Tanti autori in cerca un premio

Tanti autori in cerca un premio La febbre letteraria Tanti autori in cerca un premio I premi letterari, simili alla caccia, hanno una loro stagione di apertura. Cominciano in primavera, toccano il culmine d'estate e poi declinano in autunno. Essi stanno alla letteratura come i festival stanno alla musica. Chi ama la musica non ha bisogno del festival di San Remo per comprare un disco. Eppure i festival servono a una cosa sola: a vendere dischi, come i premi letterari servono a vendere libri, proprio ai consumatori non abituali di questo prodotto. Quante volte si è detto: adesso basta, questo è l'ultimo festival, l'anno venturo smettiamo. Ma poi le ragioni dello spettacolo hanno sempre prevalso su quelle dell'arte. C'è stato un momento, dopo il maggio del '68, in cui anche i premi letterari sono stati investiti dalla bufera contestatrice, ma è durato poco. Gli scrittori vi partecipavano con imbarazzo, adducendo d'esservi stati trascinati dalle giurie o dagli editori. Era d'obbligo la lettera di rinuncia, specie se lo scrittore era incerto della vittoria. Invece chi vinceva mandava un telegramma, spiegando con lettera a parte dove accreditare l'assegno. Guai comunque a presentarsi, guai a indossare uno smoking mentre in Vietnam ardevano le risaie. Ma le mode passano. Adesso essere in gara con un romanzo non è più il massimo della vergogna. E' solo una tradizione che continua, come Ferragosto o come la Befana, svuotata di ogni contenuto profondo come succede per tutte le tradizioni. Ma un'utilità va riconosciuta ai premi letterari: ed è che essi servono, più che a vendere romanzi, a vendere l'idea che i romanzi esistono. Quindi, a colpevolizzare chi si rifiuta di acquistare il libro anche dopo aver visto il vincitore premiato in tv. Non scandalizziamoci, dunque, se in epoca di mass-media anche la letteratura è costretta a farsi pubblicità. Lo scandalo semmai è un altro: ed è che i Premi non svolgono più (o raramente) la funzione per cui sono stati ideati, cioè quella di segnalare talenti sconosciuti. Anziché rivelare uno scrittore, si finisce per consacrare una fama. Invece di laureare un libro, si premia un nome. Ne consegue che in Italia i premi si vincono per anzianità di servizio. A volte un autore si ritrova premiato alla fine di una carriera, magari con il libro meno riuscito, dopo aver conosciuto come gregario la polvere degli arrivi in gruppo. Così un bel giorno qualcuno della giuria dice: insomma, questo qui sono vent'anni che corre, glielo vogliamo dare un premio? Ma da chi sono formate le giurie? si chiede il lettore. Sono formate da critici di mestiere (Campiello, Viareggio, Bagutta) o da amici del « giro » (Premio Strega) o da librai (Bancarella). Intorno alle giurie ruota poi la giostra degli editori, degli organizzatori, degli enti promotori e — se ne hanno — delle amicizie personali dei concorrenti. Ovviamente, se c'è in lizza un grosso nome, è fatale che il Premio punti su di lui per ottenere (o confermare) maggior popolarità alla manifestazione. E questa è la ragione principale per cui sono cosi rare le vere «scoperte» letterarie. Tanto che, in cuor suo, il Grosso Nome dice al Piccolo: — Ma tu, che vuoi, fatti da parte... Quando, semmai, dovrebbe essere il Piccolo a ribattere: — Togliti di mezzo tu, ohe sei già noto e arcinoto! Perché in verità non è solo la cifra più o meno cospicua del Premio, o il futuro incasso sulle vendite, a rendere la gara così furibonda. Direi che è piuttosto un bisogno di affermazione sociale, una sete di notorietà (implacabile anche nello scrittore famoso) visto che la società non gli concede altri ruoli. Dunque il Premio 6 un'occasione per riconoscersi, per uscire per un giorno da quella crisi di identità che lo affligge, dalle frustrazioni che accompagnato quotidianamente la sua fatica oscura. E' l'illusione che il suo nome, scandito dagli altoparlanti, echeggi più a lungo nei cuori della gente comune. E che la sua storia diventi un film di successo. Insomma che ci sia una svolta nella sua carriera e nella sua vita. Perché la vanità è in ogni scrittore di gran lunga supcriore al desiderio di denaro. Chi scrive ha conosciuto più volte l'avventura dei Premi. E' un'esperienza che può essere esaltante o miserabile, a seconda dell'esito, ma soprattutto del significato che vi attribuiamo. Certo, perdere non piace a nessuno. Ma perdere — vorrei ricordarlo a chi in questi giorni gareggia nelle «rose» e nelle «cinquine» di questa singolare lotteria — perdere irrobustisce la vocazione. Vincere è una droga, un piacevole massaggio cardiaco, ma non aiuta a scrivere più di quanto un conto in banca non aiuti uno scalatore a picco sulla parete. Invece ho veduto spesso uomini che credevo robusti disperarsi nel conteggio dei voti, spasimare davanti alle alchimie dei giurati, infine soccombere a un verdetto sfavorevole, magari promettendo sfracelli al prossimo romanzo. Ne vale la pena? dirà qualcuno. Certo, il giro degli interessi ormai è un fatto industriale, dietro il titolo di un libro lavorano interi uffici stampa, catene di giornali e periodici, ipotesi di fatturato, interviste radiofoniche, pressioni politiche, persino giochi di partito. Lo scrittore deve essere consapevole, deve prepararsi ad essere stritolato in questo ingranaggio, a perdere la pace e qualche amicizia, deve essere pronto a suscitare odii e vendette, a recriminare e a pentirsi, a minacciare e a perdonare, sottoposto lui stesso a blandizie e ricatti. Vi sono Premi crudeli, teatro di innominabili bassezze. Altri più magnanimi. Ma in tutti, il libro che abbiamo scritto penando per mesi o anni nel chiuso di una stanza, non ci sarà più dato di riconoscerlo. Esso non ci appartiene più, snaturato da una competizione che si fonda poco sui valori del testo. Questa è la rabbia degli esclusi. Ma bisogna impararlo, che è una legge della vita. Se e vero, come dice Eduardo, che gli esami non finiscono mai. Carlo Castellaneta

Persone citate: Carlo Castellaneta

Luoghi citati: Bagutta, Italia, San Remo, Viareggio, Vietnam