Spagna minima

Spagna minima TURISTA PRIMA DEL VOTO Spagna minima In Spagna, dove ho passato buona parte del periodo elettorale, ma con interessi piuttosto lontani dalla politica, mi hanno impressionato le banche e la rabbia di fumare. Le città sono come inzuppate in un mare di credito, gli abitanti tutti nel gesto del fumo, che serve forse a distrarli mentre le gru della Banca li afferrano e li sbattono qua e là, in quartieri demoliti e rifatti, orridi, nati spenti. Il divieto di fumare non esiste in nessun luogo, però, il vizio risparmia i teatri e le chiese: si potrebbe passarci più tempo, se offrissero spettacoli più divertenti. Solo nelle chiese, antri giganteschi, chiostri pieni di frescura, cappelle e cripte smisurate, absidi uterine, il popolo dei Goti e dei Barocchi oppone ancora, con fulmini e ferraglia, all'onnipotenza della Banca, un proprio Onnipotente. La banca spagnola mi sembra incarnare un aspetto profondo della distruttività e del nichilismo. Spianta e s'impianta. Dov'erano mestieri, balconi, gerani, libri, cocorite, vino, letti, lumini, una mostruosa basilica elettronica del credito usurpa i luoghi della vita incendiata. E la bruttezza di queste sedi costosissime è inimmaginabile; è una bruttezza eruttiva, di anima brutta, che promuove, genera, impone, diffonde soltanto bruttezza. Al centro del salone, tra il rullare delle pesetas, c'è sempre un uomo impalato, coperto di sangue asciutto, coi piedi in alto: impossibile non vederlo, ma tutti fingono di credere che ci sia al suo posto la statua del Rapido Sviluppo. Fuori ho incontrato la Libertà, che uscita dal catafalco si stropicciava gli occhi risvegliati: sembrava ignorare tutto del presente, sarebbe però stato indelicato parlargliene subito, forse anche inutile. E anche nelle città piccole, tra case basse, la Banca alza le sue teste immani che eruttano denaro attivo. Stenti a trovare una panetteria, tra tanti spigoli e sbarre di banche, e quando l'hai trovata il pane è mortificante, un toro molle, un po' di nafta bianca. Giudicata dal suo sfilatino e dal suo teatro, Madrid è inabitabile. In cambio del pane cattivo, vorrei, in una grande capitale, del buon teatro. Madrid mi offriva una dozzina di riviste, una più noiosa dell'altra, e senza neppure un'orchestrina perché tutto ormai è boato stereo. I comici sono molto popolari, c'è spogliarello al lampo psichedelico, nei balletti si fa uso del tam-tam. Saragozza è frenetica di ruspe e di gru: esemplare. E' una città che ha deciso tranquillamente di demolirsi per rinascere migliore. L'eccellentissimo Ayuntamiento è il suo Nerone. C'è una dura, cupa determinazione di far sparire tutto il passato vivente, lasciando in piedi soltanto la Vergine del Pilar e qualche altro monumento di cristiani e di mori. La Vergine del Pilar è implacabile come la Banca, i suoi preti non sorridono, il suo santuario sembra fatto per le adunate dei Viva la muerte!, per l'urlo di Presente! al magico nome del celebre profeta e taumaturgo Primo de Rivera. L'Ebro non sarà eliminato perché produce cartoline, come specchio della Vir-gen. ★ ★ Quel che resta di Saragozza è Germania nel Quarantacinque: macerie spazzate, case turate, mute, in attesa di stramazzare. Compri in fretta pane, banane, pettini, giornali in botteghine su cui pende la condanna a morte, in pianiterra già orfani di patio e di primo piano, tra i tonfi continui e la polvere. Puoi mangiare soltanto in ristoranti all'americana, senza cose fresche, perseguitato dalla filodiffusione. I turisti verranno ugualmente, perché li attira il Nihil di un mondo uniforme, la riproduzione all'infinito del proprio. Intorno al perimetro delle macerie crescenti (gigantesco, non scherzo) c'è lo schieramento delle banche puntate sul Desairollo, rettilinei di traffico perfettamente uguali a quelli di altre città orbe del patrocinio della Vergine del Pilar, e una pulizia tremenda, un ordine che dà sull'incubo, come uno sterminato pavimento che una padrona di casa maniaca non finisca di lucidare. Sospetto una città disposta a lavare i suoi pavimenti anche con sangue umano, una città-clistere. Barcellona, invece, è ammirevole, perché si mantiene pulita e ordinata nonostante la sua indole indulgentemente trasandata e i suoi milioni di tonnellate di affettuose immondizie giornaliere. Qualche smanettamento della toponomastica è sperabile, dopo queste elezioni. Con strade che si chiamano dappertutto Calvo Sotelo, José Antonio (ma Cos'è Antonio? è il solito Primo de Rivera), General Mola, Generalisimo, sembra di non uscire mai dallo stesso posto. Dopo cinquecento chilometri, partito da José Antonio, ti ritrovi in pieno José Antonio, parallelo a Generalisimo. Avevi di fronte una colossale banca; ecco di fronte la stessa banca. Dietro, una vòlta, c'era sicuramente una nazione molto originale, Spagna. Il disgelo della stampa è torrenziale. Però l'argomento principale è un periodo storico di quarantanni fa, di cui le molte facce rimaste nell'ombra erano smaniose di mostrarsi