Agricoltura anno zero di Manlio Rossi Doria

Agricoltura anno zero Una prova per il governo Agricoltura anno zero La discussione sulla politica agricola comune si è conclusa alcuni giorni or sono alla Camera con una mozione approvata da tutti i partiti dell'arco costituzionale. Il governo, accettandola, si è impegnato a presentare alla Comunità la richiesta, da un lato, di una serie di modifiche e deroghe alle onrme in vigore, e, dall'altro, di una profonda revisione della politica agricola comune. A sua volta, Andreotti — che già con le dichiarazioni di governo del 4 agosto aveva preannunziato in venticinque punti (se li ho ben contati) il rinnovamento della politica agricola — non perde occasione (sono di questi giorni le sue dichiarazioni al Convegno nazionale per la cooperazione e all'assemblea della Confagricoltura) per confermare questo impegno. Organizzazioni sindacali, agricole e non agricole, partiti politici, organizzazioni cooperative, Regioni, enti pubblici e privati, studiosi, per parte loro, hanno prodotto nell'ultimo anno tale una mole di documenti, risoluzioni, proposte, convegni e tavo. le rotonde sui problemi dell'agricoltura da riempire un volume solo per elencarli. L'agricoltura — dopo la lunga «emarginazione» (secondo il termine in uso) negli anni della industrializzazione — è oggi sulla cresta dell'onda, e, almeno a parole, ad essa è riconosciuto per l'avvenire il più alto grado di priorità nella politica nazionale. Le ragioni di un tale riconoscimento attengono alla crescente sua debolezza nell'attuale economia del Paese, e non sono, pertanto, né di poco peso né di breve durata. Sommariamente, esse possono essere così indicate: il pauroso deficit della bilancia agricolo-alimentare; il restringimento della base produttiva, per l'abbandono delle terre mediocri ed acclivi e per il diminuito volume degli investimenti sulle altre; il divario tra costi e ricavi per il lento sviluppo della produttività in agricoltura e per lo sfavorevole rapporto tra prezzi dei prodotti e prezzi dei mezzi di produzione; la mancata o sporadica ristrutturazione delle aziende e delle proprietà, imposta dall'esodo e dalle nuove condizioni di competitività delle attività agricole; la mancata riorganizzazione dei mercati agricoli e il conseguente ulteriore indebolimento del potere contrattuale dei produttori agricoli di fronte alle rafforzate posizioni dell'industria e del grande commercio alimentare; l'accettazione e l'applicazione della politica agricola comunitaria, conforme agli interessi di agricolture diverse e più evolute della nostra, e irrispettosa delle esigenze delle tipiche, per noi rilevanti, produzioni mediterranee; la senescenza e la decadenza delle istituzioni operanti in agricoltura, senza le quali questa non può svilupparsi in modo moderno ed efficiente; la prevalenza — in una popolazione agricola ridottasi in vent'anni ad un terzo di quello che era — degli anziani e la continua diminuzione delle forze di lavoro giovani. Al riconoscimento del carattere strutturale e progressivo della crisi agricola si è aggiunto quello delle sue insostenibili conseguenze per l'intero sistema economico e per le sue possibilità di ripresa. Un Paese come l'Italia, dipendente dalle importazioni per quasi tutte le materie prime industriali e per la massima parte delle fonti di energia, ha già superato, e di molto, i limiti sopportabili delle importazioni agricolo-alimentari. 