Brunelleschi incompiuto

Brunelleschi incompiuto LA "SFIDA,, DELLA CUPOLA E GLI ENIGMI DELLA VITA Brunelleschi incompiuto Parlando della cupola, degli allarmi sulla sua stabilità e dei restauri scrivemmo che la grande struttura era in gran parte sconosciuta: una specie di « beffa » brunelleschiana a chiave, di cui non si trovava la soluzione. Successivamente l'amico Di Pasquale, uno scienziato delle costruzioni napoletano che insegna a Firenze, ha trovato finalmente la chiave: che cioè la grande struttura ottagona, a doppia calotta, nervata da grandi sproni e archi di collegamento è stata concepita e realizzata nient'altro che come una cupola di rotazione, che sta ritta cioè da sé, anello per anello. Una conferma della « beffa », cioè l'uovo di Colombo. Anzi l'uovo del Brunelleschi, perché prima del navigatore l'architetto aveva fatto l'esempio dell'uovo che sta ritto se lo si schiaccia sul tavolo: cioè aveva alluso al fatto che la stabilità della cupola stesse appunto in un problema geometrico d'intersezione. Oggi a questa <i scoperta » si aggiunge, quale avvisaglia che l'anno brunelleschiano non sarà, come qualcuno ha scritto, dedicato « a vuote celebrazioni », l'uscita, tanto attesa, dell'edizione critica della Vita del Brunelleschi (con introduzione di Giuliano Tanturli e una nota al testo di Domenico De Robertis, Il Polifilo) restituita finalmente con certezza ad Antonio Manetti e giustamente abbinata con quella « novella del grasso legnaiolo » che costituisce il maggior merito letterario dell'autore e la testimonianza del genio perfido e sottile del Brunelleschi. Ma avrebbe torto chi si aspettasse dalla « vita », già assai nota ma, ora leggibile con sicurezza del testo, fatto determinante per l'importanza della fonte, solo l'identikit di un personaggio così geniale e scomodo. Il Brunelleschi è nella beffa, cioè nella novella; altre le ragioni della biografia. Perché scrivere la « vita » di Filippo, a trent'anni o poco più dalla sua morte, con quella preoccupazione di accreditarsi come diretto testimone: «e conobbilo e parlaigli », se non per ragioni strettamente polemiche, una specie di battaglia su due fronti? Su quello della verità storica, per distinguere il Brunelleschi autentico da quello apocrifo, cioè le sue vere intenzioni dal travisamento dei continuatori, e chiudere la « querelle » sull'appropriazione della sua eredità progettuale che durava da anni. Su quello della cultura, cioè per le scelte future, contro la prevalenza che già si delineava del classicismo ispirato all'Alberti. Quando il Brunelleschi morì nel 1446 il panorama dei cantieri brunelleschiani era in sostanza assai deludente, una specie di macroscopica « incompiuta » dalla partitura molto incerta. Alla cupola mancava la lanterna, le basiliche erano appena avviate, e solo dal transetto, il tempio degli Angioli, la prima « pianta centrale » del Rinascimento, appena « spiccato » dalle fondazioni; interrotto il salone di parte guelfa, interrotta la cappella dei Pazzi nella parte bassa. Dell'Ospedale degli Innocenti neanche a parlare perché qui le « varianti » (e i travisamenti) erano cominciate quando lui era vivo e in altre cose affaccendato. Tanti cantieri, altrettanti problemi: perché le sue intenzioni il Brunelleschi era abituato a non dichiararle esplicitamente, e per fondati motivi. Lo aveva confidato al Taccola, l'« ingegnere » di Siena, lo aveva scritto nella lettera d'intenti per la cupola: «perché nel murare la pratica insegna quello che s'ha a seguire ». Gelosie di maestri, e tutti ambiziosi e rissosi nel rivendicare l'eredità di Filippo: tanto che c'era stato anche un episodio di squadrismo, e uno di loro era stato picchiato. i i n a a , » a e a . i i o e i a e » a e i e a i a Problemi di committenti: con i Medici Filippo non era andato gran che d'accordo, Cosimo gli aveva rifiutato il progetto del palazzo e gli aveva preferito certo il più disponibile Michelozzo. I Frescobaldi gli fecero rovesciare il progetto di S. Spirito che troppo avrebbe inciso sulle loro proprietà. Luca Pitti era in disgrazia e il palazzo interrotto. Per finire coi Pazzi cacciati nel 1478 dopo la famigerata congiura. L'argomento doveva essere così scottante che Antonio Manetti, che scrive nel 1480, e che è così preciso per il resto, la Cappella dei Pazzi se la scorda proprio, o gli rimane prudentemente nella penna. Ma non gli resta nella penna la tesi di fondo: i « mancamenti » cioè gli errori, negli edifici brunelleschiani, non sono suoi ma si debbono attribuire ad altri. «Nelle cose di Filippo si è visto per esperienza poi molte volte nel fare che nulla s'è rimutato che non gli sia tolto di bellezza, cresciuto di spesa e buona parte indebolito gli edifici ». Così il Manetti non risparmia di attribuire a ciascuno il suo, con chiari riferimenti o pesanti allusioni. Ma ciò che più gli preme in tema di « scelte culturali » è opporsi alla fortuna dell'albertianesimo, quel « modo antico » di cui si può dire poco « altro che delle cose generali » e che non può sostituirsi alla « invenzione », quella appunto che era nel metodo progettuale del Brunellesco e di cui ogni fabbrica era una singolare ed efficacissima testimonianza. Nascerà ora quel giudizio ripreso dal Vasari sulle capacità di propagandista dell'Alberti, che superò con la penna coloro che superarono lui con l'operare. Per colmare questo vuoto il Manetti scrisse la « vita » o per lo meno la prima parte. Quel riscatto dell'« intelligencija » progettuale dalla condizione artigianale che Brunelleschi aveva affidato alle sue trovate, al comportamento, ai progetti, alle macchine teatrali, alle «battute» fiorentine, alla storica beffa, l'Alberti lo compiva col latino curiale, con i classici alia mano. Quando il Manetti scriveva, gli interessi medicei economici e politici puntavano su Roma, si recuperava l'Alberti già conteso dalle corti rinascimentali, e di lì a poco, nel 1485 il Poliziano presentava l'editio princeps a stampa del trattato albertiano. Al Manetti non restava che posare la penna lasciando incompiuta la « vita » come il suo eroe aveva lasciato incompiute le fabbriche. Il tempo gli avrebbe dato ragione: il problema dei continuatori, cioè del Brunelleschi apocrifo, e il problema del rapporto fra l'« invenzione » anticlassica del Brunelleschi e la « citazione » classicista di marca teorica albertiana stemperata poi nella fortuna del Rinascimento, sono i due temi di fondo del dibattito innescato dall'anno brunelleschiano. Né manca, oggi come allora, chi molto si agita per accreditarsi come interprete del Brunelleschi: « Aveva opinione d'intendere e molto si travagliava di simili cose, e mettevasi innanzi », avrebbe scritto il Manetti. Franco Borsi Firenze. La cupola del Duomo, Santa Maria del Fiore

Luoghi citati: Firenze, Roma, Siena