Vuole riparare i "danni" della Rivoluzione francese

Vuole riparare i "danni" della Rivoluzione francese Vuole riparare i "danni" della Rivoluzione francese Il piccolo scisma che monsi-1 gnor Marcel Lefebvre, crociato della, restaurazione cattolica e politica, ha di fatto compiuto è lo sbocco di una storia personale e ideologica che lo ha portato a rifiutare le aperture del Concilio e le conseguenti decisioni di Paolo VI. Lefebvre, da oggi detto scherzosamente «l'antipapa Marcel III», era chiamato da giovane nel seminario francese di Roma: «La sana doctrina pietrificata» (in tedesco «Die versteinte sana Doctrina»), per dire che già allora egli personificava un certo tipo di manicheismo. Egli nega di essere scismatico perché sostiene di rimaner fedele alla Chiesa di duemila anni fa, dalla quale si staccano invece quelli che, come il Papa e quasi tutti i vescovi dei mondo, accettano la tradizione come processo dinamico, ferme restando le verità di fede. Al di là dei bizantinismi teologici e canonici, se la parola greca «schisma» significa frattura, scissione, separazione, sarà difficile negare che il gesto di Lefebvre è uno scisma secondo la definizione del «Dizionario di teologia dommatica» (Ed. Studium), curato dai teologi tradizionalisti Parente, Piolanti e Garofalo: «Lo scisma è il delitto di chi si separa dalla Chiesa cattolica per far setta particolare sotto pretesto che quella erri o approvi disordini e abusi». E' una definizione del '57, ma sembra scritta oggi per la sfida di Econe. Prima di raccontare in sintesi la storia, precisiamo quali innovazioni conciliari siano respinte da Lefebvre e dai Iefebvriani. Essi «giocano sulla distinzione fra Concilio dommatico e Concilio pastorale», nota il gesuita Giovanni Caprile in «Le "ragioni" di mons. Lefebvre» (ed. Apes). L'ultimo Concilio, pur essendo pastorale, è vincolante soprattutto per un vescovo. Ma Lefebvre pensa che gente senza scrupoli e senza fede abbia ma. novrato nel Concilio per introdurre nella Chiesa la «peste modernista», cioè idee protestanti e liberali, le stesse della Rivoluzione francese. Così non accetta la collegialità fra Papa e vescovi perché corrisponde aW'égalité dell'89 e distrugge l'autorità di Dio, del Papa e dei vescovi; non accetta la libertà religiosa che corrisponde alla liberto di cui «il demonio si serve spesso e volentieri»: l'ecumenismo è la fraternità, secondo Lefebvre, rivolta agli «eretici» e soprattutto ai comunisti. «Con queste tre parole — scrive in «Un vescovo parla», (ed. Rusconi) — i modernisti hanno ottenuto ciò che volevano». Chi voglia essere fedele alla vera Chiesa e alla vera fede, argomenta, deve dimostrare la propria «obbedienza con un rifiuto categorico» dei principi conciliari. Precisiamo ancora: Lefebvre vuole la Messa di San Pio V (Concilio di Trento) non per amore alla tradizione o al latino, ma proprio per contrapporla, come unica Messa cattolica, alla Messa di Paolo VI che sarebbe una Messa quasi eretica nella quale è dubbia la presenza reale di Cristo e l'azione mediatrice del sacerdote è sostituita dalla comunità. Chi è questo vescovo che si atteggia a superpapa nel definire che cosa siano la fede e la Chiesa? Ha settantadue anni, è nato nel 1905 a Tourcoing, diocesi di Lilla, dove l'anno scorso officiò la sua prima «Messa-sfida», e proviene da una famiglia di industriali. Fra il 1922 e il 1929 fu allievo del Seminario Francese di Roma e seguì con fervore le idee restauratrici, monarchiche e reazionarie della «Action Francaise», il movimento di Charles Maurras, condannato noi 1926 da Pio XI. In quel seminario subì l'influenza decisiva del rettore, padre Le Floch, e del cardinale gesuita Billot, difensori a spada tratta dell'«Ac/ion Frangaise». Si formò, dunque, nell'idea centrale di cui è tuttora assertore: quella «sana doctrina pietrificata», per cui le verità di fede vanno tradotte negli Stati cattolici e difese con qualsiasi mezzo. Perciò il vescovo ribelle cita quali esempi la Spagna e il Portogallo fascisti, l'Argentina dei generali e, a suo tempo, fu sostenitore dell'Oas per l'« Algerie frangaise». Da giovane prete (fu ordinato nel '29) si oppose, in nome della «sana doctrina» ad una sottoscrizione tra i fedeli indetta dal vescovo di Lilla, Achille Lienart, poi famoso cardinale, in favore di operai scioperanti. Missionario, delegato apostolico e, infine, arcivescovo di Dakar restò lontano dall'Europa fra il '32 