Questo è il dibattito

Questo è il dibattito Questo è il dibattito E si parla subito di lire. D'altra parte, in un Paese che affonda in 130.000 miliardi di debiti, dove è già difficile trovare i soldi per gli stipendi «pubblici», ancor più difficile è trattare un argomento qualsiasi senza chiedersi: «Ma i soldi ci sono?». Se poi il tema è la riforma sanitaria, megaprogetto con bilancio preventivo sui 585 miliardi e passivi consolidati per altri cinquemila, ecco che il fatto economico acquista rilevanza primaria. Fondi e costi Il professor Dughera parte a testa bassa: «I finanziamenti sono fondamentali per la credibilità stessa della riforma. Si può dire tutto quel che si vuole, ma se poi mancano i quattrini tutto resta sulla carta. Un gran bel calderone di richieste, sema mai l'impressione che ci sia qualcosa a monte. Questo progetto, a mio avviso, è denso di significati politici, ma scarno di contenuti. E' vero che la riforma è soprattutto politica, ma coinvolge noi tutti e la mia preoccupazione è che non si sìa in grado di affrontarla». Alla parola «politica» interviene Enrietti: «Io non ne farei soltanto una questione di lire. Il passaggio qualificante è quello che trasferisce le mutue al servizio sanitario nazionale. Il che non significa obbligatoriamente che debba costare di più. Ogni Regione, poi, gestirà le sue competenze come meglio crede. Noi, Regione Piemonte, ad esempio, abbiamo pronta la legge 104 sulla riorganizzazione dei servizi sanitari che è un bel salto in avanti». «Posso anche essere d'accordo che non sia solo una faccenda economica — si associa Poggiolini —. Sfruttando al meglio le risorse che ci sono, razionalizzando il tutto, si potrà uscire da questa situazione che ha dell'assurdo. Le mutue sono enti ormai in sfacelo, dobbiamo ricostruirle per ritrovare un contatto con i cittadini. Per questo, a mio parere, occorrono contratti nazionali per tutti i medici ed una maggiore partecipazione degli utenti. Non sono per l'assemblearismo ad oltranza, ma il cittadino deve poter decidere su certe cose, come la localizzazione di un ambulatorio, la sua necessità o meno, insomma, deve essere messo in grado di fornire al programmatore una traccia, una "mappa dei bisogni", lungo la quale muoversi ». «E' proprio nella sua territorialità l'importanza della riforma come momento di avvicinamento del pubblico all'assistenza e vi¬ ceversa», spiega Enrietti. Dughera appare poco convinto: «Ambulatori, ambulatori. Ma gli ambulatori ci sono, si tratta di sfruttarli al meglio. E gli ospedali? Gli ospedali sono una classica gestione manageriale e il non sapere se i soldi ci saranno, e quanti (non lo sa neppure l'assessore, a quanto sembra), costituisce una remora enorme. Per far quadrare i conti dobbiamo fare fantasie finanziarie con le banche, cose incredibili». « Se per gestione manageriale degli ospedali intendi che devono pagare il doppio del dovuto perché pagano con rette da nullatenenti, caro Dughera, permetti che ti dica che mi pare una gestione abbastanza avventurosa», obbietta Poggiolini. « Sarà anche vero — insorge Papa, che difende il suo Maria Vittoria a spada tratta — ma la colpa di chi è? Scusatemi voi due (e accenna a Poggiolini e Dughera), ma dei medici. In Inghilterra i medici ospedalizzano dal 5 al 115 per mille dei loro pazienti. Vogliamo fare un po' di conti qui in Italia? E poi dicono che gli ospedali scoppiano». «Va bene — Dughera fa at¬ to di contrizione — riconosco che noi medici abbiamo sbagliato ad osteggiare la riforma ospedaliera, in attesa di quella sanitaria. Adesso quest'ultima si innesterebbe su organismi sani». Ma Poggiolini è molto meno remissivo: «La realtà è chi fra un medico di base ed ospedale manca qualsiasi filtro. Dovrebbe esserci l'ambulatorio a verificare la necessità di un ricovero, e non c'è. Ma non è vero che, come lascia intendere Papa, i medici decidono i ricoveri senza neppure una visita». Lo scambio diventa serrato: « Oggi a decidere è solo il medico ed è assurdo che al dottore sia rimessa la possibilità di intasare o meno l'ingranaggio ospedaliero». «Proprio per questo abbiamo fatto i dipartimenti di emergenza — tenta di inserirsi Enrietti — per creare questo filtro e alleggerire gli