I nuovi stregoni

I nuovi stregoni A CHE SERVE LA SOCIOLOGIA? I nuovi stregoni « Qualcuno ha calcolato che se il numero degli psicologi e sociologi continuasse a crescere col tasso di incremento registrato nell'ultimo decennio nel giro di pochi secoli coprirebbe l'intera popolazione del globo ». Così scriveva nel 72 Stanislav Andreski, il sociologo inglese d'origine polacca, in un libro « feroce, brioso ed erudito », Le scienze sociali come stregonerie, ora tradotto presso l'editore Armando. Per ciò che concerne l'Italia, anche considerando solo le nutrite e bellicose schiere degli studenti in sociologia di Roma e Trento, non è arrischiato pensare che il tasso d'incremento degli « studiosi » (si fa per dire) di scienze umane sia addirittura aumentato negli ultimi anni, sicché appare vicino il momento felice in cui tutti gli italiani saranno, se non addottorati, almeno addottrinati nelle scienze sociali. Non sarebbe infatti perfetta una società in cui tutti conoscessero, con rigore scientifico, le « leggi » che governano la psiche umana ed i rapporti interpersonali? Come, entro certi limiti, le scienze della natura permettono di dominarla, così le scienze dell'uomo e della società eliminerebbero in buona parte i disadattamenti individuali e t conflitti tra i gruppi. Una società di scienziati sociali potrebbe quindi sembrare un rinnovato paradiso terrestre. Molti sognano così ad occhi aperti; ma l'Andreski, ch'è uomo del mestiere, mette in guardia contro bruschi e amari risvegli. In effetti, non pare che tra noi ci sia da attendersi molto, data la qualità odierna delle scienze umane in un paese che, tra Ottocento e Novecento, ha pur avuto studiosi come Pareto e Mosca, Niceforo e Colajanni, Barone e Pantaleoni, Lombroso e Ferri, Montessori e Lombardo-Radice, che hanno commesso errori ma hanno anche dato contributi autentici e significativi a tali scienze. Al contrario, « la letteratura italiana del secondo dopoguerra non contiene nulla di particolarmente originale e consiste per lo più in riassunti di manuali americani o di agiografia marxista ». Tralasciando la nostra situazione particolare, v'è in generale qualcosa che minaccia la consistenza delle scienze umane e rischia di coinvolgere nella loro decadenza l'intera civiltà e l'esistenza stessa della nostra specie. Un lettore frettoloso potrebbe credere che l'Andreski neghi addirittura alle ricerche sul comportamento umano la possibilità di costituirsi come scienze. Le sferzate ch'egli non risparmia, oltre che alle schiere di ripetitori, ad esempio, anche agli arzigogoli di un Merton o di un Parson, di uno Skinner o di un Lévi-Strauss (e che talvolta l'entusiasmo polemico porta fuori misura) possono sembrare interpretabili come segno d'una negazione totale. Lo humour di Andreski, tuttavia, non si spinge sino a dichiarare impossibile l'attività ch'egli esercita. Egli nega che economia, psicologia, sociologia e ogni altro tipo di ricerca sulla condotta umana siano « scienze esatte » come la fisica o la chimica; nondimeno le considera « scienze », se « siamo d'accordo di affiggere quest'etichetta onorifica a ogni tipo di studio sistematico che mira a fornire accura te descrizioni, spiegazioni provate e generalizzazioni suffragate fattualmente ». Ci si imbatterà magari in grosse difficoltà, che nascono dalla complessità dell'oggetto studiato (basti, come esempio, l'estrema complicazione strutturale del cervello umano) e dalla sua capacità di reagire in modo positivo o negativo alle asserzioni che lo riguardano: eppure tale studio è effettuabile quando non si anticipino conclusioni generali e non si privilegino modelli mutuati da altre ricerche. Il fissarsi su certi dogmi, come l'interpretazione della società secondo modelli cibernetici o la denigrazione del concetto di responsabilità in nome del determinismo psicologico, può essere di grave ostacolo allo sviluppo scientifico delle ricerche sul comportamento umano. Ciò è una rinuncia, in ultima analisi, al principio scientifico della falsificabilità delle teorie. La situazione odierna delle scienze sociali è tuttavia viziata da qualcosa di ancor più grave dell'assunzione di dogmi. Tale assunzione si ha spesso anche nelle scienze naturali, senza che esse cessino, sia pur faticosamente, di