Inquieta "pace del lavoro" di Vittorio Gorresio

Inquieta "pace del lavoro" SVIZZERA: QUALCOSA DI NUOVO NEL MONDO OPERAIO Inquieta "pace del lavoro" La disoccupazione colpisce soprattutto i lavoratori stranieri, viene "esportata" - Ma cambia anche il quadro politico Zurigo, maggio. Un 1" maggio passato in Svizzera può essere anche stimolante. A Zurigo, quest'anno, il 1° maggio sono andato all'adunata generale dei lavoratori nella Muensterplatz, in pieno centro storico fra la gran via dei templi bancari — la Bahnhof strasse — e il Limmatquai dove Lenin usava passeggiare ai suoi tempi di sessant'anni fa. Per chi sostava, come me, tra la folla paziente convenuta a celebrare il 1° maggio, non c'erano possibilità di dubbi circa il luogo e il momento: in Svizzera si stava, nella Svizzera d'oggi. Gli oratori che si alternavano sulla piccola tribuna eretta nella Muensterplatz tra un cerchio di microfoni parlavano difatti successivamente in italiano, turco, spagnolo, greco, portoghese, croato, o in altre lingue della Jugoslavia. Anche i cartelli e gli striscioni di tela inalberati a distinguere i crocchi delle diverse etnìe recavano iscrizioni in lingue forestiere, non meno varie di quante se ne parlano in quell'altro stupendo melting pot che sono gli Usa. Però, tenuto conto delle proporzioni numerico-anagrafiche tra i due paesi, la Svizzera risulta più composita, per lo meno a riguardo di quello che si chiama il mondo del lavoro. Quest'anno, il V maggio ha offerto un'occasione di fare i conti. Secondo i dati forniti dall'ufficio federale dell'industria, delle arti e mestieri e del lavoro (Uflaml), negli ultimi tre anni la Svizzera ha perduto 340 mila posti di lavoro, e così il numero degli occupati nei diversi settori dell'economia è calato dell'll per cento. Comunque, dei 340 mila posti perduti, 230 mila erano occupati da stranieri (italiani, turchi, spagnoli, greci, portoghesi, croati, serbi, sloveni, eccetera) i quali hanno lasciato la Svizzera. I rimanenti 110 mila posti erano di svizzeri o di stranieri rimasti nella Confederazione come disoccupati parziali o a tempo pieno. Per gli svizzeri, quindi, la diminuzione dei posti di lavoro è stata per due terzi compensata dalla partenza di stranieri. Questo era il lamento che in tante lingue si sentiva a Zurigo nella Muensterplatz; ed a Lugano la protesta è stata echeggiata da un valente sindacalista ticinese, Franco Robbiani, segretario della Sev, nel grande comizio tenuto appunto questo 1° maggio nel locale padiglione «Arte Casa». Gli è stato facile denunciare che la Svizzera, con l'allontanamento degli operai stranieri, «ha esportato disoccupazione» nella misura dei due terzi. « E così si può dire — ha proseguito Robbiani con sarcasmo — che la disoccupazione svizzera, in barba alle statistiche, è al giorno d'oggi solo dello 0,5 per cento». Rispetto alla pazienza dei lavoratori multinazionali convenuti a Zurigo nella Muensterplatz, pare che gli umori manifestati a Lugano fossero invece estremamente tesi ed accesi. Nel padiglione «Arte Casa», tra i millecinquecento convenuti erano presenti, mi è stato detto, anche anarchici e aderenti ad una certa Lega marxista rivoluzionaria; e ne salivano urla di provocazione contro Robbiani: «Basta con le parole, vogliamo i fatti!»; o insulti come: «Fascisti, fate il gioco dei padroni!». C'erano anche femministe: Monelle Matasci harivendicato l'unità che è necessaria «tutti i giorni e non soltanto il 1° maggio»; un gruppo di studenti ha richiamato l'attenzione sul difficile momento scolastico e occupazionale, ed altri infine hanno deprecato la politica «anticulturale» che si fa a Lugano dove si rifiutano i sussidi municipali alla rassegna del cinema sudamericano. Rabbie "italiane" E' stato così