Al congresso Cgil: i sindacalisti socialisti temono gli effetti di un'intesa Ita dc e pci

Al congresso Cgil: i sindacalisti socialisti temono gli effetti di un'intesa Ita dc e pci Dibattuto a Rimini il tema dell'autonomia del sindacato Al congresso Cgil: i sindacalisti socialisti temono gli effetti di un'intesa Ita dc e pci Il rapporto sindacato-partiti dovrà essere portato all'esame di una più larga assemblea: Benvenuto (Uil) propone una riunione congiunta dei delegati partecipanti ai tre congressi confederali (oltre 4 mila persone) i Dal nostro inviato speciale) Rimini, 7 giugno. Il rapporto tra sindacato e partiti è stato il tema dominante della seconda giornata del congresso della Cgil. Alla tribuna si sono avvicendati alcuni leaders, come il demoproletario Elio Giovannini, il socialista Mario Didò e il segretario generale della Uil, Giorgio Benvenuto. Schematizzando, il problema può essere cosi impostato: nella Cgil i comunisti sembrano disposti a dare per scontato che il cambiamento del «quadro politico» (cioè l'ingresso del partito comunista nell'area di potere) risolve molte delle questioni che interessano i lavoratori; quindi, i sindacalisti comunisti (non tutti, ma quasi tutti) tendono a non sollevare questioni troppo grosse che ostacolino la marcia verso il «compromesso storico» che il partito comunista sta effettuando in se- de politica, pagando gli inevitabili prezzi. E' vero che questo cambiamento di linea (dalla contestazione alla partecipazione conflittuale) è cominciato nella Cgil un paio di anni addietro, però oggi, nell'alveo del cambiamento politico che si sta verificando nel Paese (il pei che passa dall'opposizione all'astensione e dall'astensione all'area del potere), i sindacalisti comunisti «allungano il passo», secondo un'espressione usata oggi dal segretario repubblicano della Uil, Aride Rossi, che segue il dibattito come osservatore. Un altro osservatore congressuale, il segretario socialista della Uil, Ruggero Ravenna, dopo aver sottolineato che «l'aspetto più rilevante della relazione di Lama è quello relativo ad una più chiara definizione del rapporto tra sindacato e quadro politico», ha aggiunto che la strada giusta è quella di «far maturare la convinzione che bisogna evitare la delega a questo o a quel partito o ad un gruppo di partiti, per realizzare gli obiettivi unitari del movimento sindacale». A giudizio di Ravenna, Lama, nella sua relazione letta al congresso, ha assunto su questo argomento «un atteggiamento più definito e più avanzato di quello che era contenuto nelle tesi congressuali della Cgil». Però non basta: almeno questa è la sensazione che si è ricavata oggi dagli interventi del demoproletario Giovannini e dei socialisti Didò e Benvenuto. Per intenderci, non sono stati «attacchi frontali» con toni drammatici; tutto è avvenuto con il linguaggio allusivo e diplomatico che ormai è diventato patrimonio (negativo) anche dei sindacalisti. Per esempio, Benvenuto ha fatto una proposta «carica di significati» solo per gli «addetti ai lavori»: Lama, nella relazione, aveva espresso l'esigenza che il rapporto tra sindacato e partiti venisse discusso (subito dopo i tre congressi) dai Consigli generali della Cgil, della Cisl e della Uil, cioè da 500-600 sindacalisti di «vertice» che saranno eletti dai congressi; Benvenuto, invece, ha proposto che la questione sia discussa «in una riunione congiunta dei delegati partecipanti ai tre congressi confederali», cioè da un'assemblea di oltre quattromila persone (1500 della Cgil, almeno altrettante della Cisl e un migliaio della Uil) dove la voce della base avrebbe più spazio. I comunisti, tuttavia, controllano saldamente la maggioranza dei 1500 delegati che formano la platea dell'odierno congresso della Cgil. Oggi Giovannini (pdup) ha avuto un «applauso tiepido», quasi di cortesia, ben lontano dai consensi che di solito raccoglie parlando, per esempio, alla base dei metalmeccanici. I socialisti — nel partito e nel sindacato — temono gli effetti dell'intesa tra democristiani e comunisti. Però avvertono anche che «attaccare i comunisti da sinistra» non sarebbe molto agevole e, data la situazione economica generale, non sarebbe nemmeno molto giusto, in rapporto agli interessi del Paese. I socialisti quindi puntano su un «ruolo estremamente dialettico del sindacato», come ha detto oggi Benvenuto, per evitare il pericolo che «secondo la collaudata politica dell'on. Moro, i periodi di massima apertura formale (colloquio con i comunisti e, anni addietro, con i socialisti per il centro-sinistra) coincidano con politiche estremamente e pericolosamente restauratrici». Il segretario generale della Uil ha aggiunto: «Per questo non deve passare, in questa fase, il principio delle reciproche sfere di influenza tra partiti e sindacati: esso è, oggettivamente, un collateralismo di tipo nuovo e porta ad una caduta verticale di autonomia del movimento sindacale». Per Giovarmini (pdup) «saranno i prossimi mesi a dire se il sindacato riesce a mantenere, nel congresso, le capacità d'iniziativa». Egli ha aggiunto: «E' del tutto giusto che le forze politiche si assumano la responsabilità di dare risposte alla situazione del Paese. Però è altrettanto giusto che noi, come movimento sindacale, evitiamo di "schiacciare l'orizzonte", alla ricerca di compatibilità con il sistema, che finirebbero per distruggere questo sindacato». Infine, il socialista Didò ha sostenuto che «la politica del consenso non si realizza con il ridimensionamento dell'iniziativa del sindacato e la subordinazione a logiche esterne, di quadro politico». Egli ritiene che la programmazione debba realizzarsi «in un confronto permanente tra le ipotesi di sviluppo del sindacato, i programmi delle imprese e la politica economica delle istituzioni». Ciò per evitare «il pericolo di delegare ad un'eventuale evoluzione positiva del quadro politico l'esclusiva realizzazione di un diverso tipo di sviluppo». Sergio Devecchi

Luoghi citati: Ravenna, Rimini