Tutti a marcia indietro

Tutti a marcia indietro Dal 3° posto al terzultimo, con Duina e Rivera Tutti a marcia indietro Milano, 10 maggio. In quel pomeriggio di settembre a Liverpool — dove il Milan avrebbe giocato per la Coppa Uefa contro l'Everton — l'ultimo a credere nei «golpe» di Rivera era proprio lui, Albino Butiechi. Quando lo incontrai nell'atrio dell'albergo, e gli dissi che a Milano Gianni, tramite i suol avvocati, aveva rilevato le azioni del petroliere, questi divenne ancora più rosso In volto ed esclamò: «Impossibile!... I suoi intermediari non l'avevano ancora avvertito: per lui calava il sipario. Iniziava nel Milan l'era di Rivera. Giagnoni si affrettava a fare le valigie per lasciare 11 posto a Rocco: era il 16 settembre del 1975. Il Milan, plasmato dal «tecnico col colbacco» era reduce da un quinto posto In campionato, davanti ai granata: avrebbe fatto ancora meglio nella stagione che stava per iniziare, ottenendo la terza piazza dietro le torinesi. In panchina c'ara Trapaltoni, alle sue spalle Nereo Rocco, dietro l'ombra di Giagnoni. In un anno e mezzo, il Milan ha conosciuto un amaro termine che sta diventando di moda nel mondo dell'economia dopo anni di facile consumismo: lo •sboom». Dal terzo posto al terz'ultimo, con la prospettiva di andare in serie B. Il processo ai responsabili è troppo facile: è stato fatto quotidianamente su queste stesse pagine. Butiechi resta sempre un protagonista anche se sta dietro le quinte. Il suo errore iniziale è stato quello di avere voluto fare il presidente-tecnico entrando cosi in contrasto con Rocco e successivamente con lo stesso Rivera. La famosa frase da lui proferita a Roma, sul possibile scambio Sala-Rivera fra le «bandiere» di Torino e Milan, opportunamente strumentalizzata dal giornali che volevano allontanare Butiechi e inaugurare l'era-Rivera, dava il via alle ostilità. Era una battuta innocua, fece esplodere Il dramma. Butiechi sbagliò in quella circostanza ed ancora in occasione di un incontro con Rivera durante II calcio-mercato: «Dammi due miliardi — gli disse — ed il Milan è tuo». Il tutto davanti a molti testimoni, fra I quali il direttore sportivo Vitali, l'uomo dalle molte bandiera visto che in tante epurazioni lui è rimasto sempre al suo posto. Butiechi pensava che Rivera — come I fatti hanno dimostrato — non possedesse due miliardi ma non immaginava che il suo capitano pur di eliminarlo dalla mischia si sarebbe indebitato sino al collo. Affidandosi inoltre agli avvocati, Buricchi aveva completato la sua esclusione dal «giro»: fu proprio Ledda, Infatti, a convenire in giudizio il presidente del Milan dopo che gli era stato affidato l'incarico (poi revocato) di concludere a condizioni prefissate il passaggio a Rivera del pacchetto di maggioranza della azioni (2 miliardi). Su esposto dei legali dell'avvocato Ledda, infatti, il tribunale decretava II sequestro conservativo delle 17.099 azioni di Butiechi e questi ad un certo punto era costretto ad arrendersi: Ledda aveva in mano una lettera del presidente nella quale gli comunicava che gli toglieva il mandato della trattativa. In questo modo aveva confermato quanto poi cercava di smentire. Avendo Rivera i due miliardi, l'operazione doveva automaticamente andare in porto. Rivera — «Gianni accetta la sfida» diceva il foglietto ciclostilato consegnato al giornalisti In un pomeriggio a Milanello. C'era anche Vitali che sogghignava. Il comunicato era stato scritto da padre Eliglo, il fraticello piuttosto anticonformista, amico intimo di Rivera e suo consigliere più o meno spirituale. E I soldi chi li aveva tirati fuori? Il miliardario Ambrosio, lo stesso sballottato fra vicende finanziarie e giudiziarie (l'ultima è di ieri: è