La giustizia di passo lento di Clemente Granata

La giustizia di passo lento CONTROLLIAMO IL VIAGGIO D'UN FASCICOLO GIUDIZIARIO La giustizia di passo lento Dalla Questura al Palazzo di Giustizia e ritorno, un incartamento impiega dei mesi - Dappertutto mancano uomini, ma c'è anche una sfasatura tra il lavoro del poliziotto e quello del magistrato - Da noi tarda perfino il casellario elettronico Quando un giudice dichiara « estinto il reato per intervenuta prescrizione », essendo trascorso molto tempo dall'epoca del fatto illecito, dall'« alto » qualcuno gli chiede spiegazioni: « Come mai tanto ritardo nel fare il processo? ». Il giudice prende carta e penna e risponde con invariabile formula: « Il notorio carico di ufficio rende impossibile lo espletamento di tutto il lavoro in tempo utile ». E la storia finisce lì, nella stragrande maggioranza dei casi. Dovrebbe esserci il sospetto di un'effettiva negligenza (o peggio) del giudice per promuovere l'azione disciplinare nei suoi confronti. Ma il « carico di lavoro » è veramente «notorio» e ne costituiscono prova inconfutabile i fascicoli ammucchiati negli scaffali. E' chiaro però che Quel principio di domanda inquisitoria (« perché sei in ritardo?») può dare un comprensibile fastidio all'uomo che tiene alla fama di persona solerte ed efficiente. Allora in alcune sezioni di uffici giudiziari sparsi nel Paese si assiste ad un fenomeno: la corsa affannosa a definire procedimenti su cui pende la spada di Damocle della prescrizione. Magari manca soltanto un mese all'ora X, ma il processo s'ha da fare ugualmente. Il giudice cita l'imputato, convoca i testi, celebra il dibattimento e pronuncia la sentenza pensando: « Io sono a posto, con la grana della prescrizione; adesso se la vedano pure i giudici d'appello ». La patata bollente Commenta un magistrato che ci racconta questi fatti: « Insomma, alcuni giudici vogliono passare ad altri la patata bollente. Un processo costa tempo, energie, denaro, ma lo si celebra lo stesso, anche se è moribondo, direi anzi già morto perché è matematicamente sicuro che la prescrizione non potrà essere evitata. Ma l'importante è che il "trapasso" n^n avvenga nelle loro stanze, appunto perché c'è il rischio di domande fastidiose ». In tal modo si trascura altra « materia del contendere » più recente, importante. E' invece necessario concentrare tutte le energie contro la criminalità comune ed il terrorismo politico dilaganti. Per questo il Consiglio giudiziario della Corte d'Appello di Torino di recente ha approvato all'unanimità un documento in cui «segnala al Consiglio superiore della Magistratura la opportunità d'invitare tutti i magistrati addetti a funzioni penali a trascurare la istruttoria o il giudizio in ordine a tutti quei processi destinati sicuramente a prescrizione, ferma restando ovviamente la necessità di esperire l'azione disciplinare in tutti quei casi in cui si dovessero verificare abusi ». E' abuso, ad esempio, la inerzia colpevole del giudice. Se il parere del Consiglio giudiziario piemontese sarà accolto dall'organo di governo della Magistratura, i giudici potranno lasciar spirare tra le loro mani i procedimenti, senza timore d'« intemerate » dei capi ufficio. Non è dubbio, comunque, che per giungere alla formulazione di quel documento il Consiglio giudiziario ha dovuto affrontare delicatissime questioni di diritto. Ritardi, dunque, punto critico del dramma processuale. Alla Questura di Torino un funzionario con un lampo di malizia negli occhi ci dice: « Partirò da un'affermazione che a lei potrà anche risultare falsa. Ma, secondo me, i ritardi, la crisi hanno inizio quando un fascicolo (e facciamo il caso più semplice di un fascicolo relativo ad un ipotetico processo per furto) parte di qui e varca la soglia del Palazzo di giustizia». Aggiunge: « Intendiamoci. Se c'è un arrestato il sostituto lo interroga nei tempi rigorosi prescritti dalla legge, ma quando si tratta di restituirci gl'incartamenti per proseguire il processo, lascia trascorrere del tempo. Certo è oberato di lavoro, bisogna capirlo, ma un po' questa mentalità ce l'ha. Insomma, nell'ansia degna del massimo rispetto di operare con il più profondo scrupolo, a volte non