Obbligati dal Codice a tradire la professione

Obbligati dal Codice a tradire la professione STAMPA SERA del lunedi Obbligati dal Codice a tradire la professione Vedere i problemi e non sapere risolverli: ecco uno dei drammi della vita politica italiana. L'acume non manca, l'intelligenza neppure, ma la volontà di fare, la capacità di realizzare dove sono? Nella migliore delle ipotesi, cioè ammettendo che non facciano completamente difetto, rimangono ingolfate dalle pastoie burocratiche, dagli eccessi dialettici, dalla tendenza al rinvio, tutti mali cronici della vita nazionale. Il guaio maggiore è che, a forza di frenarne e rimandarne la soluzione, i problemi non soltanto restano, ma si aggravano o perché si complicano o perché creano ulteriori inconvenienti. Esemplare in proposito può dirsi l'amara vicenda di cui è stata e continua ad essere protagonista Oriana Fallaci. Come & ormai noto, questa giornalista è stata condannata pochi giorni fa dal pretore di Roma a quattro mesi di reclusione ed un anno di sospensione dall'esercizio della professione per testimonianza reticente nel processo relativo alla morte di Pasolini: e ciò benché, un anno prima, il tribunale dei minorenni di Roma, giudice di quel processo, avesse ritenuto legittimo, sia pur nel contesto di una semplice ordinanza, il silenzio opposto dalla Fallaci circa la fonte di una notizia in suo possesso. Il « caso Fallaci * evidenzia in maniera clamorosa gli effetti negativi dei ritardo che si va accumulando attorno alla questione, pur da tempo posta, del segreto professionale dei giornalisti, obbligati dalla legge professionale del 1963 a tacere « sulla fonie delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di essa » ed obbligati dal codice di procedura penale del 1930 a testimoniare in ogni caso e su ogni circostanza, non essendo riconosciuto espressamente loro dallo stesso codice il diritto di astenersi dal deporre. E' un ritardo che non provoca soltanto incertezze sempre nuove sul piano generale, così da condizionare l'esercizio dell'attività giornalistica ogniqualvolta si tratti di utilizzare notizie di carattere fiduciario, e quindi di fonte riservata, ma può dar luogo, come appunto è accaduto alla Fallaci, a dolorose situazioni personali ai limiti del paradosso o dell'anacronismo. Nella sua crudezza il « caso Fallaci » dimostra che il problema non può più essere eluso e una sua radicale, ben chiara soluzione si impone a brevissima scadenza, tanto più che sono già stati sollecitati, da un lato, l'intervento della Corte costituzionale in ordine all'equivoca legisla; zione vigente (decisione della pretura di Cagliari ha sollevato la questione in data 24 marzo 1976) e. dall'altro, l'intervento del Parlamento per dar vita comunque a una normativa rinnovata (da più di una legislatura si susseguono invano i progetti e le proposte, stimolate anche dalle prese di posizione dell'Associazione dei giornalisti). Il punto di stallo e di conseguente confusione a cui si è giunti dev'essere decisamente superato anzitutto nell'interesse dei giornalisti e degli organi di stampa, radio e televisione (sono in gioco il diritto di manifestazione del pensiero nella sua effettività, con il diritto ad informarsi e il diritto di informare), con ovvio riverbero sugli interessi dell'intera collettività in quanto destinataria diretta dell'informazione. Ma il chiarimento è importante anche ai fini di un più preciso svolgimento dell'attività giurisdizionale. La magistratura ha assoluto bisogno di sapere dagli organi preposti alla creazione e al controllo dell'attività legislativa se e fino a qual punto possano essere oggi utilizzate le conoscenze dei giornalisti in ordine ai fatti oggetto di procedimento penale. Il dubbio, che è aperto dal 1963, coinvolge sia lo spazio consentito all'accertamento della verità in sede giudiziaria (riconoscendo ai giornalisti il diritto di astenersi dal deporre come riflesso dell'obbligo professionale di tacere sulla fonte delle notizie fiduciarie, l'accertamento giurisdizionale va incontro ad innegabili limiti), sia la posizione penale del giornalista-testimone (con il diritto di astensione il giornalista che rifiuta di rispondere non commette reato). I due diversi atteggiamenti adottati nei confronti della Fallaci dal tribunale minorile e dal pretore di Roma sottolineano macroscopicamente la gravità del problema, nei suoi svariati profili. In queste condizioni diventa impossibile parlare di certezza del diritto, e ciò non solo nei confronti dei giornalisti (essi potranno essere incriminati o non incriminati e, nel primo caso, condannati o non condannati per falsa testimonianza a seconda dell'opinione di questo o quel magistrato) , ma persino nei confronti dei protagonisti dei procedimenti penali in cui sia chiamato a deporre un giornalista (l'accertamento dei fatti potrà essere più o meno ampio a seconda della linea seguita da questo o quel giudice). Dedicato un ultimo cenno alla stranezza del « caso Fallaci » (la giornalista non sarebbe stata condannata se il processo per testimonianza reticente avesse potuto essere instaurato, come di solito avviene, con rito immediato davanti allo stesso tribunale chiamato a sentirla come teste: la cosa non fu possibile trattandosi di tribunale minorile, competente a giudicare soltanto i fatti commessi da minori di anni diciotto), il discorso deve spostarsi sul piano generale per un paio almeno di precisazioni fondamentali. II riconoscimento del segreto giornalistico sul piano processuale si presta a tre distinti tipi di soluzione, e non soltanto a quella più semplice consistente nel permettere al giornalista di inserire nel processo la notizia senza rivelarne nel contempo la fonte di provenienza. Vi è, infatti, posto per altre due soluzioni: il segreto giornalistico potrebbe essere equiparato o al segreto professionale degli avvocati, dei medici e dei ministri del culto (costoro non possono essere obbligati a deporre su quanto confidatogli per ragione della propria attività: quindi, o tacciono tutto o rivelano tutto) oppure al segreto di polizia (gli ufficiali ed agenti non possono essere obbligati a rivelare i nomi delle persone che hanno ad essi fornito notizie, ma in tal caso il giudice non può acquisire alcuna notizia avuta dalle persone i cui nomi non vengono manifestati) . Non bisogna, infine, dimenticare che la mancata indicazione della fonte da cui è stata ricavata una certa notizia può avere riflessi diversi a seconda che si tratti di una notizia di accusa o di difesa. Nel primo caso, se la notizia dovesse risultare falsa, il giornalista sarebbe incriminabile per diffamazione o per calunnia, nel secondo caso per favoreggiamento. Bastano eventualità del genere a garantire l'acquisizione della notizia in sede processuale senza la concomitante indicazione della fonte? Questo e il punto cruciale dell'indagine. Giovanni Conso

Persone citate: Giovanni Conso, Oriana Fallaci, Pasolini

Luoghi citati: Cagliari, Roma