e il '62: lo ricordano zelante, attivo, paterno, ma anche inflessibile assertore della «Chiesa bianca», della civiltà cristiana contro l'islamismo e, soprattutto, contro il marxismo. Oggi accusa la Chiesa di aver stretto un patto con il comunismo. Durante il Concilio (1962-'65) fu animatore, con l'italiano monsignor Luigi Carli, del «Coetus Internationalis Patrum», un gruppo di pressione formato da un trecento vescovi tradizionalisti e conservatori (in teologia e anche in politica). Dimessosi nel '62 da arcivescovo di Dakar, alla nomina dell'africano Thiandoum (suo ex allievo), divenne vescovo di Tulle, in Francia, poi eletto superiore generale della Congregazione dello Spirito Santo, alla quale appartiene, grazie all'azione dei membri più conservatori (Ugo Ronfani, «La rivolta del vescovo Lefebvre», ed. Pan, pag. 48). Nel '68 si dimise dalla carica interna alla Congregazione, e uscì allo scoperto nella battaglia contro il «modernismo conciliare». Fondò in Svizzera un piccolo seminario a Friburgo, poi trasformato nella «Fraternità sacerdotale San Pio X», nel nome del Papa antimodernista, che il vescovo di Losanna Charrière, approvò per sei anni ad experimentum. Nel 70 aprì il seminario di Econe e, via via, grazie a una crescente dotazione finanziaria mai spiegata, creò altre case in Francia, negli Stati Uniti, in Italia, nel Canada. Il 29 giugno '71, nella festa di Pietro e Paolo, ordinò il primo «sacerdote all'antica»: per la storia l'inglese Denis Roch. Intanto in Vaticano si guarda con apprensione, poi con allarme all'opera di Lefebvre, sempre più anticonciliare. Nel marzo del '74 il Papa affida ai cardinali Garrone, Wright e Mayer un'inchiesta che è condotta ad Econe da monsignor Descamp e monsignor Onclin. 11 21 novembre 1974, Lefebvre lancia la sua «professione di fede» nella quale si «rifiuta di seguire Roma nelle tendenze neo-moderniste e neo-protestanti». Nel gennaio '75 è convocato a Roma per rispondere alla commissione cardinalizia che gli chiede di ritrattare «le affermazioni più gravi contenute nella sua professione di fede». Il 6 maggio monsignor Mamie, nuovo vescovo di Losanna, ritira il permesso diocesano per la «Fraternità sacerdotale», su ordine approvato da Paolo VI. La decisione era stata preceduta da un nuovo colloquio (9 marzo '75) dei cardinali Garrone, Tabera e Wright con Lefebvre, al quale rinfacciano soprattutto la disubbidienza palese al Papa. Ma egli risponde che avrebbe continuato per la sua strada, in difesa della Chiesa, della fede e del Papa stesso. Un ricorso è respinto dal Supremo tribunale della Segnatura apostolica. Poi, il 29 giugno '75, Paolo VI gli scrive la prima lettera perché si ravveda. Ma non riceve risposta. Gli scriverà altre quattro volte, sino alla lettera del 20 giugno scorso per supplicarlo a non provocare una «frattura irreparabile» (cioè uno scisma di fatto). Lefebvre ordina i «veri preti» ogni 29 giugno (che è anche la festa di Paolo VI come Papa) sinché, il 22 luglio '76, viene sospeso a divinis per impedirgli, fra l'altro, di celebrare la famosa Messa-sfida di Lilla. Ma il vescovo ribelle la celebra, proprio in una città baluardo dell'integrismo francese, e motiva la sua disubbidienza con la necessità di ubbidire «a Dio che ci ha abilitati al ministero della fede». Ciò malgrado, Paolo VI accetta l'improvvisa richiesta di udienza che Lefebvre gli presenta, in circostanze ancora non del tutto chiarite, e lo riceve a Castel Gandolfo 1*11 settembre '76. Un colloquio senza risultati, se non la pervicacia di Lefebvre e le penose polemiche su quel che vi fu detto e non detto. A metà maggio scorso i gesuiti Danhis e Duroux lo incontrarono per tre giorni in una villa sul lago di Albano per incarico del Papa. Ma Lefebvre replicò con la clamorosa sfida della conferenza nel palazzo della principessa Pallavicini (6 giugno) che divise la nobiltà romana. Il resto è cronaca di questi giorni: gli appelli di Paolo VI, sino a quello del Concistoro, caduti nel nulla, anzi respinti con lo scisma di fatto compiuto ad Econe, sempre nel segno di «die versteinte sana Doctrina», che non solo i nostalgici del latino e del gregoriano, ma soprattutto i reazionari e i fascisti fanno propria. Jean-Marie Le Pen, capo di «Ordine nuovo» francese, ha detto a Ugo Ronfani: «Quanto all'affaire Lefebvre è logico che ci interessi, visto che è un momento della lotta al comunismo che noi conduciamo». Lamberto Fumo