ospedali». Ma Poggiolini non demorde: «Lei, Papa, non può dire che decide il medico. Dovrebbe sapere che è il reparto accettazione del suo ospedale a decidere se il malato entra o non entra. Che poi, per tutta una serie di ragioni morali e sociali, e chi più ne ha più ne metta, l'accettazione finisca con il prendere anche gente che malata non è, questo è un altro discorso». Le cose assurde «Già, è il discorso del medico che ormai deve sostituirsi ad altri per salvare il salvabile — Dughera all'attacco, guarda con intenzione Enrietti; — dobbiamo fare cose assurde: in ospedale ci arrivano vecchietti "parcheggiati" dai figli impazienti, handicappati da recuperare, cronici che dovrebbero trovare altre sistemazioni. E noi dobbiamo tenerceli. Ma lo sapete che devo telefonare a casa alla gente: ma guardi che c'è qui suo padre, se lo venga a prendere, non ! si vergogna di lasciarlo qui? ' Gli portano via anche i pantaloni, per essere sicuri che non se ne vada». Eppure si vedono cliniche come la Pinna Pintor che riescono a tener un malato in media otto giorni: in ospedale ci stanno dei mesi. «I dati di Pinna Pintor sono tendenziosi: lui ha malati "puri", che vanno lì, fanno la loro operazione e via, anche perché i prezzi sono tali che uno ha tutto l'interesse a starci il meno possibile. L'ospedale è gratis e diventa un ricovero». Ma gli ospedali sono anche male organizzati: basta guardare la storia delle bombe al cobalto, undici in una città come Torino (cioè troppe) ma una sola che funziona (cioè poco). «Troppi ospedali hanno dimensioni sbagliate» commenta Enrietti. «Parlate di bombe al cobalto — salta su Dughera — e al San Luigi ì malati dì polmoni non sono curati perché manca la "bomba". E allora?». «E allora gli ospedali sono tutt'altro che manageriali, come dicevo io — conclude Poggiolini — il dottore deve fare il parroco, lo psicologo, il confessore, il padre di famiglia, il padre, il figlio, il marito. E il medico quando lo fa ». A questo punto bisogna togliere il pallino ai medici, altrimenti parlano solo loro. E noi, invece, vogliamo sapere dal dottor Vitale, direttore dell'Inam, che cosa faranno le mutue dal 1° luglio in poi. «Vorrei sapere che cosa farò io. Da una parte ho un liquidatore, dall'altra la Regione, in mezzo ci sono io e tutt'attorno altre cosette varie. Questa normativa transitoria che regolamenterà la nostra sorte a partire dal 1" luglio è un pannicello caldo. Sono trentanni che siamo a disagio, siamo già nati con una legge istitutiva che era monca in partenza e si è andati avanti a forza di toppe. 10 ho fatto la tesi di laurea, nel '51, sulla riforma sanitaria. E oggi ne sento riparlare. Hanno scoperto il ticket: quando ero all'Inam in Sicilia, nel '64, volevamo farlo. Ci hanno detto no perché infastidiva i politici. Hanno voluto scardinare il sistema e ci sono riusciti: ma perché? Non era forse meglio innestare la riforma su un corpo assistenziale sano?». Si fa sentire il dottor Cauvin: «O la riforma la fanno i tecnici, e allora qualcosa può uscirne, oppure la fanno i politici. E allora ciao. C'è un'inesperienza specifica che inficia tutto. La collaborazione fra ì tecnici ed ì politici, quanto meno, è essenziale, altrimenti la riforma va a pallino. E non basta. Ci vuole una educazione sanitaria permanente: l'italiano medio non sa gestire la propria salute, va troppo dal medico, prende troppe medicine, sta troppo in ospedale. E allora ben vengano i ticket. Sulle medicine, ma anche sulle visite e sui ricoveri». Ma insomma, la colpa è solo dei politici incapaci e dei cittadini ignoranti e primitivi? La fine della scuola « Se si lascia che la gente continui a credere che tutto quel che è gratis va preso — interviene Vitale — ecco che 11 sistema scricchiola. Ci vuole una selezione di base che può fare, prima di tutti, lo stesso utente». Dughera, dal fondo: «Gli ospedali stanno facendo la fine della scuola: decreti delegati, partecipazione. Poi tutto finito, silenzio. Succederà anche in campo sanitario ». «Detto per inciso — fa Cauvin — non è vero che VInam non paga le medicine». Mentre Vitale sorride, riconoscente, Enrietti si scalda: «Se le riforme non vanno avanti è perché ci sono scontri di interesse notevoI