Glisenti si dimette dalla Rai-tv contro le interferenze politiche

Glisenti si dimette dalla Rai-tv contro le interferenze politiche Era stato nominato direttore generale in gennaio Glisenti si dimette dalla Rai-tv contro le interferenze politiche Probabilmente il consigiio di amministrazione respingerà le dimissioni ■ Due mesi fa, si dimise Vittorio Citterich da direttore della Rete 2 della Radio ■ La lottizzazione delle "testate" Roma, 17 giugno. A 142 giorni dalla nomina (26 gennaio), Giuseppe Glisenti si è oggi dimesso da direttore generale della Rai-tv, La lettera che ha inviato al presidente Paolo Grassi indica con chiarezza che il suo gesto (così insolito in Italia) è legato alle intromissioni dei partiti. La crisi non colpisce solo il vertice della Rai, ma un sistema di potere (che persiste in alcune forze politiche, malgrado i propositi innovatori della riforma). La lettera dice: «Caro Presidente, dopo quattro mesi di lavoro alla Rai, devo constatare che le difficoltà, interne ed esterne all'azienda, che nel gennaio scorso mi avevano a lungo trattenuto dall'accettare l'incarico, sono tali da essere incompatibili con l'opinione che io ho sulle condizioni necessarie per guidare una azienda, sia pure una azienda speciale quale la nostra. Per queste ragioni rassegno le dimissioni dall'incarico di direttore generale della Rai. Sono grato al Consiglio per la fiducia dimostratami, e a te per l'amicizia che ha accompagnato il nostro lavoro» Grassi, che nel gennaio scorso ci disse: «Glisenti e io partiamo sottobraccio», ha dichiarato: «Il problema è all'esame del Consiglio di amministrazione, che era stato già convocato per mercoledì, e proporrò di respingere le dimissioni. Desidero sin d'ora esprimere a Glisenti i miei sentimenti di rispetto e di viva amicizia». Negli ambulacri parlamentari circondano voci attendibili di frequenti scontri fra Glisenti ed esponenti politici, anche della de, che tentavano di imporre decisioni e nomine da lui non condivise. Glisenti pose condizioni precise quan- do si risolse ad accettare l'incarico, su personale richiesta di Zaccagnini. Dovevano essere precisati i compiti del presidente e del direttore generale; dovevano cessare le intromissioni dei partiti a tutti i livelli, inclusi i rapporti diretti fra segreterie e funzionari della Rai; soltanto le «capacità professionali» e non i «meriti politici» dovevano contare; rigore amministrativo, compresa la cessazione dei distacchi di dipendenti della Rai negli uffici della de e del pai. Si racconta, a Montecitorio, di divergenze fra Glisenti e l'onorevole Bubbico, magna pars della corrente fanfania na nella gestione concreta della Rai, che è ancora potente, nonostante il reale sforzo di rinnovamento perseguito da Zaccagnini. La radice più profonda dei contrasti che hanno costretto Glisenti a dimettersi va ricercata, secondo noi, nel «bipolarismo» politico che impera alla Rai; da una parte l'area democristiana, dall'altra l'area socialista. In omaggio a questa ripartizione ideologico-politica, le reti (che curano i programmi) e le testate (che si occupano dei giornali radio-televisivi) sono state «lottizzate» con tale autonomia da ridurre le funzioni del direttore generale. In queste condizioni i massimi respon- sabili della Rai dovrebbero, spesso, attuare scelte in gran parte fatte nelle sedi dei partiti (o delle maggiori correnti) che sono rappresentati nel Consiglio d'amministrazione: sei de, quattro comunisti, tre socialisti e un socialdemocratico, un liberale, un repubblicano. La gestione della Rai implica per i vertici una continua mediazione ideologico-partitica talora a danno dei valori culturali e professionali. Anche Vittorio Citterich si è dimesso, due mesi or sono, da direttore della Rete due della Radio. Il piano che Glisenti propose e che i partiti accettarono in gennaio prevedeva, invece, un vero pluralismo voluto dalla legge di riforma che doveva riflettersi nei programmi, nello schema gerarchico della Rai, in un'autonomia dei direttori di reti e testate armonizzata con i compiti della direzione generale. Poiché la conquista del potere ha condizionato tutto, la riforma è in gran parte fallita. Le dimissioni di Glisenti, quindi, denunciano una situazione intollerabile che i partiti devono urgentemente risolvere. Solo queste garanzie non revocabili potrebbero conseguire il ritiro delle dimissioni, chiesto stasera da tutti i partiti. Diversamente, la «guerra» in atto potrebbe concludersi o con il predominio dei partiti più forti o con la rinuncia a una gestione unitaria della Rai, rimpiazzata da reti e testate autonome e chiaramente identificabili sotto il profilo politico o, addirittura, di corrente. Giuseppe Glisenti

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