accusato di corruzione di pubblico ufficiale e di altri reati). L'ex-play boy napoletano non aveva agito per semplice amicizia nei confronti di Gianni: chiese interessi piuttosto sostanziosi e Rivera, ingenuamente pensando che possedendo le azioni del Milan ne avrebbe tratto un guadagno, accettò. Da quel momento non ebbe più pace sino a quando non intervenne a salvarlo l'industriale «naif» Duina. Fra riunioni del consiglio di amministrazione, fra insulti a distanza, fra conferme e smentite, l'operazione andava avanti. Ufficialmente attorno a Rivera c'erano l'industriale Castelfranco — quello che l'appoggiò in modo determinante prima di ritirarsi quando Gianni lo incluse nel libro nero degli ex amici — ed alcuni giovani Industriali che poi non si videro più. Quando lunedi 15 settembre Butiechi fece rilevare le sue esposizioni personali per cui il prezzo del Milan saliva da un miliardo e 800 milioni a due miliardi e trecento milioni, Rivera non battè ciglio. Castelfranchl apparve disposto a versare a Gianni il mezzo miliardo mancante ma il giocatore vi rinunciò: I suoi misteriosi finanziatori gli avevano messo a disposizione un altro miliardo. Il Milan era completamente suo. Ore 11,47 di venerdì 3 ottobre 1975, rilevano cronisti scrupolosi; Milanello sorride impacciato a Rivera e a Rocco, tornati all'ovile dopo la quarantena. Soltanto la «vecchia guardia» (Blgon, Anquillettl, Benettl e Chlarugi) va incontro al capitano o all'allenatore: gli altri, Zecchini, Calloni e Turane in testa, preferiscono rinviare al massimo ogni contatto. Rivera si imprime tutto In mente. Gianni torna In campo, ma aumentano le preoccupazioni finanziarie: Castelfranco viene fatto fuori, compaiono altri personaggi come Carnevali, l'avvocato Piazza, nuovo consigliere del Milan, dichiara pubblicamente nel corso di una tormentata assemblea: «Rlvera ha pagato tutto di tasca sua. Mi assumo la responsabilità di quanto dico... La Finanziarla non c'entra». La Finanziaria, come è noto, appartiene ad Ambrosio che in realtà continua ad appoggiare nell'ombra l'operazione di Rivera. Gianni ha aspirazioni presidenziali, intanto si allena e torna in campo nella notturna contro gli irlandesi dell'Athlone Town. Poi I guai: Rivera si blocca, si parla di discopatia degenerativa, cioè mal di schiena. All'orizzonte si profila un petroliere, Armanl, che rileva i 400 milioni di fidejussioni firmati da Castelfranchi. Gianni continua a pagare gli interessi ad Ambrosio (I' 11 per cento su un miliardo e 100 milioni: 121 milioni annui) e perde completamente la tranquillità. La nuova finanziarla interviene per alutarlo e nel frattempo Rivera si aumenta lo stipendio: ha bisogno di quattrini e guadagna poco. Cadono altre teste di amici, fra cui quella di Oreste Del Buono finché arriva un altro personaggio, il nuovo padrone, si presenta e dice: «Chiamatemi papa'». E' Vittorio Duina re del ferro, annuncia che vuole ricostruire un grande Milan. Su indicazione di Gianni, Duina liquida Benetti e Chlarugi, assume Marchioro dopo che Radice ha rifiutato. Anche Rocco viene praticamente esonerato: l'esorcista di Affori, Il nasuto Pippo, annuncia programmi drastici, duella dialetticamente quasi subito col giornalisti, annuncia tempi duri per chi non rispetterà i suoi programmi. Rlvera ha completato II «patatrac»: inizia l'interminabile crisi. La lunga linea grigia. L'hanno provocata problemi finanziari e tecnici: Rivera ò responsabile di quasi tutto. Senza Benetti II centrocampo ha perso In potenza e resistenza; senza Chlarugi l'attacco è praticamente ridotto a zero. Luciano legava con Cationi, lo faceva segnare, ora anche il centravanti è solo, isolato. Giorgio Gandolfi

Luoghi citati: Liverpool, Milano, Roma, Torino