imprime un ritmo incalzante alle indagini. E invece il poliziotto opera proprio sul ritmo. E' una questione fondamentale per la buona riuscita dell'indagine ». Un attimo di silenzio, consulta alcuni documenti. Poi: « Guardi qui: denuncia a piede libero per ricettazione. Sono quindici giorni che attendiamo che il magistrato interroghi la persona denunciata. Lei dirà: "Va bene, ma si tratta di un reato di poco conto". Ah, no! La ricettazione non è da prendere sottogamba. Presuppone un'attività preparatoria ed esecutiva, che presuppongono a loro volta un'organizzazione. E poi ragionando così si rischia di farci l'abitudine, con i reati patrimoniali. Anzi il tarlo dell'abitudine c'è già. Non si avverte più lo squilibrio. "Centomila furti a Torino in un anno? E che sono?", si dice. Già, rispondo, sono il primo passo verso forme più gravi di delinquenza ». Accende una sigaretta, sfoglia un secondo fascicolo: « Guardi ancora qui. E' un un altro esempio e più clamoroso. Si tratta di una faccenda d'omicidio. Il magistrato chiede se la vittima si è recata in un bar della periferia un certo giorno. Ami, vuol sapere se è arrivata o no dieci minuti prima di un'altra persona. Cosa importantissima, fondamentale, fa bene a chiederci di assumere informazioni. Però c'è un particolare: lo omicidio è della primavera dell'anno scorso ». Il funzionario che abbiamo di fronte appartiene alla giovane generazione. Crede nel sindacato di polizia, fa discorsi di « efficienza » («ma non di efficientismo»), dice che non avverte alcui na « deminutio » nel farsi dirigere da un magistrato (\. magari ci fosse l'effettiva direzione »), auspica che si costituiscano nuclei di polizia giudiziaria presso i vari uffici dei magistrati. Riconosce: « I giudici sono pochi, ma anche noi siamo pochi e dobbiamo svolgere tante altre mansioni, amministrative, d'ordine pubblico ». Non si nutre della «nostalgia » (peraltro comprensibile) di altri funzionari anziani, bravi e onesti coinè lui, i quali, memori del tempo in cui la polizia conduceva da sola la prima parte delle indagini, lanciano ora, con sorrisetti sardonici, strali acuminati (« Hanno voluto legarci le mani? E di che si lamentano allora?»). Andiamo allora in Procura, quinto piano di via Milano. Presentazione: 19 sostituti impegnati in un lavoro improbo, introiti annui di 10 mila procedimenti contro imputati noti (e aggiungiamo che in media nelle 48 ore di turno un sostituto deve interessarsi di circa 25 persone arrestate o fermate da carabinieri, guardia di finanza, polizia). Dicono in Procura: « Va bene, la polizia giudiziaria sarà animata dall'ansia degna del massimo rispetto di fare in fretta, operare sul ritmo, ma non è mica tanto vero che è così rapida. E, intendiamoci, non per negligenza, ma per mancanza di uomini. Quelli che ha, fanno una vita infernale, noi la conosciamo bene. Bisogna provvedere, potenziandoli ». Riprendiamo a seguire il cammino del fascicolo relativo ad un «ipotetico furto». Giunge dalla Questura e varca la soglia della Procura. Che cosa succede? Può essere subito « assegnato » ad un sostituto, oppure rinviato immediatamente alla sede di provenienza per il proseguimento di certe indagini. Quando tornerà di nuovo in Procura, avverrà l'assegnazione al magistrato. Ma quando tornerà quel fascicolo? Dicono i magistrati: « Passano mesi. Ripetiamo, nessuno dorme tra i carabinieri e la polizia, il fatto è che non possono comportarsi in modo diverso ». Le lunghe attese fanno parte della quotidiana « routine » della vita di un qualunque ufficio giudiziario. Si aspettano fascicoli, documenti, informazioni. Un sostituto: « Due mesi fa ho chiesto alla polizia giudiziaria (non faccio nomi perché non se lo meritano) di accertare a chi è stata venduta dalla Fiat un'auto rubata. Non ci vuol molto, non ne so ancora nulla. Eppure è un'informazione indispensabile per individuare la parte offesa, la quale potrebbe chiedere il risarcimento. Vi ara un arrestato: ho dovuto dargli la libertà provvisoria». Dov'è l'imputato Vediamo gli accertamenti per rintracciare i nuovi recapiti degli imputati (la ricerca, ed è una stortura, è compito dell'amministrazione della giustizia). Il 28 febbraio la Procura vuol sapere