Questi i prodotti che Ossola vorrebbe solo made in Itaiy di Emilio Pucci

Questi i prodotti che Ossola vorrebbe solo made in Itaiy L'appello del ministro a preferire merci italiane Questi i prodotti che Ossola vorrebbe solo made in Itaiy Roma, 10 maggio. L'appello lanciato ieri dal ministro Ossola affinché siano preferite le merci italiane — evitando i richiami esotici e riducendo gli sprechi — nasce dal pesante vincolo dei nostri conti con l'estero: nel primo quadrimestre dell'anno abbiamo già dovuto sborsare circa 1800 miliardi di lire per finanziare il deficit della bilancia dei pagamenti, vale a dire il quadruplo di quanto datoci dal Pondo monetario dopo estenuanti trattative e dietro dure condizioni di austerità. Di qui l'urgenza di porre immediati rimedi ad una situazione che rischia di tagliare fuori l'Italia dai Paesi industrializzati. Poiché appare « illusoria » la speranza di allentare nei prossimi uno-due anni il vincolo della bilancia dei pagamenti con la sola espansione delle esportazioni, il governo è decisamente orientato a manovrare sul versante delle importazioni. In questo quadro rientrano le azioni per il contenimento selettivo della domanda interna e gli interventi di politica economica volti ad accrescere la produzione (ristrutturazione industriale, piano agricolo-alimentare). Ma tutto ciò potrebbe non bastare: ecco perché Ossola, sulla scia di massicce campa- gne psicologiche condotte con successo in altri Paesi, ha sentito la necessità di diffondere nell'opinione pubblica la consapevolezza che « il consumo di beni esteri superflui equivale ad una esportazione di posti di lavoro: corrisponde cioè ad una parallela riduzione delle possibilità di sviluppo dell'economia e dell'occupazione per i nostri connazionali, ad un abbassamento generale del tenore di vita, ad una destabilizzazione economica e politica del Paese ». Consumare essenzialmente « made in Italy » potrebbe significare una valida alternativa ad eventuali nuove « stangate » e ad antistorici protezionismi. La campagno promossa dal ministro per il Commercio estero si spiega con il fatto che è ormai praticamente impossibile contenere certe importazioni vitali, quali l'acquisto di materie prime per l'industria, di prodotti petroliferi e in un certo senso, della carne (i cui acquisti sono però in netto calo mediamente del 15-20 pe rcento); d'altra parte esiste una vasta gamma di beni voluttuari che ammontano, secondo stime attendibili, a circa il 15 per ceno delle nostre importazioni nei cui confronti è possibile, e necessario, porre un argine. L'elenco di questi prodotti « non vitali » li ha indicati lo stesso Ossola, precisando che per essi spendiamo all'estero miliardi di lire al giorno, come indicato anche nella tabella che pubblichiamo: automobili di media e alta cilindrata, motociclette, naanti (magari con bandiere ombra), televisori, pellicce, profumi, cosmetici, liquori (whisky, gin, rum e altri ancora); vini, compreso lo champagne; frutta tropicale (ananas, banane, datteri, pompelmi, ma anche arance della Spagna o di Israele, uva del Sudafrica, insalata del Belgio); olio d'oliva greco e spagnolo, fiori freschi (orchidee, di cui siamo i più forti consumatori in Europa); orologi; prodotti dolciari; strumenti musicali; cristallerie. Ma la lista potrebbe allungarsi molto; sigarette e tabacchi, occhiali da sole di foggia americana, tappeti orientali, pietre preziose, macchine fotografiche, giradischi, impianti di registrazione ad alta fedeltà e persino stilografiche e penne a sfera. Il fenomeno, ha spiegato Ossola, è dovuto a cause diverse di natuna insieme culturale, socio-economica, psicologica, ed è stato aggravato da una pubblicità martellante che ha sollecitato i consumi superflui. Ne è derivata una distorta informazione dei consumatori e «da essa l'affermarsi, anzi il difiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMii o . o i a j fondersi, di modelli d'acquisto snobistici e di preferenze per le etichette straniere; ma il fenomeno non ha nulla di deterministico, di fatale e perciò può essere combattuto con azioni adeguate». Un esempio abbastanza chiaro viene dagli acquisti di auto straniere (per ogni due macchine importate si perde circa un posto di lavoro), che « sono spesso puro frutto di disinformazione o snobismo perché prezzo costi di manutenzione e parti di ricambio, estetica, assistenza, consumi dell'autovettura italiana a parità di classe si dimostrano largamente competitivi». La febbre dell'auto o della modo battente bandiera inglese, tedesca, francese, americana e giapponese è costata all'Italia nel 1976 una cifra vicina ai 2500 miliardi. La mappa degli sprechi prosegue con i profumi e i cosmetici le cui importazioni nel '76 hanno sfiorato i 100"' miliardi, quasi raddoppiando rispetto al 1975. L'esborso per il caffè ha superato i 300 miliardi, una cifra alta che quest'anno, a causa dell'ulteriore lievitazione dei prezzi, potrebbe raddoppiare. Altri 100 miliardi se ne sono andati all'estero per l'acquisto di vini e liquori, specie di whisky e champagne, « prodotti — ha detto il ministro — di cui in questo momento si potrebbe fare a meno ». Emilio Pucci iiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiii