Utili inutilità

Utili inutilità LAVORI IN CORSO Utili inutilità Ne aveva fin sopra i capelli, di prediche e di rimproveri per la sua riluttanza a praticare gli sport e in generale a vivere all'aria aperta. In quanto alle attività sportive, le aveva prese in uggia da quando era costretto a stare un'ora ogni settimana nella cosiddetta palestra della scuola elementare: una specie di scantinato buio e tanto polveroso che quando l'istruttore comandava di battere il passo si levava dal suolo una specie di nuvoletta i cui residui, diffusi sulle pertiche e sulla spalliera svedese, impiastricciavano mani ed abiti dei piccoli atieti in erba, cosi da ridurli simili a quegli spazzacamini che in quel tempo ancora si vedevano in giro prima dell'inverno. E' vero che lo sport non è solo ginnastica e che non tutte le palestre sono catacombe; ma anche senza sapere di psicanalisi si comprende come certe impressioni condizionino irrimediabilmente un ragazzo per il resto della vita. Più o meno nella stessa epoca aveva dovuto constatare una personale estrema facilità a prendersi dei solenni raffreddori. E quando il medico di famiglia gli aveva prescritto un soggiorno estivo al mare per immagazzinare iodio protettore, l'improvvida esposizione a lunghe ore di sole 10 aveva cosparso di piaghe. Per sopraggiunta il fastidio di quel chiarore abbagliante aveva coinciso con i primi atroci mali di testa, che da allora in poi lo angustiarono ad intervalli purtroppo mai molto lunghi. * ★ Questi i motivi di fondo della sua vita sempre sedentaria e molto riservata. Ma per completezza di cronaca vanno aggiunte una forte propensione alla lettura ed una passione notevole per il teatri di prosa. Passava interi pomeriggi nella biblioteca di una fondazione culturale privata, della quale pertanto era considerato il beniamino. La commissione direttrice, presieduta dal grande fisico Arnaldi, gli assegnò a titolo di encomio una borsa di studio. Quando, nel riceverla, si schermi dagli ehgi dicendo che la sua assiduità era dovuta soltanto all'impianto di riscaldamento — in quegli anni ancora raro nelle famiglie romane di censo non elevato — tutti risero come per una battuta spiritosa, aumentando stima e simpatia per il ragazzetto. Per soddisfare senza spender; — che non avrebbe potuto — il desiderio di assistere agli spettacoli teatrali scoprì assai presto la strada maestra della claque, per la quale si doveva versare soltanto una lira al fiduciario organizzatore. Gli studenti erano preferiti perché, meglio di altri coetanei, puntualmente azzeccavano il momento di applaudire la prima entrata in scena e l'opportunità, ad ogni calar di sipario, di smettere 11 tiraggio dell'entusiasmo collettivo. L'unica difficoltà era l'impegno a lungo termine e cioè la garanzia, ad esempio, di essere in teatro tutti i martedì. Se un lavoro otteneva molto successo ne conseguiva che i claqueurs abituali finivano col doverlo vedere quattro ed anche otto o dodici volte. In una stagione nella quale trionfò Dina Galli, « Nonna Felicita » tenne la scena per cinque mesi, seguita da tre mesi di « Felicita Colombo ». Ad offuscare la dignità della piccola brigata dei plauditores vi era l'inconveniente di dover invocare a gran voce la mossa da parte della bravissima attrice, che con un sorrisetto di finto imbarazzo faceva un vezzoso saltino, come se un brivido ne percorresse l'ossuta figura. D'altronde la « grande Dina » aveva già toccato un'età più che rispettabile, e la sua mossa l'avrebbe potuta fare impunemente, nonché sul palcoscenico dell'Eliseo, nella cattedrale calvinista di Ginevra. Ma nessuno creda che il nostro « non atletico » soggetto logorasse il suo fisico nelle letture e nei battimani. Coltivava un hobby che lo interessava più di ogni altra cosa: la ricerca di posta affrancata negli ultimi diciotto anni dello Stato Pontificio. L'idea gli era venuta da un cimelio che una vecchia zia di istinti conservativi aveva salvato da una delle periodiche operazioni di sgombero delle cose inutili dalle soffitte. Si trattava di alcune annate dell'insignificante giornaletto romano // Cassandrino che di per sé era pi'"' che giusto mandare al macero, se l'abbonato non avesse conservata intatta la fascetta in epigrafe, impreziosita dal piccolo quadratino colorato del « bollo franco », introdotto dal Papa Pio IX nel 1852 in luogo delle annotazioni manoscritte di avvenuto pagamento del porto dovuto. Dopo la seconda guerra mondiale, specie nei paesi dove l'inflazione ha vanificato risparmi e monete, anche la filatelia cominciò ad avere ricorrenti impennate fino ad assurgere a valorizzazioni impossibili. Ma fino a quel momento non molti erano i cultori della filatelia pontificia classica, se si eccettuano pochi « grandi » in possesso di collezioni favolose