che in certi momenti a Lugano pareva di non essere in Svizzera. Non tanto perché la lingua parlata era una sola, la nostra, ma perché italiane erano alcune delle argomentazioni, e all'italiana ci si dava reciprocamente del fascista, e si invocava a ogni momento la democrazia e si elencavano le liberazioni necessarie contro la società maschilista, la scuola di classe e il capitalismo imperialista. A questo proposito, anzi, l'anticultura rinfacciata al municipio nei confronti del Sudamerica merita un cenno di spiegazione: è in programma una rassegna della cinematografìa di quei paesi, ma il comune si è rifiutato di dare un contributo finanziario, perché si tratta di film «a carattere esclusivamente politico — ha detto il sindaco Ferruccio Pelli — e inoltre a senso unico». Di qui un dibattito fra il sindaco e il giornalista Guglielmo Volonterio che dice: «Sono prodotti da individui o collettivi di varie tendenze: marxisti, cattolici, liberal¬ socialisti...». «Stando alle trame inviateci — replica il sindaco — sono tutti film di estrema sinistra». «Dalle trame — obbietta Volonterio — risulta che sono film di denuncia dello sfruttamento nel Sudamerica. Sarebbe pericoloso pensare e lasciar pensare che solo l'estrema sinistra difenda gli oppressi». Il sindaco Pelli, molto svizzero, non è insensibile ad un argomento come questo, ma l'esser molto svizzero comporta anche reazioni di un altro genere: «Insomma — egli si spiega — il primo film parla della dittatura nel Cile, un altro esalta l'odio contro i latifondisti nel Perù, un altro parla di Gesù e dei banditi. Nel Sudamerica c'è anche un'industria cinematografica: perché non si è programmato, ad esempio, un film d'avventure?». «Perché i film d'avventure dell'industria cinematografica sudamericana fanno parte della sottocultura, non della cultura». «Insomma — conclude desolato ma ostinato il sindaco — non possiamo sussidiare una rassegna che sarà culturale quanto lei vuole, ma che ha un aspetto politico». Fino a non molto tempo fa, concetti come questo, che cioè la cultura possa essere asettica, erano in Svizzera tranquillamente acquis'ti e dati per scontati. Oggi fanno gridare allo scandalo anche sulle colonne dì un giornale sereno quale è il Corriere del Ticino: « E' una posizione che dà la misura di un tragico sottosviluppo culturale, che investe non solo le infrastrutture sociopolitiche ma qualche volta anche istituzioni addette alla diffusione della cultura ». In realtà è cambiato profondamente il quadro politico del paese, dove sta emergendo una nuova sinistra, un poco per effetto della presenza di tanti lavoratori forestieri tutti diversi, un poco per l'orientamento autonomo delle forze giovanili indigene. Sembra passato il tempo in cui i lavoratori di ideologia socialista (ed anche comunista) erano volonterosi collaboratori ed in qualche misura pacifici partecipi del boom economico, e in ogni modo non pregiudizialmente ostili verso il padronato. Oggi esistono forze giovanili di sinistra che sono entrate o stanno per entrare nel mondo del lavoro e che contestano, che non capiscono la tradizionale politica del sindacato svizzero contrassegnata per decenni da una consapevole e rispettosa apertura verso il mondo padronale. C'era una volta una sinistra ragionevole che costituiva un motivo d'orgoglio per la Svizzera intera; oggi, in un clima di frattura fra molte varie sinistre, come Lama in Italia anche Robbiani è stato duramente contestato il 1" maggio a Lugano. Si intende che la misura dei contrasti per ora è limi¬ tata a livelli molto inferiori a quelli italiani: rispetto al nostro terrorismo, da Lugano si segnala una solo molotov lanciata da ignoti i.clla notte fra il 30 aprile e il 1° maggio, oltre la porta a vetri