Il barone rosé di Franco Lucentini

Il barone rosé L'AGENDA DI F. & L. Il barone rosé « Ventotto, ventinove, trenta. Ventotto, ventinove, trenta... » Indiani, autonomi e semplici profittatori si mettono in fila davanti alla cattedra, scelgono a caso il nome di un poeta o di un romanziere (Petrarca, Foscolo, De Marchi), sul quale si fingerà che siano stati interrogati, e il docente li rimanda a casa soddisfatti, vittoriosi, coi loro ventotto, ventinove e trenta. E' un espediente inventato, pare, da un « barone rosso » di Bologna, che da un lato non voleva togliere il pane a nessuno (il 27 è il voto minimo per il presalario), e dall'altro non voleva correre il sia pur remotissimo rischio che qualche controllore zelante trovasse strana una sfilza ininterrotta di trenta, e chiedesse un annullamento dell'esame, addirittura una incriminazione per falso in atto pubblico. Lo stratagemma, per la sua italica praticità e astuzia, per il suo immancabile tocco deamicisiano, è piaciuto e si è diffuso rapidamente in tutte le nostre università. Guardato dal di fuori esso appare cinico e ignobile. Ma mettiamoci, italicamente, una mano sul cuore, mettiamoci per un momento nei panni dell'ideatore di questa indulgente giaculatoria. Egli è un uomo, diciamo, tra i quaranta e i cinquanta, che per tutta la vita ha creduto onestamente di essere un anticonformista, un refrattario, un ribelle. Ha sempre disprezzato la sua famiglia di piccola o media borghesia, che gli ha pagato gli studi. Ha fondato, giovanissimo, un cineclub di periferia, distaccandosene per dissensi circa l'importanza di Eric von Stroheim. Si è laureato con una tesi « gramsciana » su Jacopone da Todi e si è avvicinato al partito comunista, da cui si è tuttavia allontanato nel 1956. Ha fondato due coraggiose riviste letterarie, entrambe finite al terzo numero. Ho fatto il portaborsa a un vecchio « maestro » universitario, rodendosi il fegato e scrivendo virulente poesie in forma di rombo e di clessidra; ha fatto il supplente, sempre rodendosi il fegato, in vari istituti religiosi e statali; ha finito per sposare (in chiesa) una compagna di scuola, buona, bruttina e con un discreto impiego, che dopo il matrimonio ha deposto ogni pretesa di interessarsi a Husserl; ha acquistato una Volkswagen di seconda mano color caffelatte (gli sarebbe piaciuta nera), ed è stato per un anno « lettore » d'italiano a Metz; ha collaborato al Terzo Programma della Rai, riuscendo nel 1959, in barba alla censura democristiana, a far pronunciare la parola « genitali » dallo speaker che leggeva un suo profilo (15 minuti) di Rabelais. Nel 1961 si è riavvicinato al partito comunista e ha pubblicato una raccolta di novelle, vendendone, a causa del loro coraggioso carattere anticommerciale, 223 copie. Nel 1963 ha conseguito la libera docenza, ha scoperto il neo-capitalismo e l'invincibilità del medesimo. Un quotidiano (borghese), e un settimanale (sempre borghese), hanno cominciato ad accettare saltuariamente certe sue noticine critiche, firmate con le iniziali. La televisione gli ha affidato traduzione e adattamento di un dramma elisabettiano minore, e in seguito l'ha invitato a una tavola rotonda sul tema « Dove va il romanzo? ». Ha conosciuto Moravia in una trattoria romani, si è riallontanato dal partito comunista e si è innamorato di una sociologa canadese, incontrata all'abbazia di Royaumont, che gli ha fatto leggere de Saussure e Lacan; ha faticato un po' a persuadere la moglie che in fondo si trattava solo di una cosa intellettuale. Nel 1966 è andato in America con una borsa di studio, ha visto praticamente coi suoi occhi i campus in fermento e i ghetti negri in rivolta, e si è innamorato di una studentessa ebrea (ma in fondo era solo una cosa fisica) che gli ha fatto leggere Reich e provare la marijuana. Ha scoperto che il neo-capitalismo è finito e si è riavvicinato al partito comunista. Ha scoperto l'uso della parola «fenomeno» per attutire qualsiasi cosa. Il fenomeno del maggio francese segna la grande svolta nella sua vita. Di riflesso, si lascia crescere la barba, adotta maglioni e jeans, abbandona la collaborazione al quotidiano borghese e passa a un altro quotidiano, anch'esso borghese ma notevolmente più aperto e più remunerativo. Conosce Mario Capanna in una trattoria di Porta Ticinese, firma 54 manifesti, appelli, risoluzioni e prese di posizione sul Vietnam, il Brasile, la Grecia, il Cile, il Mozambico, e acquista una Volkswagen nera, decapottabile. Ottiene una semicattedra a Cagliari, e l'anno dopo una cattedra di « Generalità comparate » all'ateneo di Bologna. Va due volte