Tessili: duro contratto con l'ombra delta crisi

Tessili: duro contratto con l'ombra delta crisi Scioperi della categoria a Biella Tessili: duro contratto con l'ombra delta crisi Il punto di contrasto è il "turn over" (ricambio della manodopera) - Nel '76 c'è stata una ripresa - Adesso però non va bene (Dal nostro inviato speciale) Biella, 14 giugno. Ancora uno sciopero dei trentaduemila dipendenti delle industrie tessili biellesi. E' il terzo in un mese: altre astensioni dal lavoro sono previste nei prossimi giorni. Motivo dell'agitazione è il nuovo contratto integrativo della categoria. Sindacati ed Unione industriale sono in contrasto sulla parte «politica» del contratto; la possibilità di raggiungere un accordo appare ancora lontana. Le trattative, iniziate nella seconda metà di aprile, si sono bruscamente interrotte 1*11 maggio scorso, proprio mentre si discuteva il primo punto della piattaforma rivendicativa, quello riguardante il «turn over» (ricambio della manodopera). La divergenza, allo stato attuale, appare insanabile: sindacati ed industriali si trovano su posizioni decisamente contrarie. Che cosa chiedono i lavoratori tessili? Il punto principale è la riapertura generalizzata del « turn over » a partire dagli attuali livelli esistenti nelle aree, nei settori, negli stabilimenti, tenendo conto della composizione della manodopera impiegata e privilegiando l'occupazione delle donne e dei giovani. In altre parole, i sindacati rivendicano il ripristino del costante rimpiazzo dei dipendenti, che per qualsiasi motivo (escluso il licenziamento) lasciano l'a zienda, con un uguale numero di nuove assunzioni. Che cosa ribattono gli industriali? «Così com'è concepito dai sindacati il "turn over" non ha alcun significato — afferma Paolo Botto, capo della delegazione che tratta con i sindacati — non sarebbe più possibile gestire un'azienda». Nessuna possibilità, dunque, di scendere ad un compromesso, ma un netto rifiuto. Più accomodante, il sindacalista Franco Novaretti, appena rientrato dal sesto congresso della Uilta, dov'è stato rieletto segretario generale nazionale della federazione. «A Biella, per ora, non c'è disoccupazione, c'è anche richiesta di manodopera qualificata che non si trova. Il problema del "turn over", dunque, non è immediato, ma è certo che si tratta di una questione che non può essere rinviata o addirittura accantonata ». La piattaforma rivendicativa contiene altre richieste; la comunicazione mensile ai consigli di fabbrica, ai rappresentanti aziendali o alle organizzazioni sindacali territoriali della composizione degli organici, dell'andamento del «turn over» e delle assunzioni; la verifica dell'andamento occupazionale attraverso l'individuazione e l'assunzione dei nuovi posti di lavoro. Inoltre i lavoratori vogliono essere costantemente informati su ogni modifica dei processi produttivi. Per il rappresentante dell'Unione industriale si tratta di «una piattaforma politica che rende oltremodo difficile le trattative e la possibilità di arrivare ad un accordo». «Tutti noi siamo consci che i problemi ci sono — aggiunge Botto — ma vanno discussi e risolti nei limiti di nostra competenza. Qui, invece, si vorrebbe che Biella definisse situazioni politiche nazionali». Per il segretario della Uilta, Novaretti, il grosso problema non è quello del contratto integrativo, «che verrà sicuramente risolto, scontentando tutti come vuole la tradizione», ma quello molto più grave delle prospettive future del settore. Gli stessi industriali ammettono di aver avuto una forte ripresa nel 1976 ma, come spiega Novaretti, «si è trattato di una falsa ripresa, di una ripresa "drogata" dai cambi favorevoli, che hanno invogliato i compratori esteri ad acquistare sul nostro mercato e dalla necessità di rifornire i magazzini vuoti dopo la crisi del 1974». «Purtroppo — aggiunge il sindacalista — si avvertono già i sintomi di una nuova fase depressiva per la seconda metà di quest'anno». Due le cause: la contrazione delle vendite sul mercato interno, conseguenza della crisi economica, e l'aumento delle importazioni «ad un ritmo di molta superiore alla crescita delle esportazioni. Nel 1976 si è avuto un aumento di quasi il 78 per cento, contro il 40 per cento delle esportazioni; mentre nei primi due mesi di quest'anno l'incremento delle importazioni ha raggiunto il 59 per cento e quello delle esportazioni solo il 24 per cento». Causa prima di questo incontrollato aumento delle importazioni è la concorrenza esercitata dai paesi in via di sviluppo e da quelli ad economia di Stato. Specialmente i primi «per il basso costo del lavoro stanno determinando un'invasione massiccia dei mercati — spiega Novaretti — ma questo è un problema di politica internazionale che va affrontato ad un altro livello. L'accordo multifibre, u7io dei mezzi col quale si è at¬ tuata la divisione del lavoro a livello mondiale per favorire l'industrializzazione dei paesi emergenti, ha previsto per la Cee un tasso d'importazione di prodotti tessili del 6 per cento annuo. Considerando che in Europa i consumi tessili aumentano del 2,5 per cento all'anno, è abbastanza facile concludere che tra 7-8 anni il fabbisogno di tessili della Comunità sarà coperto per il 55-60 per cento dalle importazioni». Questo, secondo il sindacalista, è il grave pericolo che minaccia il settore. «Naturalmente l'occupazione ne risente prima — aggiunge Novaretti: — ventanni fa, nel Biellese, avevamo cinquantamila lavoratori tessili, ora sono soltanto trentamila. Nell'industria manifatturiera italiana, il settore tessile, con i suoi ottocentomila addetti occupa il primo posto. Ma nel 1975 sono stati perduti oltre cinquantamila posti di lavoro; quasi quindicimila nel 1976. Nei primi mesi di quest'anno si è registrato un ulteriore calo del 4,2 per cento». Responsabile di questa dimi nuzione dell'occupazione è anche il padronato «che punta non ad una espansione produttiva attraverso gli in¬ vestimenti, ma a recupero di produzione attraverso l'intensificarsi dei ritmi di lavoro, alla richiesta abnorme di straordinario, al frazionamento incontrollato delle attività industriali, al ricorso massiccio al lavoro nero ed al lavoro precario. Soltanto nel Biellese — afferma il sindacalista — sono almeno sei o settemila i lavoratori "casalinghi". Da soli, potrebbero dar vita ad una delle più grosse industrie del settore». f. f.

Persone citate: Botto, Franco Novaretti, Novaretti, Paolo Botto

Luoghi citati: Biella, Europa