l'indirizzo di X. Si rivolge al sindaco di Reggio Calabria, risposta tardiva: 21 marzo; si rivolge alla polizia giudiziaria: aspetta ancora. Ma non gettiamo la croce addosso alla polizia: la risposta è giunta in ritardo (21 marzo) persino da quello che con nome robusto si chiama « Casellario elettronico per i servizi dell'amministrazione penitenziaria presso il Ministero di Grazia e Giustizia ». Nel centro sono raccolti (o dovrebbero esserlo) i nomi di tutti i detenuti e la Corte costituzionale ha stabilito che bisogna consultarlo prima di emettere il decreto d'irrepeperibilità (che comporta la contumacia) contro un imputato. Provvida sentenza: prima infatti poteva accadere che il braccio giudiziario dello Stato cercasse affannosamente Tizio, imputato a piede libero, senza neppure immaginare che potesse essere custodito per un altro reato dal « braccio.» carcerario dello stesso Stato. Questo è un quadro (appena abbozzato) degl'intoppi più frequenti che incontra la giustizia ai suoi primi passi. Poi il lavoro s'accumula, i fascicoli si dimenticano, passano i mesi, gli anni: la via italiana alla prescrizione. E poi sopraggiungono con prepotenza i fatti di grossa criminalità che assorbono tutte le energie disponibili. C'è però anche una questione di mentalità. E nel \ discorso dei sostituti si può cogliere una sfumatura dì quell'« amabilissima polemica » che dalla Procura rimbalza così negli uffici della polizia giudiziaria da dove era partita. L'osservazione è questa: qualche volta la polizia giudiziaria fa la denuncia al magistrato e poi pensa: « Va bene, il mio lavoro l'ho fatto, ora ci pensi la Procura ». 1 sostituti: « Eh, no! C'è un lavoro di approfondimento delle prove e la polizia giudiziaria deve svolgere anche in quel settore compiti importanti ». Ma sullo sfondo non s'intravedono forse gli effetti « destabilizzanti » di quelle norme che, ispirate peraltro a un doveroso garantismo, hanno limitato all'inizio degli Anni 70 l'attività della polizia? Prima la polizia raccoglieva indizi, prove, e li sottoponeva con il rapporto al controllo del magistrato. Le leggi del '70 hanno anticipato l'intervento di quest'ultimo imponendogli la direzione effettiva dell'inchiesta non appena ricevuta la « notitia criminis ». Ma il magistrato non ha né i mezzi (squadre di p.g. alle sue dirette dipendenze), né la « forma mentis » per fare il poliziotto. E' molto interessante quello che ci dice un sostituto procuratore: « Noi siamo entrati in magistratura con la mentalità di chi deve compiere un controllo giuridico sull'attività di fatto della polizia giudiziaria. Ora, invece, dobbiamo occuparci della ricerca della prova, tipica attività degli ufficiali di polizia giudiziaria preparati proprio per quel lavoro. E non c'è dubbio (parlo di pura tecnica) che alcuni interrogatori verrebbero condotti meglio da certi poliziotti piuttosto che da certi magistrati ». S'inserisce qui il discorso, attuale anch'esso, della specializzazione del pubblico ministero. Di fatto egli è spostato con troppa frequenza dal settore civile a quello penale (che hanno prospettive di lavoro molto diverse). E poi come si è detto, egli non ha una preparazione specifica per i particolari compiti d'« investigazione » che le norme del '70 gli hanno affidati. Ed affiora a questo punto la questione più generale dell'opportunità di una diversa preparazione tecnico-culturale e professionale del magistrato. Il consigliere Berta d'Argentine ce ne parla a lungo ricordando i vari disegni dì legge presentati in proposito dagli onorevoli Reale, Gonella e Zagari, quand'erano ministri della Giustizia. Non se n'è fatto nulla. Tra l'altro, quei disegni prevedevano un sistema di « reclutamento » dei giudici più agile e razionale di quello attuale. Un concorso per uditore (primo gradino della magistratura, così com'è strutturato adesso, dura circa tre anni. E' poco consolante, se pensiamo che in questo momento dovremmo avere disponibili altri 1200 magistrati. Tra i ritardi dell'amministrazione della giustizia mettiamo dunque anche questo. Clemente Granata Napoli. All'interno del Palazzo di giustizia (Foto Team)

Persone citate: Gonella, Zagari

Luoghi citati: Napoli, Reggio Calabria, Torino