Filippi liberato ricorda i 18 giorni deirinciibo di Marzio Fabbri

Filippi liberato ricorda i 18 giorni deirinciibo DUE DRAMMATICHE STORIE DI RAPIMENTI A MILANO ED A ROMA Filippi liberato ricorda i 18 giorni deirinciibo Il giovane, nipote del "re delle pentole a pressione", ha perso 20 chili - La famiglia ha pagato ai banditi un riscatto di 350 milioni - Il racconto del sequestrato (Dal nostro corrispondente) Milano, 14 giugno. Sono stati 18 giorni di incubo quelli che Pierfranco Filippi, 17 anni, nipote del «re delle pentole a pressione», ha passato in mano ai suoi rapitori prima di essere liberato la scorsa notte in seguito al pagamento di un riscatto di 350 milioni. Quando è stato ritrovato in via Padova, alla periferia Est della città, faticava a stare in piedi ed era in pessime condizioni fisiche. E' giovane e certamente si riprenderà, ma difficilmente scorderà quello che gli è capitato. Magro da far paura, è calato di quasi venti chili in questo periodo, sulle tempie due piaghe in corrispondenza dei cerotti messigli sugli occhi per impedirgli di guardare in giro, i capelli incrostati dal. sangue uscito dalle ferite che gli avevano inferto i banditi al momento del sequestro picchiando sul capo con il calcio di una pistola, per avere ragione della sua disperata resistenza. Appena arrivato a casa, a Milano. Pierfranco Filippi nella sua casa con lo zio Alfredo Cavalli e altri familiari Pessano con Bornago, nella villa dello zio Alfredo Cavalli, che lo ha preso con sé, insieme alla sorella diciottenne, dopo la morte della madre, è stato ristorato con del latte caldo e alcuni biscotti, poi ha potuto r scontare qualcosa della terribile esperienza. Quando lo hanno aggredito, la mattina del 27 maggio, mentre appena uscito di casa stava andando a raggiungere la fermata dell'autobus per Milano, dove frequenta la scuola, lo hanno picchiato a lungo, duramente, sulla testa. «Volevano che perdessi conoscema — ha detto il ragazzo — ma non ci sono riusciti. Sono rimasto cosciente per tutto il tempo, tanto che ricordo benissimo che a un certo punto abbiamo cambiato auto dopo avere percorso un tratto abbastanza breve, credo in direzione di Milano. Sono stato caricato di peso e sbattuto su un letto, incatenato alle mani e ai piedi. Per tutto il periodo non ho potuto alzarmi». Il ragazzo ha spiegato che dopo i primi cinque giorni gli sono state tolte le catene, tanto non sarebbe stato capace neppure di alzarsi, figurarsi di fuggire. La tortura peggiore, racconta Pierfranco Filippi, è stata quella ideata dai banditi per impedirgli di sentire eventuali rumori di fondo che portassero poi all'identificazione .Iella prigione. «Mi hanno infilato nelle secchie, fissandoli poi con del cerotto, due auricolari collegati con una radio che per tutti i 18 giorni è rimasta accesa giorno e notte». Questo, se da un lato ha rischiato di farlo impazzire dall'altro gli ha permesso di avere sempre la cognizione del tempo, facile da perdere in quelle condizioni di prigionia, soprattutto perché i banditi hanno somministrato al loro ostaggio dosi massicce di tranquillanti. Lo ha confermato il medico dopo una visita sommaria al ragazzo appena liberato. La lingua ispessita lo testimonia e lo conferma Pierfranco: «Ogni sera alle 19 mi costringevano a prendere due pastiglie dopo di che inevitabilmente mi addormentavo». Anche per quello che riguarda il cibo i rapitori non hanno avuto molti riguardi. «Per tutto il tempo mi hanno dato solo pasta, e per di più schifosa. Solo in un paio di occasioni ho avuto della carne, ma anche questa quasi immangiabile». •E' dunque quasi impossibile per la giovane vittima del sequestro fornire agli inquirenti notizie utili per l'identificazione dei suoi carcerieri. Per di più questi evitavano al massimo di parlare di lui e quando erano costretti a farlo si infilavano in bocca una specie di paradenti da pugile che alterava completamente la voce rendendo impossibile riconoscere persino qualsiasi eventuale inflessione dialettale. Lo stesso accorgimento era utilizzato da chi telefonava alla famiglia per fornire le indicazioni sul pagamento del riscatto. A segnalare ai congiunti che Pierfranco era tornato libero sono stati gli stessi banditi con una telefonata giunta nella villa di Pessano con Bornago ieri sera poco dopo mezzanotte. «Come d'accordo il ragazzo è in via Padova» ha detto l'anonimo interlocutore: Io zio e un amico, Adalberto Gavazzi, di 42 anni, si sono precipitati sul posto e hanno trovato Pierfranco seduto sotto un ponte della ferrovia, inebetito e incapace di muoversi. Secondo quanto si è appreso i 350 milioni di riscatto erano stati pagati non più di 24 ore prima, in una località imprecisata, malgrado la magistratura avesse deciso di usare anche in questo caso, come in quelli precedenti, la «linea dura». Infatti tutti i beni della famiglia erano stati posti sotto sequestro e gli investigatori pochi giorni fa avevano messo le mani anche su qualche decina di milioni che con tutta probabilità dovevano essere una prima rata. Adalberto Gavazzi, sulla macchina dello zio del rapito, con a bordo il denaro, si era recato alla periferia Sud di Milano dove aveva abbandonato la vettura. A sua insaputa i carabinieri si erano appostati nella zona nella speranza di sorprendere i banditi che sarebbero venuti a ritirare il denaro, ma non si era presentato nessuno. Quando il Gavazzi era tornato a prendere l'auto, era stato bloccato dai militari che, su ordine del magistrato avevano anche preso il denaro. Questa operazione con tutta probabilità ha convinto i banditi delle difficoltà che avrebbero incontrato per incassare il riscatto e così quando hanno avuto i 350 milioni, cifra relativamente bassa per questo genere di reato, si sono accontentati e hanno restituito l'ostaggio. Marzio Fabbri

Persone citate: Adalberto Gavazzi, Alfredo Cavalli, Filippi, Pierfranco Filippi

Luoghi citati: Milano, Pessano Con Bornago, Roma