Suarez oggi sta portando la Spagna verso la democrazia, senza fratture di Aldo Rizzo

Suarez oggi sta portando la Spagna verso la democrazia, senza fratture Chi è il medico politico che cura il post-franchismo Suarez oggi sta portando la Spagna verso la democrazia, senza fratture (Dal nostro inviato speciale) Madrid, 11 giugno. Su Adolfo Suarez, primo ministro in carica e «leader» dell'«Union del centro democratico», grava il ricordo di quell'altro primo ministro, Portela Valladares, che 41 anni fa tentò anch'egli di inserire un partito centrista tra le due anime della Spagna storica, la destra retriva e la sinistra intemperante, e ne fu schiacciato. Erano le ultime elezioni della Repubblica, 5 mesi prima della guerra civile. Ma questa volta e diverso. Tutto fa credere che Suarez vincerà, e solo è in discussione la misura del successo. L'emergere di un centro è la novità della politica spagnola, tra una destra che non è piti tutta dichiaratamente reazionaria e una sinistra che ha imparato a sue spese in quasi mezzo secolo l'arte della pazienza e della temperan¬ za. La Spagna è cambiata nel profondo, o così sembra. E' come se nella guerra civile e nel lungo fascismo che ne seguì avesse finalmente bruciato le sue passioni e la sua follia. Quando la guerra civile cominciò, Suarez aveva 3 anni: ne ha oggi 44. La sua generazione, che comprende lo stesso re Juan Carlos e l'ancor più giovane «leader» socialista Gonzales, s'è dunque preso il compito di riaprire il discorso spagnolo in termini «europei», cioè di un confronto civile, non necessariamente drammatico. E' certo la piti idonea a farlo, priva com'è di ferite personali, di echi diretti. Ma dentro questa generazione, Suarez ha svolto e sta svolgendo un ruolo singolare. Viene da una famiglia media di Avila, la sua prima educazione è quella del rigido cattolicesimo castigliano (A- 1 temporanea vila è la patria di Santa Teresa), Azione cattolica e poi Opus Dei. Ma il futuro primo ministro vive l'eredità della Spagna senza identificarvisi. Entra nel « Movimiento », il partito unico franchista, e ne sale via via la scala gerarchica, ma senza un'adesione ideologica: prima di tutto è un buon lavoro, per un laureato senza risorse economiche. Decisiva è l'amicizia personale col futuro re. Quando muore Franco e i suoi eredi diretti annaspano fra innovazioni e « continuismo », è nominato capo del governo. Un'amicizia nata, dicono, soprattutto sui campi da tennis diventa un rapporto politico decisivo per la Spagna. Suarez compie quello che è, tecnicamente, un capolavoro politico: fa votare alle Cortes franchiste la propria dissoluzione, porta avanti una riforma del sistema che, senza essere conclusa, già consente libere elezioni, tiene a bada la destra politica e soprattutto quella militare nel momento cruciale in cui anche il partito comunista riacquista la legalità formale. E' il vero artefice (con Juan Carlos che è alle sue spalle) della sola transizione indolore dal fascismo alla democrazia che il mondo contemporaneo conosca. Naturalmente agisce su una Spagna che è in movimento da tempo, nonostante le sovrastrutture autoritarie. La società, benché isolata, ma non tanto da non avvertire ciò che accade nel resto d'Europa, ha liberato stimoli economici, sociali e culturali. E lo stesso potere franchista ha ceduto a certe esigenze di cambiamento. Quando, all'inizio degli Anni Sessanta, ha dovuto ricorrere all'aiuto e al consiglio degli organismi economici internazionali, come il Fondo monetario e l'Oece, ha capito che il tempo dell'autarchia e della stagnazione era finito, se l'economia spagnola voleva sopravvivere. Óra l'economista comunista Tamames dice che il piano di stabilizzazione e la conapertura della Spagna al mercato internazionale sono le cose migliori, o le sole buone, che il regime franchista abbia fatto in quarant'anni. Dai 248 dollari di prodotto lordo « prò capite » del 1960 si è passati ai 2865 del 1975, da 10 automobili ogni mille abitanti a 125. La crescita è stata squilibrata, come altrove e forse piti che altrove: restano gravi problemi di infrastrutture sociali (scuole, case, ospedali), e il « coefficiente di ineguaglianza secondo l'Oece, è- di 10,7 contro il 4 olandese e il 6,4 britannico; per queste ed altre ragioni ora la crescita si è arrestata e anzi l'economia è in grave crisi. Ma ciò non toglie che la Spagna sia cambiata, rispetto al suo passato storico. Ha avuto, seppure tardiva e affannosa, la sua rivoluzione industriale. Tuttavia, anche dopo la scomparsa di Franco, il rinnovamento socio-economico faticava a esprimersi in uno politico-istituzionale; prevaleva l'illusione che ciò che bisognava cambiare fosse stato cambiato e non restasse da fare che degli aggiustamenti. Questa, a conti fatti, fu la filosofia del primo governo post-franchista, quello di Arias Navarro. Il merito di Suarez è di avere infranto quest'illusione. Di lui il « leader » socialista Gonzales dice che è « un uomo senza ideologia », però « con capacità di lavoro e con una grande abilità ». L'altro « leader » socialista, Tierno Galvan lo definisce « un uomo realista e flessibile, capace di ascoltare e di intendere le ragioni altrui ». E ancora piti esplicita, benché interessata, è l'ammirazione del segretario generale del partito comunista, Carrillo: « Suarez è un democratico sincero, che ha saputo staccarsi dal passato regime ». Solo quelli di « Alian\za popular» (la formazione post-franchista concorrente, di centro-destra, con uomini di destra vera, come Arias) usano parole dure: dicono che è « traditore e ambizioso », o al massimo, come fa il loro « leader », Fraga Iribarne, affermano che è « abile e svelto, ma non intelligente ». Non è intelligente? Semmai si può discutere sull'assenza di ideologia. Suarez, in effetti, non sembra averne una. Così come passò all'interno delle istituzioni franchiste senza identificarsi con la loro dottrina, ora si muove fra i partiti senza riconoscersi verarrmte in nessuno di essi. La sua « Union del centro » raggruppa franchisti Aldo Rizzo (Continua a pagina 2 in settima colonna)

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