Parla la difesa al processo del cancro citano l'Inali sette vedove dell'Ipca di Francesco Bullo

Parla la difesa al processo del cancro citano l'Inali sette vedove dell'Ipca Verso la sentenza la vicenda della fabbrica di Ciriè Parla la difesa al processo del cancro citano l'Inali sette vedove dell'Ipca Dopo le richieste del p.m. (5-6 anni per tutti gli imputati), cominciate le arringhe - In difesa del medico di fabbrica: "Ha la competenza di un generico, non è uno specialista" SI avvia a conclusione in tribunale il processo alla fabbrica del cancro. Martedì il p.m. Gustavo Wltzel ha parlato tre ore senza interruzione ed ha conoluso chiedendo la condanna di cinque imputati ritenendoli responsabili di aver provocato colposamente la morte, per cancro, di una ventina di dipendenti e lesioni ad altri. Sono Alfredo e Sereno Ghlsotti (sei anni ciascuno), Giovanni Mussa medico di fabbrica (5 anni e mezzo), Silvio Ghlsotti e Paolo Rodano (5 anni). «Una valutazione — ha detto — fatta tenendo conto delle diverse responsabilità nell'azienda, al vertice della quale l o i a a . i i i o o à e eo d r to. nur a nri an. stavano persone la cui colpa avrebbe richiesto pene maggiori se per loro non fosse intervenuta la morte» E' il caso ad esempio di Pietro Calorio per 11 quale il reato è estinto essendo l'imputato deceduto prima che cominciasse il processo. Al p.m. e alle parti civili hanno replicato ieri i primi due difensori, avvocati Mussa e Lageard. «Quelle persone che oggi sono alla sbarra — ha detto l'avvocato Mussa — imputate di aver provocato la morte dei loro operai, sono le stesse che finirono tn galera per salvarli dai nazisti. In quella vicenda, ricordata da un teste, Alfredo e Sereno Ghisotti diedero carta bianca a Calorio e fecero figurare come dipendenti Ipca 40 giovani per impedire la loro deportazione in Germania». Ha quindi fatto un'analisi delle condizioni di lavoro in fabbrica contestando la situazione drammatica emersa nel corso delle prime diciannove udienze: «Sei anni di reclusione sono stati chiesti — ha aggiunto — quasi si trattasse di rapinatori con il mitra». «Se nel '68 i funzionari dell'Ispettorato lavoro, preposti al controllo e alla vigilanza, "non sanno" e "non conoscono" come può farsi carico ai responsabili dell'azienda di non aver affrontato il problema?». Anche l'avvocato Lageard, difensore del medico di fabbrica dottor Giovanni Mussa, non ha risparmiato critiche all'operato degli Ispettori. «La legge parla di medico competente, ma non dice che gli operai debbano essere sottoposti a particolari esami. Questi possono essere sollecitati ddall'ispettorato qualora ne ravvisi la necessità. Non l'ha fatto, e il suo cog1cepplsac> comportamento è ben più che omissione d'attt d'ufficio». Il legale aveva esordito riconoscendo 11 compito difficile della difesa. «Una causa tragica — ha detto — che coinvolge emotivamente tutti e che deve farci aprire gli occhi perché certe cose non succedano più; perché non si muoia più sul lavoro. Siamo però qui a cercare le responsabilità. Una competenza specifica maggiore del medico avrebbe potuto fare di più, ma ciò non comporta la condanna automatica del dottor Mussa». Con rigorose argomentazioni ha precisato gli obblighi che la legge pone a carico del medico, dimostrando >■■* tlllllll MIIIIIIIMMll come l'articolo 33, testo unico sull'Igiene del lavoro, prevede solo l'uobbligo di visitare». «E' certo una carenza della norma — ha aggiunto — che non va però fatta pagare al dottor Mussa». Ha concluso: «Se dunque quella dell'imputato è solo responsabilità professionale non si deve valutarla prendendo come punto di riferimento le conoscenze specialistiche di illustri scienziati, ma la competenza media del medico generico». A questo proposito ha ricordato alcune testimonianze. «A Possio nell'ospedale di Lonzo è stata diagnosticata "cistite tbc" e non il cancro alla vescica. Davico va da un medico privato che gli prescrive cure inutili perché non ha scoperto il vero male. Alle Molinette non fanno la cistoscopio a Borino. Bonaudo infine viene operato per presunta ernia, invece era stato colpito alla vescica. Non è solo Mussa quindi che "non capisce" certe cose, non si può accusarlo di superficialità. Certo non è uno specialista in tumori». I legali hanno chiesto l'assoluzione del dottor Mussa perché «il fatto non costituisce reato», di Rodano e Silvio Ghisotti per «insussistenza del reato», per Sereno e Alfredo Ghisotti l'assoluzione piena o per insufficienza di prove. Le arringhe dei difensori proseguono oggi. Oggi si apre un altro capitolo sul fronte Ipca: compariranno davanti al pretore del lavoro Senslnl, assistite dall'avvocato Bosso, sette vedove della «fabbrica del cancro», Paola Cornetto vedova Glacometti, Giovanna Chiara ved. Berla, Emma Bodoira ved. Chiesa, Assunta Baima ved. Franco, Livia Caglieri ved. Gori, Agnese Massa ved. Berla, Marisa Pagllero ved. Pistura, mogli di ex operai Ipca morti di cancro. Hanno fatto causa all'Inali chiedendo all'Istituto Il versamento della «rendita» a partire dal '73. Francesco Bullo cpngvpdpquuinsfdmntT Parla l'aw. Giovanni Lageard; accanto a lui altri avvocati del collegio di difesa

Luoghi citati: Ciriè, Germania, Rodano