Belgrado, congresso austero di Paolo Garimberti

Belgrado, congresso austero LA CONFERENZA SULLA SICUREZZA E COOPERAZIONE IN EUROPA Belgrado, congresso austero Non sono venuti i potenti, ma soltanto i diplomatici - Manca lo show, nonostante il clima di mobilitazione della città Tutto esaurito negli alberghi buoni .fino a dicembre, affitti a peso d'oro - L'agio degli americani e il riserbo dei russi (Dal nostro inviato speciale) Belgrado, 23 giugno. I vigili urbani e la polizia di Belgrado hanno ricevuto ordini severissimi: tutte le infrazioni alle regole del traffico, normalmente punite con una forte ammenda, comportano ora l'immediata sospensione della patente. Questo codice automobilistico di guerra, che si applica soltanto ai cittadini jugoslavi, resterà in vigore per almeno sei mesi, tanto guanto dovrebbe durare la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa. A Belgrado vi sono troppe automobili private, i posteggi sono sempre colmi, la circolazione — grazie anche al temperamento balcanico degli autisti di qui — è caotica e lentissima. Con queste misure eccezionali, le autorità della capitale jugoslava contano di sfoltire il traffico per agevolare la circolazione delle vetture di servizio, riconoscibili da un contrassegno triangolare grigio-blu o grigio-rosso con la scritta «Bs 77», che trasportano le sei o sette centinaia di diplomatici e giornalisti, convenuti qui per la Conferenza. A quelle vetture tutto è permesso; e, sovente, anche ciò che non è permesso è tollerato con bonarie e complici occhiate dai vigili. E' questa una delle tante prove dell'atmosfera di rispetto quasi religioso che le autorità jugoslave hanno creato attorno alla Conferenza e al palazzo del Sava Centar, che ne è il costosissimo tempio. La popolazione guarda con assoluta indifferenza questo congresso delle diplomazie di trentacinque Paesi (tutti gli europei, esclusa l'Albania, più gli Stati Uniti e il Canada), che non sa fare spettacolo. Due anni fa, a Helsinki, nei tre giorni del vertice conclusivo del primo atto della Conferenza, i finlandesi erano affascinati dai caroselli delle limousines nere, che trasportavano su e giù per la città capi di Stato e di governo, da Breznev a Ford, da Giscard a Schmidt, in un coro assordante di sirene, di pale di elicotteri della polizia a volo radente, di sibili di gomme lanciate in curva a centotrenta chilometri orari dagli esperti autisti dei servizi di sicurezza. A Belgrado non si sono dati convegno i potenti di mezzo mondo, ma soltanto i loro esperti diplomatici, riuniti per esaminare in quale misura i trentacinque Stati hanno rispettato gli impegni presi due anni prima dai loro capi. E' un congresso tecnico, non uno spettacolo politico o un'esibizione dell'efficienza dei servizi segreti delle grandi potenze, come fu Helsinki. Ma le autorità jugoslave hanno fatto uno sforzo organizzativo superiore a quello dei finlandesi. Agenti in armi Le misure di sicurezza sono ancora più imponenti — e ossessive per chi deve sottostarvi ogni giorno — che a Helsinki. Il Sava Centar è circondato giorno e notte da un cordone di poliziotti armati e affollato, all'interno, da centinaia di agenti in borghese dei servizi speciali. L'accesso è riservato soltanto agli accreditati, che devono comunque sottostare ad attenti controlli personali e delle loro borse. Ma in tutta la città si avverte, ancorché appena percettibile, un clima di mobilitazione. Negli alberghi abitati dai diplomatici e dai giornalisti vi sono poliziotti, muniti di radio ricetrasmittenti, ventiquattro ore su ventiquattro; un paio di camere per piano sono abitate da atletici signori, dei quali non è difficile indovinare la professione. Sedici attiviste ebree e un dirottatore bulgaro hanno saggiato, nei primi giorni del congresso, la capillarità e la efficienza dell'apparato di sicurezza, che deve garantire per sei mesi il più assoluto ordine a Belgrado. Le sedici attiviste, provenienti da diversi Paesi dell'Europa occidentale, sono state arrestate nelle loro camere d'albergo poche ore prima che uscissero per recarsi a manifestare davanti al Sava Centar in favore degli ebrei sovietici: evidentemente, la polizia ne seguiva i movimenti e ne conosceva le intenzioni sin dal momento in cui erano arrivate a Belgrado nelle vesti dì innocenti turiste. Il dirottatore bulgaro, che sabato scorso aveva avuto l'infelice idea di dirottare su Belgrado un piccolo aereo delle linee interne del suo Paese, è stato catturato nel giro di tre ore da agenti delle i ouadre speciali travestiti da funzionari della compagnia di bandiera jugoslava. La presenza all'aeroporto di alcune decine di giornalisti stranieri accreditati alla Conferenza ha certamente contribuito a stimolare quest'altra prova di efficienza dei servizi di sicurezza jugoslavi. Tanta cura organizzativa si spiega col fatto che la Conferenza è per gli jugoslavi non soltanto un motivo di orgoglio politico, dal cui successo essi sperano di trarre nuovi motivi di prestigio internazionale, ma anche un grande affare commerciale, che deve garantire in sei mesi alle finanze del Paese un introito di valuta pregiata superiore a quello di tre buone annate turistiche. Da qui a dicembre, i principali alberghi di Belgrado si sono assicurati il «tutto esaurito». L'esercito di diplomatici, segretarie, interpreti, giornalisti spende ogni sera alcune decine di migliaia di dinari nei ristoranti. I noleggiatori di automobili respingono le richieste di chi non ha prenotato a tempo. I prezzi, naturalmente, sono stati ritoccati per