11 ridotto peso dell'agricoltura, d'altra parte, crea nel Paese squilibri territoriali sempre più gravi. Questi, a loro volta, provocano l'inutilizzazione di una troppo larga parte delle limitate risorse nazionali e del cosiddetto capitale sociale accumulato in passato; accrescono, per lo spopolamento e l'abbandono delle «terre alte», la minaccia del dissesto idrogeologico e delle alluvioni, e creano in generale nel Paese una situazione sociale e politica tale da costituire di per sé un imponente ostacolo allo sviluppo. La diffusione e la consistenza assunte nell'ultimo anno dalla presa di coscienza della crisi agricola, della sua natura e delle sue conseguenze, costituiscono indubbiamente un aspetto molto positivo della situazione. Se, tuttavia, si guarda non alla diagnosi dei mali, ma alla indicazione dei rimedi, il giudizio non può essere altrettanto positivo. Non lo è per quattro motivi. Anzitutto, i rimanenti settori dell'economia e della pubblica amministrazione — malgrado il riconoscimento della prioritaria importanza di uno straordinario sforzo in favore dell'agricoltura — non hanno dato finora alcun stgno di voler modificare, per questo fine, il proprio comportamento rispetto al passato. In particolare, i settori finanziari e industriali, legati all'agricoltura in quell'unico enorme complesso che gli americani chiamano l'«agribusiness», non solo hanno aggravato, con i loro comportamenti, la situazione dei produttori agricoli, ma mostrano nei loro riguardi una crescente aggressività, della quale il meno che si può dire è che è poco preveggente. In secondo luogo, da ogni parte — governo e Parlamento, organizzazioni sindacali e partiti politici, amministratori locali 0 singoli studiosi — presi, per così dire, alla gola, costretti, cioè ad accompagnare la diagnosi dei mali con l'indicazione dei rimedi, si sono buttati allo sbaraglio, formulando alla rinfusa proposte ragionevoli e irragionevoli, di lungo e medio periodo o di effetto immediato ed effimero. Non è ovviamente il caso di dimostrare qui, con specifici riferimenti, la validità di un tale giudizio, ma purtroppo le cose stanno cosi: il disegno di una coerente e articolata nuova politica non c'è ancora. In terzo luogo, malgrado la presa di coscienza della gravità dei problemi, non ci si è resi conto che i rimedi, dopo tanti anni di continui rinvìi e di politica «spartitoria» (come la chiama Giuliano Amato), non si improvvisano, ma comportano tempi di preparazione non brevi. Essi hanno, infatti, bisogno, prima dell'avvio, di essere realisticamente studiati, se non ci si vuol trovare poi di fronte ad insuccessi, che aggraverebbero ulteriormente la situazione. Ciò, naturalmente, non vuol dire che non siano possibili interventi a pronto effetto. Ce ne sono. Guai, tuttavia, a confonderli e a mescolarli con quelli che prima di essere avviati richiedono di essere ben preparati. Quando, perciò, si parla di piani agricolo-alimentari, di recupero delle zone interne, di irrigazioni e rimboschimento, di riforma della politica comunitaria, di ritorno di giovani all'agricoltura, e così via, come di cose a pronto effetto, si è fuori strada. In quarto luogo, un legittimo dubbio sulla serietà di molti discorsi appare più che giustificato nel constatare quanta poca attenzione e fantasia siano state Finora dedicate ai problemi pregiudiziali per ogni moderna politica agraria: l'aggiornata e consistente preparazione e immissione di quadri tecnici ad ogni livello; il potenziamento e il coordinamento della ricerca scientifica e degli studi operativi; la riorganizzazione della pubblica amministrazione e dei servizi tecnici, sulla base di un rapido completamento del loro passaggio alle Regioni e dell'immediata riforma del ministero per adeguarlo alle sole funzioni di indirizzo e coordinamento, come sarebbe dovuto avvenire fin da quando si provvide al trasferimento alle Regioni dei poteri in materia di agricoltura. La prova della serietà di tutti 1 propositi e di tutti i discorsi per l'agricoltura si avrà su quest'ultimo banco. Una politica come quella oggi richiesta, infatti, non si attua senza uomini preparati ed onesti, senza la rigorosa eliminazione delle pratiche «spartitone» e clientelari, senza studi seri, senza amministrazioni snelle, corrette ed efficienti. Su questi punti, pertanto, gli uomini di governo saranno giudicati. Manlio Rossi Doria

Persone citate: Andreotti, Giuliano Amato

Luoghi citati: Italia