lissimi. Non si tratta qui di cambiare i cartelli sulla porta dell'Inam, Enpas eccetera. Qui si tratta di riprogrammare tutta l'organizzazione dei servizi. E siamo sulla strada giusta. Specie qui in Piemonte». «Io continuo a non vedere soldi — fa Vitale —, con che cosa interverrete?». «Non abbiamo voluto soldi — ribatte Enrietti —, questa normativa è stata fatta in collaborazione con il ministero. Non servono soldi. Devo vedere il personale che c'è, decidere che cosa fargli fare dopo aver valutato che servizi ci sono e quali no. Quali vanno fatti subito, quali si possono rinviare. Possiamo ad esempio diversificare gli ambulatori, spostarli, unificarli. Insomma, senza spendere una lira, migliorare il servizio». «Dalla beneficenza alla programmazione...» la solita voce dal fondo. Parliamo un po' di medicine: «Il consumo è certamente elevato — dice Poggiolini —, ma cosa volete, arriva tanta gente non malata...». E voi gli date le medicine lo stesso. «E' anche un fatto psicologico — dice Dughera —: mi arriva la complessata, si confessa...». E lei le scrive l'Ansiolin. «Certo, che devo fare? Non posso mica fare il telefono amico. Se non le dò niente quella, che sta bene fisicamente ma che ha dei problemi psichici, finisce che si ammala davvero. E allora?». «Stiamo preparando un prontuario ridotto per i medicinali», avverte Poggiolini. «Gli ospedali hanno ridotto le medicine» dice Dughera. «E' vero» conferma Papa. «Io dico che ho la farmacia piena di roba che devo vendere sottocosto — brontola Cauvin — e che con un po' di attenzione i medici potrebbero evitare di avallare speculazioni ai nostri danni e ai danni delle mutue per cose inutili. Se Poggiolini mi fa un prontuario con mille nomi io dico che va bene. Ma le cose importanti sono altre due: ticket, come deterrente psicologico, brevetto, come remora commerciale. Oggi è troppo facile fare milioni producendo medicine copiate e poi si devono ben vendere, no?». «Al San Giovanni — fa Dughera — lavoriamo con 480 farmaci e va tutto bene». «Sentite un po' — fa Vitale — l'Inam, tre o quattro anni fa, aveva indicato tutta una serie di farmaci inutili, circa 2000 e un altro gruppo che, addirittura, erano dannosi. Niente, nessuno ci .fra ascoltati. Io concordo con i medici sulle difficoltà a dir di no al cliente, ma è innegabile che il consumo di certi prodotti aumenti dopo il giro del propagandista». Poggiolini, a denti stretti: «Beh, qualche volta...». Papa insiste con l'Inghilterra: «Lassù, quando esci dall'ospedale, ti danno una boccetta con le medicine, rigorosamente anonima». L'amaro a litri «Già — interviene Vitale — invece in Italia, quando l'Enpas ha liberalizzato l'amaro Giuliani ne ha visto andar via a quintali. E perché nessuno dice mai nulla delle truffe con le fustelle? Truffe per miliardi, guardate un po' l'Enpas, che cosa viene fuori adesso!». Poggiolini recita il mea culpa: « Debbo ammettere una certa disinformazione da parte del medico, che lo porta ad essere preda dei propagandisti. Ma quando volevamo ridurre i farmaci ci dissero che si mettevano in pericolo i posti di lavoro di chi li produceva. E così qualche disgraziato deve mangiarsi robe inutili, se non dannose, per permettere a un altro disgraziato come lui di conservare il posto di lavoro. Ma ditemi voi!». «E il consumismo farmaceutico dilaga», appoggia Dughera. Noi crediamo che il medico non rifiuti mai la ricetta più per paura di perdere il cliente che per altro. «Sono in pochi, a Torino, ad avere questa paura» afferma orgogliosamente Poggiolini. Vitale torna improvvisamente al tema centrale: «Ho molta paura che la riforma sia un'altra occasione per il Nord di accentuare il "gap" con il Sud. Ci saranno Regioni bravissime e Regioni cattivissime ». «I politici sono pieni di euforia — conclude Dughera sul drammatico — con il loro bel giocattolo. Ma io dico che tutto si ferma: sono le strutture che non-ci-sono!». E, su quest'accento vagamente nichilista, si chiude la nostra cosiddetta «tavola rotonda». Roma. Il ministro della Sanità, Dal Falco (telefoto) Da sinistra: Emilio Papa, Luigi Dughera, Giorgio Cauvin, Giovanni Battista Vitale, Danilo Poggiolini, Ezio Enrietti

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