l'occasione: uno spuntino al bar del Sava Centar (due panini al prosciutto, acqua minerale, caffè) costa quattromila lire italiane; una cena in un buon ristorante non meno di quìndicimila lire. Gli jugoslavi devono anche recuperare i soldi spesi per costruire il Sava Centar, sorto in meno di dodici mesi su un'area complessiva di 50 mila metri quadrati. E' un palazzo avveniristico, anche se poco originale nelle soluzioni architettoniche (l'interno ricorda il tanto discusso centro culturale Pompidou a Parigi), ma che ha certamente il primato del palazzo più automatizzato del mondo. Il giorno della seduta inaugurale della Conferenza, i giornalisti sono stati ammessi ad assistere all'intervento del ministro degli Esteri Minio da due tribune, che fanno ala alla sala principale delle riunioni. Quando Mi nic ha finito di parlare ci si aspettava che i commessi invitassero i giornalisti a lasciare la sala. Non è stato necessario: due pareti mobili, di feltro grigio, alte una decina di metri, hanno cominciato a scorrere come sipari davanti alle tribune, separando i diplomatici dai giornalisti. Le brillanti trovate dell'architetto Stojan Maksimovic, progettista del Sava Centar, sono costate allo Stato jugoslavo una trentina di miliardi di lire. Per recuperare almeno parzialmente tale spesa, gli jugoslavi affittano a peso d'oro i servizi del palazzo ai Paesi partecipanti alla Conferenza. Una cosiddetta « stanza di lavoro » (due vani di modeste dimensioni) costa dodici milioni al mese. La delegazione italiana e quella francese ne hanno affittato una in comune, dividendone le spese. I tedeschi occidentali, dopo avere prenotato una stanza, hanno deciso che la spesa è eccessiva e la loro delegazione, nelle ore libere da riunioni, sbriga gli affari correnti (stesura di rapporti, lavoro di segreteria) nella propria ambasciata, anche se ciò provoca un certo disagio e una notevole perdita di tempo in spostamenti. Costosa trasferta La spedizione a Belgrado è per i Paesi partecipanti una spesa davvero grossa. Secondo calcoli approssimativi, la trasferta di ogni funzionario costa (soltanto di vitto, alloggio e spese di trasporti, escluso il viaggio aereo per Belgrado e ritorno) circa un milione e mezzo al mese. Una delegazione media di sei persone richiede perciò una spesa di una decina dì milioni al mese, cui vanno aggiunti i soldi per l'eventuale affitto di una stanza al Sava Centar e la quota per le spese della Conferenza, che sono ripartite, in base allo stesso Atto finale dì Helsinki, tra i vari Paesi in base ad un complicatissimo cal¬ colo, che mira a favorire i poveri rispetto ai ricchi. Questi forti oneri finanziari finiscono per inficiare i nobili principi della Conferenza, secondo i quali tutti i Paesi sono eguali e hanno pari diritti senza riguardo alle dimensioni geografiche e alla potenza politieu-milìtare. La sproporzione numerica tra le delegazioni dei pìccoli Paesi e quelle delle grandi potenze limita inevitabilmente le capacità di azione delle prime. Nella lista delle delegazioni, gli Stati Uniti, l'Urss, la Gran Bretagna, la Germania e quasi tutti i Paesi dell'Europa orientale occupano pagine intere. Ma, oltre che dei funzionari e degli impiegati inviati a Belgrado, queste delegazioni si avvalgono delle strutture, spesso mastodontiche, delle loro rappresentanze permanenti nella capitale jugoslava. Insomma, contro uno staff americano o sovietico non inferiore alle trenta persone. Paesi come San Marino hanno a Belgrado in tutto due rappresentanti, che fungono da delegati e da segretari-autisti a se stessi. Proprio la delegazione di San Marino può essere presa a modello di una diplomazia artigianale, che si contrappone a Belgrado alla diplomazia su scala industriale delle grandi potenze. La compongono due persone, appunto: il direttore degli affari politici del ministero degli Esteri, una vivace signora dallo spiccato accento emiliano; e un signore distintissimo, con tanto di monocolo, che è lo ambasciatore di San Marino presso il Vaticano. Neppure il tempo libero rende eguali « piccoli » e « grandi ». Gli americani hanno messo a disposizione del loro capo delegazione, l'ambasciatore Sherer, l'elegante residenza degli ospiti annessa all'ambasciata, con piscina e campo da tennis privati. Il resto della delegazione alloggia all'hotel Moskva, il più elegante di Belgrado, requisito per metà dai dollari americani. I sovietici vivono tutti in ambasciata, secondo una consuetudine seguita anche dagli altri Paesi dell'Europa orientale e che si basa soprattutto su motivi di sicurezza. Le delegazioni dei Paesi medio-piccoli, le cui infrastrutture a Belgrado non sono tali da offrire vitto e alloggio ad ospiti di passaggio, condividono la vita delle segretarie, degli interpreti (reclutati in maggior parte a Ginevra), dei giornalisti: dopo una giornata di lavoro al Sava Centar, aperitivo al bar dell'albergo Jugoslavia, cena da « Ivo », come viene familiarmente chiamato il ristorante del circolo degli scrittori di Belgrado (Ivo, maitre tuttofare, è stato il valletto del nunzio apostolico a Belgrado), interminabili week-end sul prato interno all'albergo alla ricerca di un'abbronzatura. Una vita monotona, movimentata soltanto da qualche flirt che sboccia improvviso tra un diplomatico e una segretaria e che si sviluppa al lume delle candele del dancing dell'albergo. Il Congresso di Vienna, quando diplomazia era sinonimo di nobiltà e mondanità, doveva essere molto più divertente. Paolo Garimberti

Persone citate: Breznev, Pompidou, Schmidt, Stojan