L'opera di Verdi in scena al Teatro Regio di Massimo Mila

L'opera di Verdi in scena al Teatro Regio L'opera di Verdi in scena al Teatro Regio Una "Traviata,, tradizionale con la Ricciarelli mattatrice La stagione lirica si chiude al Regio con le numerose repliche di una Traviata che dovrebbe riconquistare al teatro un po' delle simpatie che una stagione troppo, e quasi sempre ingiustamente discussa, le ha alienato. Una messa in scena tradizionale, e non priva d'una certa ricchezza visiva, del Teatro Verdi di Trieste. L'autore delle scene non viene nominato, e in verità esse sono piuttosto anonime nella loro inoffensiva normalità; unico particolare un po' sgradevole i festoni d'un sipario a mezz'aria per consentire il rapido cambiamento di scena nel second'atto, mentre Germont canta la melodiosa tiritera della sua romanza. La regìa, di Dario Dalla Corte, è anch'essa onesta e aliena da capricciose innovazioni, con qualche particolare azzeccato; consente una normale e pacifica fruizione dello spettacolo, il cui esito è perciò interamente demandato alla qualità dell'esecuzione musicale. Qui si è puntato principalmente sullo spettacolo a senso unico, cioè a mattatore. In questo caso, naturalmente, mattatrice, affidando la parte della protagonista a Katia Ricciarelli, anni fa vincitrice d'un concorso per voci verdiane, e che soltanto da un palo d'anni ha messo la temibile opera nel suo repertorio. Questa cantante ha il dono di suscitare intorno a sé un coro di invidie quale nessuna sua collega può vantare. Qui, poi, l'esito nullo del concorso indetto dal teatro, forse poco opportunamente e in data troppo tardiva, per trovare una giovane, o comunque nuova Violetta cui affidare le ultime recite, non ha certamente contribuito a cospargerle di rose la strada del successo a Torino. Tutti sanno — o dovrebbero sapere — che la tremenda difficoltà della parte di Violetta consiste nel fatto ch'essa richiederebbe praticamente due soprani: uno di agilità e magari leggere per il primo atto, e uno lirico per il secondo e il terzo. Tutti sanno, ugualmente, che la Ricciarelli è un sopiano lirico, magari drammatico, non un Koloratur-Soprano cui piaccia scapricciarsi in prodezze acrobatiche sul filo del do sopracuto. Tutte le orecchie erano perciò puntate sul primo atto, ch'essa ha superato con onorevole impegno, sia pure con qualche facilitazione. Dopo, ha fatto come quei ciclisti che, se riescono a stare in gruppo durante le salite, in piano e in volata non la perdonano a nessuno. Scherzi a parte, e prescindendo dalla microcefalia dei fanatici di belcanto, che misurano gli acuti come si misurano i centimetri saltati da Sara Simeoni, il pregio fondamentale di questa artista è la sincerità con cui sa immergersi nel personaggio. E in Violetta, naturalmente, ce n'ha da immergersi finché vuole. Tra l'altro è diventata un'eccellente attrice, tanto da far sembrare un po' impacciati e rozzi in scena i suoi colleghi, perfino il tenore Umberto Grilli, che pure è svelto e simpatico e corre, per l'appunto, come un grillo. La voce è un po' piccolina, ma ha una pronuncia meravigliosa, e intonazione sicura. Onorevole la prova del baritono Alessandro Cassis (che ricordiamo coraggioso protagonista improvvisato del Nerone di Boito all'Auditorium), in quella parte tanto imbambolata del padre nobile Germont. Fra i numerosi personaggi di contorno (Lidia Gastaldi come Flora, poi Redento Cornacchie, Bruno Grella, Nicola Traisi, Luigi Pontiggia, Andrea Dal Chiavon, e Eno Mucchiutti) sembra giusto segnalare la gentile Annina di Graziella Melotti (tra l'altro l'unica a emulare, nel suo piccolo, la prestanza scenica della padrona) e il medico di Vito Susca, uno specialista in queste parti di fianco. Nuovo per Torino, il direttore Lamberto Gardelli, veneziano, ha lavorato quasi sempre all'estero (dieci anni a Stoccolma e sei a Budapest) ed ha al suo attivo molte incisioni operistiche coi divi più prestigiosi (tra l'altro una Traviata con la Freni, Bonisolli e Bruscantini). Naturalmente possiede esperienza e mestiere. Come accompagnatore di «divi», stupisce un po' che non sempre abbia secondato i tentativi di finezza e di assottigliamento vocale a cui si provavano talvolta i suoi cantanti torinesi, divi o meno che fossero. Per contro, si desidererebbe talvolta un po' piìt di polso e di rigore nella tenuta ritmica. Un esempio: le funebri, tremende strappate di «Prendi: quest'è l'immagine De' miei passati giorni», divenivano a poco a poco cosi rilassate da sembrare coppie di semicrome anziché di biscrome, e occupare praticamente lo spazio della pausa che le precede. L'opera, altrimenti eseguita in forma quasi integrale, viene chiusa al crollo di Violetta, omettendo il brevissimo compianto a quattro voci, che taluni giudicano superfluo e inopportuno. Però Verdi ce l'ha messo. Nel suo rendimento normale, e cioè non altissimo, il coro istruito dal maestro Tullio Boni. Abbastanza piacevoli le coreografie ideate da Giuliana Barabaschi ed eseguite dal corpo di ballo del Regio con Laura Carrara, Franco De Vita e Marita Marchioretto solisti. Buon successo, specialmente al primo e al terzo atto (dopo il primo qualche segno di dissenso mescolato all'approvazione soverchiarne). Molti applausi a scena aperta per i tre artisti principali e perfino, con bella prova di analfabetismo musicale, dopo il Preludiò, evidentemente scambiato per una ouverture. Massimo Mila

Luoghi citati: Budapest, Stoccolma, Torino, Trieste, Vito Susca