Aborto a 16 anni di Carlo Casalegno

Aborto a 16 anni Le ragioni di una legge Aborto a 16 anni Fra qualche giorno i senatori dovranno discutere e votare in aula il progetto di legge sull'aborto, non nel testo già approvato dalla Camera, ma nella nuova stesura emendata dalle commissioni Giustizia e Sanità di Palazzo Madama. I ritocchi decisi con accordo unanime (ma dopo lunghi e spesso tormentosi dibattiti) dai commissari laici non alterano la sostanza della legge quale uscì da Montecitorio: rimangono intatti i princìpi della depenalizzazione dell'aborto, dell'autodeterminazione della donna, dell'assistenza gratuita. Ma le modifiche sono d' un certo rilievo anche politico e morale. Se i ritocchi non soddisfano, ed è ovvio, gli anti-abortisti, ne accolgono alcune richieste, allargando l'impegno per la prevenzione dell'aborto e lo sviluppo dei servizi sociali, anzitutto dei consultori pubblici; e nello stesso titolo nuovo dato alla legge, «Tutela sociale della maternità e per l'interruzione della gravidanza», viene sottolineato che non si accoglie l'aborto come un sistema tra gli altri per il controllo delle nascite, ma come un rimedio amaro a situazioni intollerabili. Non su questi punti, tuttavia, si accentrano l'attenzione del pubblico e le polemiche, bensì sul più delicato e diremmo coraggioso degli emendamenti: quello che regola l'interruzione volontaria della maternità per le donne sotto i sedici anni. Se manca il consenso dei genitori, prescrive l'articolo introdotto dalle commissioni senatoriali, la giovinetta può ricorrere al giudice tutelare, e ottenere dal magistrato, su parere del medico o del consultorio, l'autorizzazione di sottrarsi a una maternità indesiderata. E' un articolo che non si legge senza pena; ma la fredda ragione e il sentimento di umanità non consentono di respingerlo, né di giudicarlo un incitamento all'immoralità, una ferita alla compattezza della famiglia, una sfida alla patria potestà dei genitori. La maternità non dev'essere né la punizione di un peccato, né un peso odioso e insostenibile, né il compito imposto, sia pure come conseguenza di un errore o di una leggerezza, a una donna immatura o impreparata. Diventar madri a sedici anni può essere una cosa molto bella, un avvio felice alla vita adulta; ma può anche essere, come accade più spesso, un trauma distruttivo per la giovane donna e una condanna all'infelicità per il figlio. Il credente accetta qualsiasi peso, antepone la difesa della vita a ogni altro valore, ha fiducia in compensi eterni all'infelicità terrena: sono opinioni degne del massimo rispetto. Ma la legge non può ispirarsi a convinzioni religiose, pensare all'aldilà. In quest'ottica, consentire l'aborto delle minorenni è una necessità imposta dal realismo, dal buon senso e dalla pietà. I divieti legislativi sarebbero una sopraffazione e una con. danna. Con altri mezzi, come Natalia Ginzburg ha scritto con appassionata partecipazione, si possono aiutare le giovanissime donne ad evitare il trauma «doloroso e incancellabile» dell'aborto, il drammatico rifiuto della maternità. Servono lo sviluppo dell'educazione sessuale, l'incremento dei consultori medici e psicologici, una più sollecita e intelligente preparazione dei ragazzi alla vita, istituti che facilitino alle giovanissime il compito d'essere madri senza pregiudicare il loro avvenire anche professionale, e che proteggano i figli non desiderati da un destino che tanto spesso, ancor oggi, è penoso e li segna per tutta l'esistenza. Proibire l'aborto a una ragazza che «non ha l'età per amare» può essere la più crudele delle sentenze, contro un nascituro innocente e contro una donna che la stessa legge sulla maggiore età classifica come immatura. Carlo Casalegno

Persone citate: Natalia Ginzburg