in Portogallo per vedere coi suoi occhi quella rivoluzione, scopre il vinho verde e impara -a cucinare il baccalà come i portuali di Lisbona. Partecipa a 18 tavole rotonde e 5 congressi, pubblica una coraggiosa antologia per le scuole medie intitolata «Tecabiblio », scrive una coraggiosa farsa imperniata sui rapporti omosessuali tra Garibaldi e Cavour. Scopre la parola « dissacrante », i film di Fred Astaire e la pornografia. Scopre la crisi d'identità. Guadagna benino, si riallontana dal partito comunista, abbandona la moglie (crisi della famiglia), portando però i bambini allo zoo una volta al mese. Prende a frequentare assiduamente la casa di una miliardaria milanese che gli procura, attraverso amici svizzeri, una soffitta con caminetto e moquette in un vecchio palazzo. Pensa di acquistare (ma vi rinuncia) una Land Rover, visita il Marocco, trascorre quindici giorni sulle coste della Romania rimanendo blandamente colpito dal fenomeno delle « code » per le mele e gli attaccapanni. Dubita dell'esistenza delle cosiddette Brigate Rosse e dei cosiddetti Nap. Spiega alle dame e alle figlie adolescenti delle dame (ha un breve e coraggioso rapporto con una di esse, ma in fondo era solo una cosa politica), che cosa siano le strutture, le sovrastrutture, le parastrutture e le protostrutture, e perché si trovino tutte indistintamente e irreversibilmente in crisi (crisi del sistema). Parla ormai con disinvoltura di masse, di lotte e di rivoluzione. Il consolato di Cecoslovacchia gli impedisce di andare a vedere coi suoi occhi che cosa succeda a Praga, ma la Columbia University lo invita a tenere un seminario su « Il trend sadomasochista nella poesia italiana, dall'Ariosto al Carducci ». Disapprova (in un cabinato che fa rotta verso la Sardegna) il fenomeno delle Brigate Rosse e dei Nap, ma ne riconosce la coerenza ideologica. Disapprova (in una fattoria riadattata del Casentino) la droga, gli espropri proletari, le devastazioni operate dai fruitori della musica pop, il femminismo esasperato e i pestaggi davanti alle scuole, ma vede lucidamente il carattere dirompente e necessario di tali fenomeni. Si riavvicina al partito comunista, mette alla porta l'antropologa lesbica con la quale conviveva (in fondo era una cosa contro natura), e all'ora di cena riprende a frequentare la moglie, che con minestrine e fettine di vitello (« sempre più care! ») lo guarisce dalla gastrite di cui era caduto vittima a forza di mangiare in trattoria. ★ ★ Eccolo dunque al giorno fatale, il nostro barone impropriamente chiamato « rosso ». Nulla nella sua vita, ch'egli ritiene in buona fede di aver vissuta tutta all'opposizione, l'ha preparato a questo momento. I soli proletari di cui abbia conoscenza diretta sono il garzone idraulico, che vota Msi e il garzone benzinaio, che considera pressoché miracoloso il fatto di aver servito una volta Mike Bongiorno con un pieno di super. La sola violenza di cui abbia idea è quella che hanno subito altri, in altre città, in altri paesi, in altre situazioni. Egli è, dalla punta del naso alla punta dell'alluce, un borghese qui s'ignore. Eccolo arrivare all'ateneo semioccupato e pullulante di scritte, cicche e cartacce, il nostro barone «rosé». Eccolo entrare in aula, sedersi e sorridere benignamente ai trenta o quaranta esaminandi, ragazzi e ragazze barbuti e arruffati e bluejeanati e maglionati e unghionerati quasi quanto lui stesso. Con loro (o con altri identici a loro, poiché è umanamente impossibile distinguerli) egli ha saputo instaurare un rapporto franchissimo, apertissimo, spregiudicatissimo. Tutti gli danno del tu, gli scroccano sigarette, si rivolgono a lui per aver autorevoli lumi su Carosello, sull'aborto, su Ubu Roi, sulle carceri, sulle scene di coprofagia nel Salò di Pasolini (che gli hanno fatto, segretamente, ribrezzo). Ma c'è qualcosa di nuovo oggi nell'aria. Questi vivaci ragazzi, ch'egli ha tante volte incoraggiati alla libera espressione di sé, alla calda vociferazione d'assemblea e di col¬ lettivo, al lavoro di gruppo, all'autocoscienza, all'autogestione, all'autoriduzione e perfino all'autoerotismo, questi effervescenti figli del suo magistero gli presentano, chissà mai perché, il conto. Vogliono il trenta per tutti, senza esame. Ah. L'esame è un'assurdità burocratica, un grottesco relitto nozionistico, classistico e fascistico. Ah. Cosa c'entrano gli stilnovisti e Giovanni Verga, con la vita d'oggi, con l'ora e il momento presenti? Eppure, tenta di ribattere il «rosé», c'entrano, inquantoché società e cultura sono legate da un rapporto dialettico il quale... Chi se ne frega della