Cattivi pensieri di A. Galante Garrone

Cattivi pensieri Cattivi pensieri Quando la Facoltà si diverte di A. Galante Garrone Udite, vagheggiatori di una Università risorta dall'attuale decadenza, riformatori coraggiosi che andate sognando nuovi spazi di ricerca e di didattica; udite, udite. Voi credevate, nel pensare a dipartimenti e istituti e discipline che finalmente uscissero dagli schemi tradizionali delle vetuste Facoltà, di mettervi al passo con l'impetuoso divenire della società, e con le migliori Università straniere. E non sapevate di essere solo degli ingenui: ultime larve di un mondo accademico tramontato per sempre. Esiste una facoltà in Italia, quella d'Architettura del Politecnico di Milano: destinata a darci gli architetti, gli urbanisti di domani, uomini che dovranno costruire le nuove case, creare spazi a misura d'uomo, dare un volto alla civiltà del Duemila. Un compito arduo, gigantesco, che richiede non solo fantasia, ma rigore di scienze severe ed esatte. Ebbene, ho fra le mani un documento strabiliante, il programma di questa Facoltà per l'anno 1976-1977. Il titolo è promettente: «Programma degli àmbiti problematici». Ambiti, badate (non istituti, o corsi, o altre rancide distinzioni di tempi andati): e sotto il segno affascinante della «problematicità», che ripudia sdegnosa la vecchia scienza ripetitiva, e inoltre, come leggiamo, «velleitaria, ridondante, ' rocrata e coercitiva». Uno dei cinque àmbiti problematici, il terzo, ha un titolo un po' sconcertante: «Il privato è politico». Questo slogan fino ad oggi lo avevamo sentito gridare da movimenti femministi o da leghe di omosessuali. Non ci eravamo mai avvisti, nella nostra ingenuità, della connessione fra questo grido liberatorio e lo studio dell'architettura. Ma se leggiamo il programma, minuziosamente suddiviso in «tematica di lavoro», «metodologia» ecc., tutio ci apparirà chiaro. Per diventare buoni architetti e urbanisti, bisogna «demistificare la privatezza» tradizionale, introdurre nella Facoltà le «problematiche delle don- ne, degli omosessuali, dei maschi in crisi», analizzare l'oppressione patriarcale che si intreccia a quella capitalistica: un'oppressione che si esercita «prima di tutto sulla classe della donna, poi su chi non ha accettato la forma di sessualità legata alla riproduzione, e cioè omosessualità maschile e femminile, sado-masochismo, perversioni ecc. ». Potremmo continuare a lungo in queste esilaranti citazioni, se la cosa, anziché divertirci, non ci irritasse. E sia ben chiaro. Non discutiamo le idee politiche che sottendono questi programmi, e neanche le rivendicazioni di femministe o di omosessuali. Ma ci urta questa provocatoria pretesa di introdurre e imporre queste e altrettali teorìe nei programmi di una Facoltà d'Architettura. Diremmo lo stesso, se vi trovassimo la teosofia, o la culinaria, o la haute couture. Sappiamo benissimo che quella Facoltà ha annoverato architetti e urbanisti di fama internazionale, e anche oggi ha docenti di indubbio valore e di serietà professionale. Quel che ci offende è la intrusione di teorie e programmi e metodi che, legittimi in sé e in altra sede, non hanno nulla a che fare con quella Facoltà. Non si tratta di intrusioni innocue. Esse sono, o possono diventare, veicolo di dogmatica intolleranza, di violenza ideologica, di confusionismo dilettantesco, di faciloneria. Ce lo dimostra un episodio di qualche mese fa. Un gruppo di studenti aveva preteso di presentare all'esame di analisi matematica una sua relazione sull'edilizia scolastica in Grecia; e per giunta voleva la preventiva assicurazione di un trenta e lode per tutti. E il docente di quella materia, che aveva giustamente respinto l'assurda pretesa (tanto più che in quella relazione non c'erano neppure alla lontana elementi da cui si potesse arguire qualche conoscenza di analisi matematica), era stato denunciato dagli studenti al Consiglio di Facoltà! Un caso-limite, d'accordo; quasi incredibile (ma purtroppo vero; e non smentito dal preside in una intervista sul Corriere d'informazione;. Ma episodi analoghi, o di violenza, di rozza incultura, di sopraffazione ideologica, di volgarità sono purtroppo accaduti, e accadono, qua e là nel mondo universitario. E il primo passo è sempre quello, del distacco dalla serietà degli studi. Vorremmo tuttavia chiudere con una nota non pessimistica. Chi vive oggi nelle Università, pur fra tanti sconquassi, sa benissimo che al di là di questi episodi folcloristici c'è una realtà ben diversa: giovani consapevoli della difficoltà degli studi, e spesso d'una sorprendente maturità critica: «la vera faccia — come ha scritto Massimo Mila su questo giornale — della gioventù dei nostri giorni, da non confondere con quei quattro disgraziati che la diffamano spaccando vetrine, bucandosi in piazza Carlo Alberto, ficcando bombe nei cestini dei rifiuti». Di questi giovani, convìnti della necessità di non prendere nulla alla leggera, oggi in Italia ce n'è ben di più di quanto non si creda. L'importante è che si contino, s'impegnino, sì facciano sentire, restituendo all'; nostre Università un volto serio, pulito, civile. Senza di che ogni riforma riuscirebbe vana.

Persone citate: Massimo Mila

Luoghi citati: Grecia, Italia, Milano