cumulare il sapere. La decadenza attuale delle scienze umane, che oscura anche i contributi di grandi pensatori del passato, è dovuta piuttosto alla facilità con cui in esse si può mascherare la mancanza di in¬ formazione, contrabbandare giudizi di valore sotto la veste di fatti o di concetti imparziali, influenzare comportamenti mediante presunte descrizioni neutrali: e tutto ciò, per di più, in un ambiente in cui, paradossalmente, la libertà intellettuale è forse meno diffusa che agli inizi del secolo. Andreski guarda soprattutto all'America dove « le scuole sono cominciate ad andare peggio proprio da quando si è aumentato il personale specializzato in sociologia, psicologia e pedagogia ». Sarà una pura coincidenza; ma è preoccupante che si sia ripetuta anche da noi, oltre che altrove. E' ovvio che la responsabilità non è delle discipline, che possono essere cose serie, bensì delle aperture che i loro oggetti concedono ai « ciarlatani ». I pochi risultati positivi ottenuti in questi campi sono quasi annullati dal fatto che « la maggior parte di quel chepassa per studio scientifico del comportamento umano si rivela un equivalente della stregoneria ». Mentre la lotta in nome della ragione contro dogmi, superstizioni e speculazioni sull'ignoranza delle masse ha avuto un discreto successo nella conoscenza della natura, gli studi sul comportamento hanno visto apparire « un cavallo di Troia col ventre pieno di astuti stregoni rivestiti dei più recenti orpelli della scienza ». Un accorgimento tipico dei nuovi maghi è il ricorso alla quantificazione ed alla matematica: salvo che per l'economia, in gran parte delle scienze sociali tali applicazioni appartengono « alla stessa natura delle invocazioni rituali ». Basta infatti servirsi delle par- ti meno complesse di un ma- \ nuale di matematica, aggiun- gere qualche riferimento alla | letteratura delle scienze socia li — senza troppo preoccuparsi della corrispondenza tra le formule scritte e le reali azioni umane — e trovare infine un titolo ad effetto: ecco una ricetta per la presunta scienza esatta del comportamento. E' una ricetta diffusa, poiché induce i lettori a ritenere che la mancata comprensione sia imputabile alh propria li- mitatezza mentale. Può essere eventualmente sostituita o accompagnata da una verbosità fumosa, che dica in maniera difficile le più piatte banalità. Il vaniloquio (per servirci anche noi d'una formula) è direttamente proporzionale alla ambizione dell'autore e inversamente proporzionale al suo sapere. Non sempre l'uso di queste ricette dipende dalla malafede; ma non è meno dannoso anche quando si tratti di abitudini indotte. Dipende infatti da esso l'impressionante aumento del numero degli « scienziati » sociali rispetto a quello dei conoscitori della natura. L'insidia maggiore della nuova stregoneria viene tuttavia da ciò che Andreski chiama il suo « criptoconservatorismo ». Non ci affascini la magia dei termini. Si può essere conservatori in senso « onesto » (e favorire, come Pareto, il progresso della sociologia), in base al giudizio che <: il sistema sotto cui si vive è tutto sommato meno imperfetto dei suoi probabili sostituti». Il pericolo sta nel conservatorismo nascosto della massima parte degli odierni « scienziati » sociali. Avendo poco o nulla da dire, essi indulgono a problemi, metodi e conclusioni magari sterili, ma che hanno una minima probabilità di dispiacere ai potenti o al popolo. Essi orientano le loro vele secondo i venti dominanti, e l'ortodossia a cui si sottomettono « non è necessariamente quella delVestablishment e può ben consistere nella linea programmatica tracciata da un partito sovversivo ». Così è messa in crisi l'integrità intellettuale. Di fronte a questo fosco quadro, che ci presenta un inquinamento più grave di quello tanto spesso imputato alla scienza della na tura, possiamo sperare in qual- che rimedio? E' consolante che Andreski non si appelli a qualche diavoleria metodologica. Come già Georges Sorel, ai primi del secolo, a chi gli chiedeva quale fosse il metodo più essenziale per les sciences morales (così s'usava allora chiamare le « scienze umane »), anch'egli risponde con una sola parola: « l'onestà ». Francesco Barone

Luoghi citati: America, Italia, Mosca, Roma, Trento, Troia