e, finalmente, parlare. C'è adesso una loquacità trepida, una voglia di dire travolgente. Pile di testimonianze, di apologie, di memorie intere e a puntate: lo storico gira come in un rotor, il curioso si stanca perché gli manca il pepe della scoperta difficile e clandestina della verità. ★ * Tanta stampa avrà lettori? Mi vedevo solo, nei treni, nelle metropolitane, nelle attese, con un libro spagnolo tra le mani. Insieme ai ricordi della Guerra Civile, circola senza museruola anche il Sesso. I chioschi rovesciano tra Pasionarie, Lister, Montseny e lontani Ferrer Guardia una festosa pornografia senza perversioni e inchieste nude sulla coppia. Di letteratura politica spontanea ho raccolto un solo pezzo notevole, proveniente da muro anarchico: Si la ley prohibe, prohibe tu la ley (« Se la legge proibisce, proibisci la legge »). E' un testo della stupidità profonda, di classica purezza paranoica, e non manca di grandezza. Democrazia spagnola, per favore, non cucirti gli occhi: inquinamento e malattia urbana ci sono anche 11, e il Mediterraneo iberico non è meno sconcio di quello francese o italiano. L'Industria, soffiata dalla Banca, sta distribuendo i suoi applauditi miasmi a tutta Spagna, senza che un dito di cavaliere errante si alzi per contrastarli. La legge mi sembra delle più complici, quanto a sofisticazioni, coloranti, farmaci, lavorazioni nocive, zone infette, e la gente contenta di questa complicità che, lasciando l'offesa libera, la rassicura. I giornali, come gli Dei di Epicuro, non intervengono; se dicono qualcosa, non spargono certo allarmi, perché il male industriale è sacro. La Spagna sta sognando di essere ancora biologicamente respirabile: non credo gli resti molto. Si vedono città strette da fumi tremendi, il fiato delle industrie direttamente nel bronco umano. Da Monjuich, la simpatica Barcellona appare come uno spaventoso tumore megalopolitano, senza alberi, coperta di fuoco nero, giallo e rosso, arenata su un mare innominabile. C'è ancora salvezza nei grandi spazi, nelle emozionanti solitudini aragonesi e castigliane, che rompono la ragnatela mortale delle città industriali, ma non è nei deserti che si gioca il destino delle collettività umane. L'acqua di Barcellona e di Madrid è già quella della stella Assenzio. Il pane è morto, e questo mi ha stupito, credevo di trovarlo ancora vivo; sono arrivato tardi, a bara già chiusa. In un suo verso, un verso che sento immenso, Miguel Hernandez dice che l'odore del pane, nelle sue campagne, penetra in tutte le case e panifica el aire de las huertas. Bisogna fare un pianto greco, perché questo odore che panifica gli orti è una felicità perduta, perduta come un'amante morta. Sono un uomo a piedi, un lettore di strade, porte, vetrine, gente, cortili, insegne, ma faccio un mestiere proibito. Dopo mezzora sono sfinito, vinto. Il gas e il rumore uccidono, insieme al respiro, il ragionamento, fermano la curiosità... Peccato, sarei stato un buon turista. L'automobile ha reso invisibili le città, le cose: la sua presenza nega e tura tutto, restano soltanto semafori, asfalto, benzinai. Senti anche l'albergo come un garage per uomo, al mattino ti lavi il parabrezza. I giardini sono stupidi, la strada è bella; vedi la gente, immagini le loro storie, piangi scoprendo del vissuto nobile, cerchi un sorriso, una donna... Sono un vedovo della strada, ne porto il lutto. Stanco di non poter guardare e ascoltare, mi taglio 'i piedi, faccio segno a un taxi. Se non avessi dovuto fare tanto sforzo per grattare qualcosa di vivo nel muro di automobili, di banche e di fumi, avrei certo provato più gioia in questo mio contatto — il primo non letterario, non im- maginario — con la nazione spagnola, la cui amabilità è autentica e indiscutibile, una delizia ininterrotta. Le facce simpatiche e vere, non sfuggenti, non torve sono senza fine, e trasmettono anima e frescura. Tutti sono simpaticamente malvestiti. I servizi funzionano! Treni, poste... C'è il resto in spiccioli. C'è uno Stato. Le strade notturne sembrano sicure. Ma prima che entrino in funzione i servizi, qualunque cosa ti succeda, trovi sicuramente un soccorso non anonimo, mani, sollecitudini. La gente giovane, morto il pane, panifica l'aria, migliora l'aria attossicata. Sulla Plaza Mayor di Salamanca, dove la pasticceria è deliziosa, di sera, di notte, sosta, ride, discute una gioventù cordiale, che emana vero cuore, cuore non guasto, non indurito, non incenerito dai sofismi mentali, non sporcato dall'avidità di guadagno elevata a dottrina. Dappertutto ritrovi questa gioventù pulita, che si comporta bene, che forse pensa anche bene, che è certamente capace di ascoltare una lezione libera e buona, di seguire qualche maestro dai venerabili piedi, di salvarsi dalla malvagità e dalla demenza. Scopri, in questi gruppi e coppie, una misura, una normalità umana che è come una carezza, un soccorso. Saranno forse capaci di vendicare il pane, quelli di loro che ne incontreranno l'odore nel verso scarcerato di Hernandez. Guido Ceronettì