Non più "ghetti,, ma vita!

Non più "ghetti,, ma vita! Qual è il destino dei centri storici cittadini Non più "ghetti,, ma vita! Nel cuore di Torino esistono vani sufficienti a una popolazione di 100 mila persone I residenti effettivi sono poco più di 60 mila e vivono in condizioni di sovraffollamento - Dove sono finite le 40 mila stanze teoricamente vuote? - Un convegno Si parla molto di centri storici. Il convegno chiuso ieri alla Camera di commercio di Torino ha richiamato un gran numero di persone non direttamente «addette ai lavori», segno di un crescente interesse dei cittadini che fino a ieri consideravano i centri storici come raccolte di monumenti e di palazzi patrizi più o meno conservati, immersi in una marea di edifici minori destinati alla rovina dopo essere stati rifugio di famiglie povere. Oggi nel centro storico di Torino c'è un numero di vani sufficienti a una popolazione di 100 mila persone. I residenti effettivi sono poco più di 60 mila, e vivono in condizioni di sovraffollamento. Dove sono finite le 40 mila stanze teoricamente vuote (fatto il rapporto di un vano per abitante, ma in certi edifici di Porta Palazzo si arriva a 6 abitanti per vano)? In parte sono abbandonate, ma in 9 casi su 10 sono state trasformate in sedi del «terziario». Entro un raggio di 500 metri da piazza Castello si trova tutto: dalla sede della Regione alle sedi del potere finanziario, giudiziario, governativo, religioso, militare; con qualche parentesi per grandi magazzini, boutiques, pelliccerie, alberghi, ristoranti celebri. «Volete espellere uffici e negozi per far vivere nel centro storico gli operai che lavorano a Rivalta, o Nichelino?» è stato domandato al convegno. All'origine c'è un equivoco: nessuno si batte per il trasferimento di operai nei centri storici. La lotta in corso da anni ha questo fine preciso: impedire che le famiglie di operai, pensionati, artigiani, insomma quelle che non possono pagare affitti molto alti, vengano cacciate dai quartieri in cui vivono, in cui hanno rapporti di amicizie e di affetti, in cui partecipano alla vita associata, da cui possono godere le occasioni culturali e di lavoro della città. Il «Regio» o i musei diventano automaticamente entità astratte e irraggiungibili se mi trasferisco in una casa popolare alla Falcherà. «Ma questa gente ci vive malissimo, nei quartieri antichi. Al convegno è stato detto che 18 mila vani sono da risanare integralmente. E' vero o no che un terzo delle famiglie vive nel centro storico senza riscaldamento, senza bagno, con i gabinetti comuni sui ballatoi? Perché volete negargli il diritto di trasferirsi in case nuove, ariose, dotate di ogni servizio? Come potete credere che il risanamento sia possibile a spese del comune o dello Stato, se la somma necessaria può arrivare a 40 miliardi per le sole parti più degradate del centro storico? ». Le domande non erano così esplicite, al convegno, ma vestite con linguaggio d'occasione. Risposte: a) E' verissimo che la situazione attuale dei residenti a basso reddito è pessima. Ma anziché cacciarli per restaurare le case e utilizzarle in altro modo si chiede che le case vengano restaurate per i residenti attuali. Dal punto di vista dei costi l'operazione è conveniente: un metro quadrato nuovo in periferia, di tipo economico-popolare, costa da 200 a 350 mila lire, un metro quadrato restaurato nel centro storico di Torino 188.658, comprendendo tetto, riscaldamento, pavimenti, impianto elettrico, rinforzi di muri indeboliti ecc. b) Le condizioni di vita nelle periferie nuove non sono affatto ideali. Può crederlo soltanto chi vive nei quartieri privilegiati. Delinquenza e analfabetismo sono più alti nelle periferie. Si vive cento volte meglio nei quartieri antichi risanati e dotati di tutti i servizi sociali, come si può verificare a Bologna (altre esperienze sono in corso a Verona, Bergamo, Como, Pavia, Ivrea, Modena). c) Non si chiede al Comune o allo Stato di risanare tutti i centri storici (sono 20 mila, compresi i nuclei minori nelle frazioni) con denaro del contribuente. Nel caso di Torino si ipotizza un sistema doppio: interventi pubblici su edifici di proprietà comunale da acquistare, convenzioni con i privati per tutti gli altri. Faccio un esempio con¬ clorsctpincpsvr(erIimt creto: proprietario di un alloggio di 100 mq in via Barbaroux, spesa prevista per il restauro 18 milioni, inquilino che paga 20 mila lire mensili. Il proprietario dovrebbe ottenere un credito agevolato per ridurre al minimo rate e interessi sui 18 milioni. Poiché l'inquilino non potrebbe pagare un fitto adeguato alla spesa, Stato e Comune dovrebbero integrare la differenza, con contributi mensili (dopo aver prefissato i costi e aver accertato per bene la reale entrata della famiglia). Il proprietario si dovrebbe impegnare a fare i lavori entro il piano del Comune, e a mantenere gli inquilini all'affitto concordato. Questo sistema funziona benissimo altrove, vedi Olanda. Comincia a funzionare a Bologna. L'esborso richiesto allo Stato è inferiore a quello richiesto dalla costruzione di case popolari in periferia, con relativi servizi, trasporti ecc. Per trasferire 10 mila torinesi dal centro storico alla periferia lo Stato dovrebbe spendere 50 miliardi, fatti tutti i conti, e con risultati disastrosi. Anche il linguaggio delle cifre qualche volta aiuta a rifiutare una strada che sembrava segnata e inevitabile Mario Fazio Vecchio magazzino dell'Acquedotto trasformato in abitazione in corso Principe Oddone

Persone citate: Mario Fazio