Spagna: questiipartiti nella battaglia elettorale

Spagna: questiipartiti nella battaglia elettorale Tra una settimana alle urne, dopo 41 anni Spagna: questiipartiti nella battaglia elettorale (Dal nostro inviato speciale) Madrid, 8 giugno. Partiti ed erotismo sui muri di Madrid, appelli elettorali e film disinibiti, la liberazione da due antichi tabù, la politica e il sesso. Finisce la lunga repressione spagnola, tra la Controriforma e il fascismo austero di Franco, «Caudillo por grada de Dios». Elezioni in Spagna. Le ultime furono il 16 febbraio di quarantun anni fa. Vinse il Fronte popolare, e cinque mesi dopo si sollevarono i militari di destra. La guerra civile uccise almeno 700 mila persone, altre 350 mila le constrinse all'esilio. L'economia fece un passo indietro di diciotto anni: infatti il prodotto nazionale lordo del 1935 fu rieguagliato solo nel '53. E, con la vittoria di Franco, il tunnel della dittatura, l'isolamento, un nazionalismo insieme prudente e offensivo: «Espana es diferente ». Tutto ciò cominciò a finire il 20 novembre di due anni fa, con la morte del vecchio Caudillo. Quella era la scadenza prevista. Ma le resistenze al cambiamento erano grandi, la struttura repressiva e la sua base socio-politica restavano intatte. Che in diciannove mesi queste resistenze siano state superate e la Spagna sia stata avviata senza traumi gravi verso una decisiva normalizzazione democratica, è uno dei più straordinari processi politici del nostro tempo. Infatti non sono stati necessari una guerra persa, uno showdown fallito o un golpe, come in Italia e in Germania e più recentemente in Grecia e in Portogallo: ci si è affidati alla logica interna di un'evoluzione imposta dalle circostanze storiche e dalle pressioni dell'Europa democratica. Si vota tra una settimana, il 15 giugno. Nel vecchio palazzo delle Cortes, tra il Museo del Prado e la Puerta del Sol, dietro i leoni di bronzo e il colonnato corinzio, simboli della potenza coloniale, dove per quarant'anni si riunirono (saltuariamente) i procuradores fascisti, entreranno socialisti e liberali, democristiani e comunisti, e naturalmente anche i conservatori incalliti e i fascisti superstiti. Ma che tutti abbiano diritto a esprimersi e a concorrere alla formazione della volontà generale è la regola, riscoperta in Spagna, della democrazia. Il segno più vistoso del cambiamento è la possibilità che sia Dolores Ibarruri, la pasionaria, il simbolo più controverso del comunismo storico spagnolo, a dichiarare aperta la prima seduta del futuro Parlamento, essendone, ultra-ottantenne, la candidata più anziana. Ma il protagonista vero delle elezioni e quarant'anni più giovane, è Adolfo Suarez, primo ministro in carica e vero artefice, con alle spalle l'altrettanto giovane re, della transizione indolore. E' il leader della «Union del centro democratico», il cartello moderato che raggruppa forze liberali, democristiane e socialdemocratiche e che si candi¬ da come principale supporto politico della fase finale del «cambio». Dentro il caso spagnolo esiste un caso Suarez: l'ultimo capo del Movimiento, il partito unico franchista, noto soprattutto per essere amico privato del re e suo compagno di sport, è l'uomo che ha pilotato la Spagna fuori dal franchismo, verso la prova elettorale. E quaranta, anzi quasi cinquantanni più giovane della «pasionaria» è Felipe Gonzales, segretario generale del Partido socialista obrero espanol (Psoe), al quale i sondaggi assegnano almeno il 25 per cento del voto generale, di fronte al 30 o meno del partito di Suarez. Gonzales, trentacinquenne avvocato di Siviglia, è M successore di Largo Caballero, Indalecio Prieto, Juan Negrin, i capi storici del più forte partito della sinistra spagnola, protagonisti e vittime, in senso politico, della tragedia degli Anni Trenta. Gonzales è l'anti-Suarez e nello stesso tempo i! suo pendant democratico a sinistra, in un senso europeo, «pupillo» di Mitterrand e Brandt, Callaghan e Soares. A destra di Suarez, c'è VAlianza popular di Fraga Iribarne, l'ex ministro dell'Interno del primo governo monarchico e post-franchista, collocatosi sulle posizioni ambigue di un cambiamento che sia tale da «aggiornare» e «liberalizzare» il sistema spagnolo, ma non tale da cambiarlo radicalmente. Fraga è il «gattopardo» spagnolo: cambiare qualcosa perché la sostanza non cambi. II suo appello non è senza echi nell'opinione pubblica: avrà forse il 15 per cento dei voti. A sinistra di Gonzales c'è il partito comunista della Ibarruri, ma soprattutto di Santiago Carrillo: dunque un partito eurocomunista, il più avanzato sulla via della revisione dei vecchi dogmi e dell'indipendenza dall'Urss; al che va aggiunta una straordinaria prudenza tattica, la decisione fermissima di non mettersi in mostra più del necessario, stimolando reazioni che potrebbero risultare fatali non solo al pce ma alla nascente democrazia spagnola. Al pce i sondaggi assegnano l'8-10 per cento; ma il ritorno legale del comunismo in Spagna è una variabile che non si può ancora controllare. Queste sono le forze principali. Poi c'è la de ufficiale di Ruiz Gimenez e Gii Robles, il partito socialista popolare di Tierno Galvan, l'ultra destra di Blas Pinar, l'ultra sinistra, non legalizzata ma presente in liste «indipendenti», di vari partiti a base regionale. Ma democristiani ufficiali e socialisti popolari potranno aggregarsi in un secondo tempo alle formazioni più rilevanti; la frantumazione eccessiva del quadro politico sembra un pericolo avvertito dai democratici. Quanto agli «ul. tras», non dovrebbero avere che uno spazio esiguo. Naturalmente l'evoluzione spagnola, dal franchismo alla democrazia piena, è lungi dall'essersi conclusa. Il nuovo Parlamento (Congresso dei deputati e Senato) si troverà ad agire in un quadro costituzionale che è ancora, fondamentalmente, quello di Franco. Si porrà il problema di una nuova Costituzione. E nel completare la transizione bisognerà tener conto di forze che restano guardinghe, dopo aver represso non senza sforzo conati d'intervento: forze, s'intende, come l'esercito. Tutto il cambiamento spagnolo è stato dominato finora da questo timore; e si ha l'impressione che la stessa campagna elettorale, che in molti casi si svolge in luoghi chiusi, e sempre con toni bassi, ne sia parecchio condizionata. Un'altra incognita grave è l'economia. Il boom spagnolo, che ruppe per primo le vecchie strutture isolazionistiche, accelerando l'apertura all'Europa, ora vive la proAldo Rizzo (Continua a pagina 2 in ottava colonna)