e di pezzi rarissimi, già quotati a livelli notevolissimi sui mercati internazionali specializzati. Il piccolo cabotaggio era in precedenza molto facile. E per chi non aveva danaro tutta l'abilità doveva concentrarsi sui cambi. Cosi, limitando la propria raccolta all'ultimo anno del pontificio, il giovinetto pallido e poco atletico, intwprese una metodica attività di interscambio con qualche commerciante o appassionato collezionista. Intuì anche che i francobolli tagliati a metà — un baiocco diviso in due per l'affrancatura di mezzo baiocco — non erano frammenti da cestinare, ma avrebbero raggiunto un maggior pregio perché erano in giro, fin dagli inizi, in numero molto minore dei francobolli interi. E si rallegrò per non aver ceduto alle tentazioni diffuse di dedicarsi alle figurine della Perugina la cui caccia ad un ceno momento ricordava le spietate lotte tra i cercatori d'oro volgarizzate nei film western. Sui marciapiedi del Caffè Greco la Borsa di queste figurine tenne banco per qualche tempo, causando intoppi alla circolazione nei dintorni della via dei Condotti, e mettendo in giro quantitativi folli di danaro e di oggetti di scambio. Un caposezione del ministero delle Finanze, nel 1935 dette per il Feroce Saladino le fedi d'oro sua e di sua moglie. E si guardò bene dal disfarsene quando il Feroce era ulteriormente cresciuto di quotazione. Fulmineamente il corso delle Perugina passò di moda e il cavalier Calantirelli si mordeva per disperazione le mani, quasi fossero di cioccolata umbra. Ma la storia ha le sue compensazioni. Nel 1944, sottoposto ad epurazione, il cavaliere dichiarò che dieci anni prima, rifiutandosi di darle alla Patria fascista, sua moglie e lui si erano ostentatamente disfatti delle fedi. E fu discriminato ed anche promosso. Tornando al nostro ragazzo, quando al liceo sentì la teorizzazione del valore dato dalla quantità dei beni si rallegrò con se stesso per aver preceduto la conoscenza della teoria: nei suoi scambi esclusivamente filatelici egli non aveva mai concesso francobolli frazionati contro francobolli interi ed era riuscito a raccogliere gli spezzati di quasi tutti i valori conosciuti. Al termine di alcuni anni di paziente e fortunato lavoro, gli erano rimasti i giornali dell'intera annata 1870 (con l'ultimo trimestre curiosamente mescolato da bolli pontifici a stralcio e contrassegni della Roma «italianizzata»). Tutte le altre annate erano andate in altre mani, ma in compenso aveva un bel lotto di lettere dei sudditi papali, anche con quel cinquanta baiocchi e quello scudo che sarebbero divenuti nel dopoguerra oggetto di impossibili desideri. * ★ Ma non tutti gli scambi erano stati fatti con l'acquisizione di altri francobolli. Per un caso barattò una trentina di giornali affrancati con una cassetta di piccolissimi saponi provenienti forse da mille alberghi di tutto il mondo. Era il frutto della mania di un portiere dell'Excelsior, alla morte del quale il suo legittimo figlio ed erede l'aveva considerato niente più che uno stupido impiccio. Il commento in famiglia a questa permuta fu ancor più irridente di quello riservato alla « perdita di tempo » con i francobolli. Venne poi la guerra. Il sapone diventò merce introvabile, e con pazienza certosina il pallido collezionista sostituì le relative tavolette con minuscoli fac-simile di legno salvando cosi l'esterno della collezione e mettendosi in grado di non dover aspettare l'arrivo del colonnello Polet- ti per poter fare un bagno regolare. Si astenne dalla facile ritorsione polemica con i familiari i quali avevano del resto diviso con lui il vantaggio del suo innocuo passatempo. Ma quando i giornali cominciarono a parlare del boom filatelico, i predetti familiari misero presto in evidenza che la zia — nel frattempo passata a vita presuntivamente migliore — era stata un « bene comune » e che quindi avevano tutti in parità diritto a fruire del suo asse ereditario (niente di menol. Bizzarra come era, la rivendicazione non ebbe seguito. Accadde invece un fatto imprevisto. Allestendosi a Palermo una rassegna internazionale per le celebrazioni risorgimentali del 1859, la Regina d'Inghilterra impressionò i visitatori facendo esporre ogni giorno una busta timbrata in partenza dalla Sicilia esattamente cento anni prima. Forse a mettere insieme il Commonwealth non sarebbe stato sufficiente un povero giovane romano, ma la Corona britannica non deve darsi arie per collezioni a calendario tipo 1859. D'altra parte le collezioni stesse resistono più degli Imperi. Giulio Andreotti (Da un romanzo autobiografico in via di elaborazione, intitolato « Il buono cattivo »)

Persone citate: Arnaldi, Dina Galli, Giulio Andreotti, Greco, Pio Ix, Polet, Saladino

Luoghi citati: Ginevra, Inghilterra, Palermo, Sicilia