società? Chi se ne frega della cultura? Se interrogatorio ci dev'essere, sia esclusivamente dedicato alla disoccupazione, alla crisi delle abitazioni, allo stupro e al compromesso storico. Questi sono gli argomenti sui quali gli attualizzati giovani intendono, collettivamente, rispondere. Ma non si può. Come non si può? Ma se magari qualcuno si era preparato seriamente sul Manzoni, non sarebbe giusto che... Urla selvagge si levano contro questo nome iniquo e contro l'indiretto elogio della selezione. Ingiurie e oscenità inaudite piovono sullo sciagurato buffonepagliacciotrombonescemo, e come un sol uomo gli agili ragazzi, che hanno fatto tesoro dei suoi sarcasmi contro l'individualismo borghese, si precipitano attorno alla cattedra, la tempestano di fragorosi pugni, minacciano agguati, botte, ospedali, cimiteri e altre giocose e ironiche rappresaglie. •¥■ A questo punto si manifesta nel docente, a partire dalle sue viscere, un fenomeno singolare, inadeguatamente trattato dai grandi e piccoli teorici del dissenso, delle contestazioni e del crollo capitalistico. E' il fenomeno della tremarella, ben noto invece al Manzoni. Esso spalanca di colpo prospettive vertiginose negli orizzonti storicopolitici di questo Homais delle pillole permissive, di questo boyscout della buona azione rivoluzionaria. C'è dunque un nesso tra i minuscoli, spiritosi fiammiferi colorati che egli ha acceso nella vecchia foresta, e il muro di fuoco che ora gli crepita attorno? Cosi dunque sarebbe, in ultima analisi, la sacrosanta violenza, il furor di popolo, la rabbia delle masse, la sollevazione rigeneratrice su cui egli ha tanto meditato e parlato? Sarebbe questo lo strumento invocato per abbattere il sottogoverno democristiano e la Cia, le catene di montaggio, le sperequazioni tributarie, gl'inquinamenti, i ghetti urbani e l'economia del profitto? Questo, intuisce, e non altro. Una cosa amorfa e terribile, un corpo acefalo, un bo¬ lo, un magma inarticolato che contiene tutto e non risparmia nessuno, che non ragiona, non distingue, non guarda indietro, non guarda avanti, non ascolta più, non dibatte più, non chiede più lumi, non riconosce più, non lascia alle proprie spalle che rovine fumanti di moquette e Volkswagen nere, fattorie riadattate, biblioteche in noce, cabinati e cenette a base di baccalà alla portoghese. Se uno, beninteso, lascia fare. E in un lampo abbagliante, il barone rosé si chiede se Berlinguer lascerà fare, se i carabinieri, i marìnes, Breznev, la Cia, il Pentagono, avranno 10 stomaco di lasciar fare... La cattedra, che è di legno scadente, scricchiola come la società borghese; ma anche come la carretta che portava a Place de la Concorde i filosofini e gli abatini tanto bravi a intrattenere le marchese sulla libertà, prima del 1789. L'Italia non è il Cile!, si dice disperatamente il cattedratico, non è il Libano, non è l'Uruguay, non è la Spagna del '36, non è l'Ungheria del '56! Gli esplodono nella testa, tale e quale come le contraddizioni del sistema, cento soluzioni impossibili, chiamare 11 rettore, uscire sbattendo la porta, chiamare la polizia, fingere uno svenimento, dimettersi, restare muto e impassibile al suo posto, rispondere all'ingiuria con l'ingiuria, lasciarsi picchiare, forse accoppare... Via, non esageriamo! In fondo questi nichilisti, questi sbeffeggiatori universali, al loto voticino ci tengono. Negano l'università, ma non al punto da sputare sul deprecato «pezzo di carta». Disprezzano la selezione nozionistica, ma non tanto da rinunciare alla vana patacca che essa fornisce. Non esageriamo, ripete tra sé il professore guardando il cerchio di facce allegramente truci che lo sovrasta, l'Italia è sempre l'Italia! I fantasmi di Place de la Concorde, del Libano, di Kronstadt, della Comune e del Cile si allontanano in punta di piedi; entra, a passo deciso, lo spettro nazional-popolare di Don Abbondio. Lo scampato martire ha un sorriso tra machiavellico e paterno, mentre riflette che l'importante è non perdere la fiducia di questi giovani amici, non rompere il contatto, il dialogo, non aggravare lo scollamento. Asciugandosi il sudore, spiega la sua coraggiosa trovata, i ragazzi si mettono subito in fila come tanti chierichetti e la litania comincia: ventotto, ventinove, trenta, ventotto, ventinove, trenta... E' stata una dura giornata, per il barone rosé. Ma egli è abituato da anni a navigare tra i fenomeni di questo difficile mondo, e stasera sua moglie gli preparerà una buona tisana distensiva mentre lui si guarda un vecchio film di Eric von Stroheim su Telemontecarlo. Carlo Frutterò Franco Lucentini