Italiani che gente!

Italiani che gente! CASTELLANETA Italiani che gente! IL vertice di Londra, di pochi giorni fa, ci ha detto quali sono le sette potenze industriali. C'è stato un momento, negli Anni Sessanta, in cui noi italiani abbiamo creduto di essere anche noi un grande Paese industriale. Adesso questa illusione è tramontata, e nessuno si meraviglia di non essere nella classifica, visto che la stessa Inghilterra ci è entrata per il rotto della cuffia. Ma c'è un'altra considerazione da fare, su quanto ha dichiarato Carter, ed è che i Paesi «trainanti» dell'economia mondiale sono tre: Stati Uniti, Germania Ovest e Giappone. Benissimo. Gli Stati Uniti hanno vinto l'ultima guerra, ed erano già da prima la maggiore potenza industriale. Germania e Giappone, invece, erano nostri alleati, la guerra l'hanno persa come noi. Dunque, cosa ci fanno in serie A? Possibile che noi italiani sbagliamo sempre alleato? Io credo che queste, ed altre domande, se le siano poste in molti. E magari qualcuno avrà pensato: «E se ripristinassimo l'Asse TokyoRoma-Berlino?». Effettivamente sarebbe adesso il momento giusto, non il 1940. Ma è una tradizione italiana anche questa: di sbagliare l'ora degli interventi. Sono sicuro che se una terza guerra mondiale si ripresentasse, noi staremmo all'inizio a guardare, cercando di capire chi vincerà. Ci sarebbero clamorose dichiarazioni di neutralità, discorsi pacifisti, per poi cambiare idea tutt'a un tratto e buttarci, come diceva Flaiano, «in soccorso del vincitore». E' andata cosi nelle due guerre mondiali, solo che l'ultima volta abbiamo puntato il cavallo sbagliato. Del resto, anche all'interno, sono secoli che l'italiano cerca di capire dove gli conviene stare per sopravvivere, se coi guelfi o coi ghibellini. E ancora oggi non ha deciso (questo fantomatico «italiano medio» che abita in ognuno di noi) se lo salverà una tessera comunista oppure democristiana. Figuriamoci in politica estera: buio completo. Fortuna ha voluto che, avendo cambiato casacca nel 1943, ci siamo ritrovati alleati degli Alleati. E adesso Carter (ultimo arrivato tra i nostri benefattori) promette di aiutarci. Naturale che sia così. Alleanza atlantica a parte. Si può dire di no a un italiano? Avete visto Emilio Colombo con quale eleganza portava il frack nelle strade di Orléans? Sul teleschermo sembrava lui l'Europa, con quel passo maestoso, mentre rendeva omaggio a Giovanna d'Arco. Perché nei ruoli di rappresentanza, diciamolo pure, non ci batte nessuno. Invece quando sediamo a una tavolata di nazioni, specie a queste grandi assise economiche venute ora di moda, si capisce subito che siamo stati invitati per educazione. E noi per primi stentiamo a dar credito a quel cartello con la scritta «Italia» posto dinanzi al delegato. E vorremmo dirgli: fa niente, lascia stare, parlerai un'altra volta. Talmente è chiaro che la nostra voce conterà poco o niente. Cosi, nel consesso dei paesi industriali, sembriamo quei colleghi d'ufficio simpatici, ben vestiti, ma di cui si teme sempre che ti chiedano il diecimila in prestito. Certo è un'impressione, che sarebbe dissipata se ogni tanto si leggesse sui giornali che il debito è stato saldato. «Restituito fino all'ultimo dollaro il prestito americano chiesto dal governo nel millenovecentosettant...». Chi l'ha mai letta una notizia simile? E' dal dopoguerra che chiediamo soldi in prestito, ma non so se ne abbiamo mai restituiti. Stai a vedere che questa volta abbiamo indovinato l'alleato giusto. In fondo, siamo anche noi nipotini dello zio Sam. Magari nipotini un po' discoli, che a volte fanno disperare lo Zio perché non fanno i compiti, perché litigano tra loro, perché buttano via i soldi in caramelle, perché frequentano cattive compagnie. Però alla fine, con una smorfia o con un broncio, sappiamo strappare un sorriso, e lo Zio è costretto a mettere mano al portafogli, proprio quando pensava di punirci. Allora mi viene il sospetto che questi soldi ci vengano dati per motivi oscuri, inconfessabili per entrambi i contraenti. Si può fare beneficenza anche per scaramanzia, per superstizione del domani, non si sa mai a chi può capitare. La lira è in pericolo? Coraggio, siamo qua noi. Nuova recessione economica? Su, vediamo cosa si può fare. Come se questi soldi ci venissero dati, più che altro, per il clima, per il sole, per l'allegria, per la vitalità che abbiamo, e anche per la sfortuna (terremoti e terroristi) che mai ci abbandona. Anzi, per il solo fatto che esistiamo, che siamo italiani. Una tassa che l'umanità è rassegnata a pagare purché noi gli teniamo in piedi Venezia o Portofino o Assisi, tutte quelle cose che ci fanno amare dagli stranieri, che poi quando a Tokyo fabbricano un tostapane lo battezzano «Capri». Ecco cosa siamo: un po' come certe specie animali che vanno salvaguardate qualsiasi cosa gli capiti, non so, gli stambecchi o i castori, di cui è vietata la caccia. Eh no! sembrano dire i Paesi Trainanti, l'Italia non deve perire. E subito organizzano una colletta. La Montedison va in rovina? Ecco un prestito in marchi: perché sulla spiaggia di Riccione gii ombrelloni siano pronti per Ferragosto. L'Egam ci dissesta? Niente paura, arriva una montagna di yen. A patto di poter girare in super otto a colori un bel ricordo della Torre di Pisa, da mostrare agli amici di Osaka. E cosi via. Che pacchia, ragazzi, siamo la Valle dei Castori. Carlo Castellartela

Persone citate: Carlo Castellartela, Emilio Colombo, Flaiano, Giovanna D'arco