Dibattito tra giornalisti di Giorgio Martinat

Dibattito tra giornalisti Dibattito tra giornalisti Caro direttore, sono stata io la prima a dire di «no« alla giovane collega femminista che mostrandomi il giornale ancora fresco di stampa mi chiedeva Impetuosamente di modificare un titolo riguardante II diario della quindicenne assassinata. Sono qui ora, dopo essermi rifiutata di firmare la lettera di sette colleghe, a motivare II mio «no« e quel rifiuto. Intervengo nel dibattito per rispetto alle mie idee e alla mia dignità professionale. Ma soprattutto per respingere con fermezza la violenza ideologica che quella notte mi si voleva fare e che la lettera, a mio parere, rispecchia caricando di significati l'onesta cronaca di un fatto atroce. Atroce, sia ben chiaro, chiunque fosse stata la vittima. Dei morti nient'altro che bene? Mi sono sempre ribellata a questa ipocrisia e mi ribello, anche in questo caso, al manicheismo femminista. Condivido le generose battaglie del movimento; comprendo, anche senza condividerle, le esasperazioni di certi suol atteggiamenti. Respingo, con tutte le mie forze, l'intolleranza dogmatica; la faciloneria di alcune formulette applicate alle tragedie umane; la dicotomia della libertà: considero assurdo parlare di libertà femminile e di libertà maschile. Per la libertà e basta, mi batto, nel profondo rispetto per la « Persona » al di sopra dei sessi. E nel mio lavoro mi sforzo di non esprimere giudizi, al di fuori di quelli che emergono prepotentemente dai fatti; né tanto meno condanne, che equivarrebbero a una scelta emotiva. O peggio un tentativo di manipolazione. Le colleghe che hanno partecipato alla riunione precongressuale per l'assise milanese delle donne giornaliste conoscono perfettamente Il motivo del mio dissenso. Odio I ghetti, considero II concetto del «diverso», che ne sta alla base, un crimine contro l'umanità. Ma ritengo l'auto-ghettizzazlone un errore d'incalcolabile portata. La battaglia femminista, a mio giudizio, va condotta in mezzo agli uomini, spezzando una secolare apartheid con la partecipazione totale al problemi sociali, ma non creandone una nuova il cui primo frutto è proprio la violenza ideologica. Non sono le nostre sole catene quelle che dobbiamo rompere; il conflitto da risolvere non è quello tra I sessi. Non siamo una classe, né una categoria: cerchiamo di non diventare una corporazione. Nemmeno quando si tratti della vittima quindicenne di un delitto. Gabriella Poli Vice Capo Cronista Caro direttore, vorrei discutere anch'Io II rimprovero che mi muovono sette colleghe, di non aver gridato dal titoli di cronaca II » cruclfige » al mostro e, soprattutto, di non aver presentato la vittima come una Ignara pastorella. Dubito che riuscirò mai a convincermi che sia questo II modello di giornalismo di cui oggi abbiamo bisogno. Ho sempre condiviso le posizioni femministe, ma questa mi sembra una polemica sbagliata alla radice. Nella pretesa di « colpevolizzare • Sandro Valle (ovviamente a cile ne ao. tla à. un La diorle ntto a. ne il lo e, di e. la o. mte al al er na uia mo Ho mra dizte ala/ di là della Incriminazione penale che non è affar nostro) o nell'Ingiusto sospetto che la cronaca volesse •colpevolizzare' Maria Pia, esse fanno questione di responsabilità esclusivamente personali. Sembrano cosi concepire la società « come una convivenza di uomini che, con la loro condotta, determinano il carattere del tutto: e non come un sistema che non solo li stringe e li deforma, ma penetra fino in quella umanità che una volta li determinava come individui ». La citazione è da Theodor Adorno, lascio a lui la responsabilità della qualificazione di • reazionario • che attribuisce a questo modo di pensare. E' chiaro che la cronaca non voleva • colpevolizzare • nessuno, e tanto meno una povera adolescente, né scagionare l'assassino. Voleva soltanto, con la nuda e completa esposizione del fatti, indurre il lettore a porsi delle domande, senza suggerire alcuna risposta nel pieno rispetto della sua libertà morale. Voleva che si chiedesse perché ci sono ragazze di quindici anni già consapevoli che II sesso è la merce più facile e redditizia da commerciare; perché possa esistere uno sciagurato che a 28 anni ha come unici interessi nella vita la motoretta e I sogni erotici Ispirati dai pornofumettl; che educazione, che esempi, che condizionamento culturale avessero ricevuto entrambi, in che famiglie e in quali situazioni economiche fossero cresciuti. Il nodo del dibattito mi pare appunto questo: se <• colpevolizzare • sul plano della responsabilità sociale qualcuno (uomo o donna che sia) o qualcosa (le istituzioni, le strutture in cui viviamo). Libero ciascuno di dare la risposta che crede. Ma le sette colleghe vorrebbero che la 'pilotassimo': l'unico. Il grande colpevole è Sandro Valle in quanto maschio. La pastorella su// altare e il bruto sul patibolo. Mi pare una soluzione già sperimentata più volte, con I risultati che tutti abbiamo sotto gli occhi. Penso che sia un'illusione la speranza di cambiare le sovrastrutture, cioè II modo di pensa re e agire della gente, senza cambiare prima le strutture, cioè la realtà che > ci stringe e ci deforma ». Ma qualunque strada si scelga per prevenire vicende così dolorose come quella di Sandro e Maria Pia, una condizione preliminare mi sembra necessaria. Un'indagine paziente, intelligente e pietosa. Pietà in primo luogo per le vittime, ma anche per I carnefici nella misura in cui sono vittime anch'essi. Giorgio Martinat Caposervizio Cronaca

Persone citate: Gabriella Poli, Maria Pia, Sandro Valle, Theodor Adorno