Di ergastolo si muore di Silvana Mazzocchi

Di ergastolo si muore IN POCHI GIORNI DIECI CONDANNE Di ergastolo si muore Dell'abolizione di questa pena si discute da molti anni, ma non s'è deciso nulla - Speranze di sfuggire alla morte civile? La domanda di grazia e la libertà provvisoria dopo 28 anni di carcere - Appiattimento della coscienza e possibilità di redenzione - La logica repressiva Roma, 8 maggio. La giustizia italiana ha condannato in una settimana dieci persone al carcere a vita, tre donne e sette uomini. Il 2 maggio la corte d'assise di Torino ha deciso l'ergastolo per Franca Ballerini e Paolo Pan, giudicati responsabili dell'omicidio di Fulvio Magliacani e Giuliano La Chioma; sabato scorso a Novara sono stati inflitti otto ergastoli per l'uccisione di Cristina Mazzotti. A circa mezzo secolo dalla sua entrata in vigore, il codice penale non si è rinnovato e l'ergastolo, la più severa delle pene previste dal nostro ordinamento non è, almeno per ora, rimessa in discussione. Quali speranze restano ai circa seicento ergastolani rinchiusi nei penitenziari dello Stato di tornare ad essere uomini liberi? «Nella situazione attuale, nessuna — risponde Michele Coirò, membro del Consiglio superiore della magistratura —: a torto o a ragione, al momento si discute piuttosto se aggravare le pene e non certo come alleviarle. Il sistema è debole, per mantenersi in piedi reprime in escalation e ciò trova la sua occasione nell'aggravarsi del fenomeno della criminalità, ma anche nell'in- certezza politica e nella crisi economica». La riforma del primo libro del codice penale, dibattuta per anni e nella quale l'innovazione di maggior peso sarebbe dovuta essere l'abolizione dell'ergastolo e la sua sostituzione con la reclusione da trenta a quaranta anni, è entrata nella «zona del silenzio». Se ne è parlato per lungo tempo; all'inizio degli Anni Settanta, per due legislature, la riforma fu approvata quasi all'unanimità da uno dei due rami del Parlamento ma lo scioglimento delle Camere ne bloccò la definitiva approvazione. Il parere espresso da un membro della commissione Giustizia del Senato quando, per la prima volta, si votò per l'abolizione dell'ergastolo nel 1970, coglie nel segno. Dice: «Uno dei più gravi aspetti antiumani dell'ergastolo, lo si può cogliere nel passivo adattamento psicologico del condannato che appiattisce la sua coscienza e sopprime ogni possibilità di redenzione e anche di rieducazione». Per uscire dal tunnel della «morte civile» ci sono tuttora solo due strade: la domanda di grazia, già ultima speranza dei condannati a morte e la libertà provvisoria prevista dalla legge numero 1634 del 25 novembre 1962 la quale stabilisce che l'ergastolano, dopo almeno 28 anni di carcere, possa essere messo in libertà provvisoria se abbia tenuto buona condotta e dimostrato il proprio ravvedimento. Per effetto di questa legge — in cui molti videro elementi sufficienti per i fini di umanità e rieducazione — usci 1*11 febbraio 1975, Rina Fort. Aveva sessanta anni, era stata condannata per aver ucciso la moglie e i tre figli del suo amante nel primo dopoguerra, a Milano. Dell'abolizione dell'ergastolo si parla da più di trent'anni. Già in sede di Assemblea Costituente fu discussa l'abolizione del carcere a vita, ma la proposta non passò e si riuscì solo a inserire nella Costituzione l'articolo 27 il quale sancisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono invece ten-1dere alla rieducazione del condannato. Contro l'ergastolo sollevò eccezione di costituzionalità per la prima volta la corte d'assise di Verona nel maggio del '72. In fase d'apertura si bloccò il processo contro tre giovani veronesi dai 17 ai 23 anni di età, accusati di aver strangolato e gettato nell'Adige un sordomuto. Il pubblico ministero sollevò il quesito e gli avvocati della parte civile e della difésa si associarono, cosi l'eccezione arrivò alla Corte Costituzionale. La stessa questione, tre anni prima, al processo contro la banda Cavaliere era rimasta nei confini della corte d'assise perché respinta già in aula. La Corte Costituzionale nel novembre 1974 dichiarò «manifestamente infondata» l'eccezione sollevata a Verona e sancì la legittimità costituzionale dell'ergastolo lasciando al Parlamento la facoltà di proseguire sulla strada della sua abolizione. Nella sostanza la Corte riconfermò così il principio già espresso dalla Corte di cassazione, in sezioni unite, con una sentenza del 1956, seguita già all'epoca da profonde e violente critiche. In questa occasione la Cassazione decretò che la finalità della rieducazione dell'ergastolano può essere presa in considerazione soltanto nei limiti dell'esigenza di difesa sociale. Un concetto ripreso quindici anni dopo nella relazione preparata per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 1972 dall'allora procuratore generale di Torino, Giovanni Colli, che, nell'esprimere «preoccupate riserve sulla ventilata proposta di abolizione della pena dell'ergastolo» aggiunse che «se al singolo individuo è riconosciuto il diritto alla legittima difesa, perché lo stesso diritto non dovrebbe essere riconosciuto alla società? La certezza del castigo — concluse — e la sua giusta severità sono la condizione sine qua non di questa difesa». Molti operatori del diritto sono oggi all'opera per studiare quali limiti abbia, nel carcere, il concetto di riedu cazione. Un gruppo di analisi 1 di una università americana ha stabilito che il tempo massimo della pena, perché questa possa essere ritenuta «risocializzante» debba essere fissato a cinque anni. Una analisi che appare inconciliabile con le norme stabilite dai codici penali di tutto il mondo. Fin qui l'ergastolo sotto il profilo giuridico, ma oggi il problema va considerato con un'ottica profondamente diversa. Si tratta di scegliere tra la strada dell'aggravarsi delle pene e quella, a nostro parere auspicabile, di una seria riforma per il funzionamento della giustizia. C'è il pericolo infatti che, come stanno le cose, la pena più grave del nostro codice venga applicata con una logica repressiva, «a senso unico». Attualmente vengono puniti con il carcere a vita: l'omicidio aggravato, la strage, l'epidemia provocata con la diffusione di germi patogeni, l'avvelenamento aggravato di acque e sostanze alimentari, l'incolumità di un capo di Stato, lo spionaggio e tutti gli attentati contro l'integrità, l'indipendenza e l'incolumità dello Stato. Gli ergastoli assegnati dalla giustizia italiana di recente riguardano i primi reati. Per queUisociali, la tragedia di Seveso insegna, non succede altrettanto. Silvana Mazzocchi

Persone citate: Cristina Mazzotti, Franca Ballerini, Fulvio Magliacani, Giovanni Colli, Giuliano La Chioma, Michele Coirò, Paolo Pan, Rina Fort

Luoghi citati: Milano, Novara, Roma, Seveso, Torino, Verona