Economia: male al Sud migliora solo nel Nord di Natale Gilio

Economia: male al Sud migliora solo nel Nord Rapporto sul Mezzogiorno 1976 Economia: male al Sud migliora solo nel Nord Il dibattito aperto da Saraceno - De Mita e Compagna accusano i giornali nordisti di razzismo per le analisi sulle difficoltà del Meridione - Denunciata la logica di Gioia Tauro (centro siderurgico) ma anche quella di Lambrate (Innocenti) (Dal nostro inviato speciale) Napoli, 25 giugno. La «grande stampa del Nord», per usare un'espressione oggi più volte ripetuta, ha finito per essere l'imputata principale nel dibattito sullo stato dell'economia meridionale, apertosi nella splendida cornice di villa Pignatelli in occasione del «rapporto sul Mezzogiorno 1976» presentato dalla Svimez. Occasione anche della consegna del premio Napoli al professor Manlio Rossi Doria, uno dei maggiori economisti italiani e collaboratore del nostro giornale. Ciriaco De Mita, ministro per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno, e il repubblicano Francesco Compagna hanno colto l'occasione della polemica su Gioia Tauro, esplosa pesantemente in questi giorni, per lanciare una serie di avvertimenti non solo alla classe politica ed alle forze sociali, ma anche ai canali d'informazione. L'atto d'accusa, sovente violento (De Mita ha parlato di analisi in termini razzisti fatte da La Stampa e dal Corriere della Sera delle difficoltà del Sud), ha ridato attualità, per certi versi, alla polemica sollevata in tempi non lontani da Pasquale Saraceno contro l'indifferenza nordista verso i problemi del Mezzogiorno e l'atteggiamento colonialista degli inviati dei grandi giornali. Questa volta, però, al contrario di quanto accaduto in passato, si sono ammessi certi errori, pur nella preoccupazione che da questi non derivi un processo generale a tutto il Mezzogiorno. Sia De Mita sia Compagna hanno, infatti, obiettivamente riconosciuto l'assurdità del quinto centro siderurgico. Il primo, definendo le proteste di alcuni una «nuova lamentela di certi meridionalisti»; il secondo, sottolineando la necessità «che siano gli stessi meridionali a castigare la logica di Gioia Tauro». Ma il ministro per gli Interventi straordinari è andato costruttivamente al di là del fatto episodico: «Il quinto centro — ha detto — assume valore emblematico come elemento di meditazione di tutta la politica di ristrutturazione industriale del Paese. Se si vuole discutere la siderurgia non ci si deve limitare a Gioia Tauro, ma avere il coraggio di guardare a tutto il territorio nazionale. Lo stesso vale per altri settori. Ciò significa che la distribuzione territoriale dell'apparato produttivo dovrà camminare in maniera diversa rispetto al passato. L'aumento delle risorse, che si dovrà necessariamente realizzare per incrementare il volume degli investimenti (De Mita ha ricordato, ancora una volta, che una delle strade passa per la riduzione reale dei costi del lavoro), non deve far saltare i processi di sviluppo del Sud, finendo per destinarsi esclusivamente a vantaggio del Centro-Nord». Pericolo, quest'ultimo, già presente, secondo De Mita, nei meccanismi riduttivi dei costi come la fiscalizzazione degli oneri sociali. «Vedo con preoccupazione — ha aggiun to — l'ipotesi che, qualora gli scatti della scala mobile dovessero andare oltre un certo segno, si intervenga con altre fiscalizzazioni, penalizzando ancora di più le regioni meridionali». Compagna, dal canto suo, ha insistito sulla necessità che il problema del Mezzogiorno non continui ad esser visto come «elemento marginale» della politica economie . «Se denunciamo la logica di Gioia Tauro — ha detto —, denunciamo anche la logica di Lambrate che, da parte di certe forze, si vorrebbe applicare nella riconversione dell'industria italiana». Ad aprire il dibattito er stato, in precedenza, Pasquale Saraceno, illustrando il rapporto sul Mezzogiorno. Il quadro della condizione dell'economia meridionale, le cifre lo dimostrano, risulta in effetti drammatico. Nel 1976, ha specificato il presidente della Svimez, il forte aumento del reddito nazionale ha interessato quasi esclusivamente le regioni del Nord, il cui prodotto lordo è cresciuto del 6,7 per cento contro il 2,2 per cento del Mezzogiorno. «Anche se è vero che il '76 fa seguito ad un anno di recessione in cui la flessione fu nel Sud meno marcata, è altrettanto vero che, considerando insieme gli ultimi due anni di opposto andamento congiunturale, la crescita risulta sempre più accentuata nel Nord (2,1 per cento) che nel Meridione (1,6 per cento)». A determinare un risultato tanto negativo hanno concorso una serie di elementi: anzitutto la flessione del prodotto agricolo (tenuto conto dell'importanza più che doppia, rispetto al Nord, dell'apporto dell'agricoltura alla formazione del prodotto), diminuito, rispetto al 1975, di ben 1*11 pcscilSètcmdgcmridlnmamvp per cento in termini reali; la caduta del settore delle costruzioni (— 4 per cento) e, causa non ultima, il modesto incremento percentuale dell'industria in senso stretto. D'altra parte, ha ricordato Saraceno, proprio nel 1976 si è venuta imponendo drammaticamente l'esigenza di una riconsiderazione dei programmi di investimento nei settori di base da parte dei grandi gruppi pubblici e privati, riconsiderazione che, è da temere, si potrà tradurre in un ridimensionamento dei progetti originali. E' possibile, inoltre, che anche l'insieme delle piccole e medie imprese locali meridionali possa fornire il contingente di vittime maggiore al necessario processo di ammodernamento dell'industria nazionale. Quali conseguenze allora trarne? Se si considerano le attuali difficoltà dell'economia italiana, soffocata dal vincolo di bilancia dei pagamenti e quindi costretta a ridurre i ritmi di crescita per ritrovare gli equilibri perduti, il futuro del Mezzogiorno si presenta ancor più drammatico soprattutto dal punto di vista occupazionale. L'agricoltura non è più, come le cifre dimostrano, una valvola di decompressione della disoccupazione; il terziario è satu¬ ro; l'emigrazione si è bloccata anche per i problemi oggi presenti nelle aree del Nord; il grado di utilizzo della capacità produttiva, come ha ricordato il presidente dello Iasm, Novacco, tende sempre di più a scendere, collocandosi al 62 per cento contro una media nazionale del 75 per cento. Vi è, di conseguenza, il pericolo reale che il Mezzogiorno, ormai ai limiti della resistenza, torni ad essere una polveriera capace di esplodere in qualsiasi momento. Natale Gilio

Luoghi citati: Gioia Tauro, Napoli