemente accettabile, per i Nove. La Commissione dovrebbe sentirsi incoraggiata ad affrettare la messa a punto di proposizioni riguardanti i « preliminari » che i governi membri sembrano decìsi a imporre all'allargamento: la riforma della regolamentazione applicabile ai Paesi agricoli mediterranei, e forse, soprattutto, la riforma delle istituzioni. In questo secondo caso, la posta in gioco è molto importante per la Commissione: se sbaglia, se si lascia sfuggire l'iniziativa corre il rischio di doverne subire le conseguenze. Philippe Lemaitre

Persone citate: Davignon, Giolitti, Jenkins, Philippe Lemaitre

Luoghi citati: Bruxelles, Germania, Londra