Come soffro!

Come soffro! Mario Soldati e il campionato Come soffro! L'altra sera in Tv, quando vedevo che la Juventus, alla ricerca di quei raddoppio che le avrebbe garantito a Bilbao una gara meno dura, invano continuava ad attaccare, si scopriva, e rischiava di subire un disastroso pareggio, improvvisamente mi sono chiesto: ma perché debbo soffrire tanto? Ho visto per la prima volta un match nel 1914: era sul campo del Torino, ed era il Torino contro la Juventus. Il mio ricordo ha qualcosa di allucinante, rituale e coloratissimo: come una pittura viva che mi sia apparsa per un istante solo e indimenticabile, incorniciata dai montanti e dalle travi di legno marrone della antica tribuna: il rettangolo di puro smeraldo, le contrapposte casacche bianconere e granata. Mi avevano condotto con loro mia madre, mio padre e alcuni loro amici, signore e signori, tut. ti naturalmente juventini. Avevo 8 anni. Juventino fui anch'io, da allora, per sempre. Ma soltanto adesso, alla partita dell'altra sera col Bilbao, soltanto adesso dopo 63 anni, mi sono chiesto: com'è possibile che una partita di football torturi e avveleni a questo modo? La risposta, pensandoci, l'ho trovata. Mi pare cosi semplice e così ovvia, che temo non valga nemmeno la pena di riferirla. Eccola, tuttavia. Nessun essere umano è sicuro del proprio destino, mai. Ciascuno, sempre, dicendoselo o senza dirselo, teme sciagure e sconfitte, prega per la salute e una cer. ta serenità. Anche i più fortunati nei momenti di maggiore fortuna pregano che la fortuna continui ad assisterli e temono che la fortuna li abbandoni. Ora, quelli che si appassionano al football, quando vedono la squadra del cuore impegnata in un match dall'esito incerto, identificano la propria sorte con la sorte della squadra del cuore. Per loro, inconsapevolmente e irrazionalmente, il risultato si carica di simboli. A cominciare dal ginnasio, poi, andai regolarmente a vedere la Juve coi compagni di scuola: Enrico Severini era il più ju. ventino di tutti. Se il match era difficile, nei momenti particolarmente angosciosi Enrico si curvava all'orecchio di chi di noi gli stava vicino e arrossendo e tremando mormorava: «DI un'Avemaria perchè la Juventus vinca». Diventò, tra di noi, un proverbio: tutti deridevamo Enrico. Ma lui aveva solo il torto di essere sincero, di non difendersi con una distinzione che gli adulti appassionati di football riescono, sì, a operare, ma a opera, re soltanto nella mente, non nei nervi, non nel cuore. Quanto a me, sono sicuro che fra tutti i juventini, di Torino e d'Italia, nessuno soffrirà più di me questa fine di campionato, queste tre settimane nel maggio 1977. Nessuno, infatti, come me agogna con intensità identica e dolorosamente contraddittoria, e con il massimo anticipo possibile, alla certezza aritmetica di una vittoria juventina e, insieme, alla certezza egualmente aritmetica di una sconfitta del Torino col minimo possibile scarto. Come mai? Ebbene, io sono stato teatro a me stesso di una coincidenza unica. Lasciai Torino nel novembre del 1927, e dopo di allora ebbi come domicilio Roma, New York, di nuovo Roma, e poi il lago d'Orta, ancora Roma e Napoli, e finalmente Milano e Tellaro, mai più Torino. La coincidenza è questa: che nel 1926 aveva vinto il campionato la Juventus con Combi, Rosetta, Allemandi, Grabbi, Viola, Bigatto, Munerati, Vojak, Pastore, Hirzer, Torriani. E nel 1927 (sebbene il titolo ufficialmente sia stato «revocato») lo ha vinto il Torino che lo ha vinto anche nel 1928. Nel 1929 il Torino lo ha perso per un'infamia perpetrata a vantaggio del Bologna. Dunque a Roma, dal 1927 al 1929, questi primi tre anni della mia emigrazione, che dura ancora, da Torino, ho tenuto sempre per la Juventus. Ma. allo stesso tempo, anche per il Torino. Nell'esilio, come accadrebbe, credo, a qualunque anima bennata che ami la sua città natale, gli avversari più vicini diventarono senz'altro i più arcigni. I granata furono per me nuovamente avversari solo nei confronti diretti con i bianconeri. Durante i match stracittadini (non si diceva e io non dirò mai « derby ») sono stato per la Juve: durante tutti gli altri, sdegnando ignobili calcoli di classifica, sono stato anche per il Toro. Insomma, la Juventus è il primo, sempiterno amore: il Torino è il secondo, egualmente sempiterno. Né sono più cambiato. Schizofrenia? No, dialettica sana, con una tesi e un'antitesi ben precise, e con una sintesi preferenziale precisissima. Nessuno soffrirà questo Maggio al football più di me. Ma, nel caso peggiore, nessuno tra i più scontenti sarà, di me. meno scontento. Non dovrebbe essere così per tutti i torinesi? Mario Soldati