dell'edificio di corso Elvezia, dove hanno sede la camera di commercio e l'associazione industriati. Evidentemente ancora poco pratici di armi gli ignoti attentatori non sono riusciti a fare esplodere la loro bombetta, ma una bottiglia incendiaria sulla soglia del palazzo padronale non è notizia da trascurare, in Svizzera, nel quarantesimo anniversario della convenzione «pace del lavoro» firmata appunto nel 1937 fra il padronato e la principale organizzazione sindacale svizzera, la Fomh (Fédération des ouvriers sur métaux et horlogersj. L'ultimo sciopero Ai fini della pace del lavoro, il movimento operaio rinunciava allo sciopero ed i padroni alla serrata. L'ultimo grande sciopero era stato nel 1918, e così intanto si istituzionalizzava la stabilità sociale e politica del paese. Fu una situazione provvidenziale già per tutta la durata della guerra, avendo essa consentito accumulazione di capitale (sia per le esportazioni verso i paesi in guerra, sia per l'afflusso dei capitali in fuga dai paesi belligeranti), e rivelatasi non meno preziosa nell'immediato dopoguerra. Anzi, è questa la chiave per capire l'enorme slancio dell'economia svizzera nella seconda metà del nostro secolo. Il meccanismo, però, adesso non funziona più come una volta. In febbraio del 1975, padronato e sindacati stipularono un accordo aggiuntivo, più o meno segreto, per fronteggiare nella contingenza le possibilità di licenziamenti e migliorare l'assicurazione contro la disoccupazione; l'accordo implicava anche precisi impegni del padronato ad informare i sindacati sui progetti di gestione, ma come scrive Delia Castelnuovo Frigessi (Elvezia, il tuo governo, Einaudi ed., pag. 473, L. 7000) l'accordo, che tutt'al più rappresentava « un tentativo di limitare le difficoltà provenienti dai licenziamenti e dalle chiusure di imprese, nella realtà non verrà mai rispettato dal padronato ». E' un libro rivelatore, una specie di grande inchiesta sul mondo dei lavoratori immigrati in Svizzera (non solamente italiani, anche se italiani sono gli interlocutori nelle straordinarie interviste che la Castelnuovo ha raccolto) e sui problemi che essi affrontano. C'è innanzitutto la grande sorpresa di scoprire che il sindacato «in Svizzera è un'istituzione di conciliazione», non di lotta. Ciononostante, o proprio in forza di questo, ammesso pure che non tutti gli immigrati siano comunisti « la maggior parte, anche se non è comunista, in Svizzera lo diventa ». Non è facile farsi un'idea della funzione del sindacato in Svizzera: «Potremmo paragonarlo — dice un ingegnere triestino intervistato da Delia Castelnuovo — ad un ufficio statale di collocamento o previdenza sociale ». La pace del lavoro, secondo un operaio modellista, « durante anni e anni ha creato la psicosi che far sciopero è contro la legge ». Per questo, aggiunge un muratore venuto a Losanna da Piacenza, « qui è difficile fare lo sciopero, non lo permetterebbero, qui il governo praticamente è in mano alia polizia, se la polizia dice no, i sindacati non possono fare sciopero ». Sono opinioni che mi sembrano superate. Potevano valere fino a due anni, un anno fa, ma negli ultimi mesi i cambiamenti sono stati rapidissimi. Si è frantumata la sinistra, come ho già detto, emergoi ì contestatori giovani che magari non sono ancora come i nostri attivisti extraparlamentari gruppettari di ultrasinistra, ma già fanno pensare agli Jusos, i turbolenti giovani socialisti della Germania federale. Si parlano tante lingue, come ho notato cominciando, che una confusione alla maniera di Babele non sarà impossibile, a breve o a medio termine, o in ogni modo a lungo, tanto per esprimermi nel gergo di bancari e finanzieri, quello cioè che ha fino ad ora corso ufficiale. Vittorio Gorresio