MESSO AL BANDO DA CARTER NEGLI IMPIEGHI CIVILI di Aldo Rizzo

MESSO AL BANDO DA CARTER NEGLI IMPIEGHI CIVILI MESSO AL BANDO DA CARTER NEGLI IMPIEGHI CIVILI La disputa sul plutonio L'America vorrebbe che anche gli alleati vi rinunciassero - Ci sono esigenze legittime di frenare la proliferazione atomica Ma resta il sospetto che, puntando sull'uranio arricchito, si voglia scoraggiare una tecnologia dove l'Europa è all'avanguardia 11 16 luglio 1945, ad Alamogordo, poco prima che la bomba sperimentale esplodesse, Robert Oppenheimer era così teso che i suoi compagni credettero che stesse per avere una crisi di nervi; Enrico Fermi, con una calma allucinata, si domandava ad alta voce quante probabilità ci fossero che l'esplosione incendiasse la atmosfera. L'era atomica cominciò fra presagi di apocalisse. Un anno dopo, la legge McMahon escludeva tassativamente ogni impiego commerciale della nuova fonte di energia, considerata un assoluto tabù militare, e addirittura prevedeva la pena di morte per i violatori del tremendo segreto. Ma poi il segreto non fu più tale, perché se ne impadronirono i russi, e d'altra parte si diffuse la convinzione che la tecnologia nucleare avesse una grande potenzialità industriale, pacìfica. Il programma eisenhoweriano «Atomi per la pace» nacque all'insegna di un versetto del profeta Isaia: « Ed essi trasformeranno le loro spade in vomeri ». Trentanni dopo Alamogor- do, ventanni dopo « Atomi per la pace », 194 reattori nucleari sono in funzione in 20 Paesi, e almeno altri 400 sono programmati per il 1985, in un totale di 39 Paesi. Ma l'auspicio di Eisenhower si è intanto rovesciato. Ora si teme che i vomeri possano trasformarsi in spade, che cioè chi ha la tecnologia e gli impianti nucleari per produrre energia ad uso industriale possa anche fabbricare la bomba. E questo accade mentre il mercato energetico conosce la più grave crisi della storia, per effetto della stretta petrolifera, tra l'esplosione del prezzo e i dubbi sulla durata delle riserve del sottosuolo. La minaccia della proliferazione nucleare si mescola con quella di una carestia energetica. E' forse il dramma più complesso dell'età contemporanea. E' anche uno dei temi del « vertice » economico occidentale che comincia sabato a Londra, giacché Jimmy Carter ha deciso di fare della questione nucleare uno dei temi qualificanti della sua presidenza. Come ha detto nell'intervista al nostro supplemento « Europa », « il processo di arresto della diffusione della capacità nucleare a scopi bellici deve pur cominciare da qualche parte, e nella istoria della nostra nazione è successo che toccasse a me cominciare ». Ma se nessuno contesta, in Europa e in Giappone, i rischi gravissimi della proliferazione, sono acuti i timori che, in conseguenza dì tali rischi, si blocchi l'accesso a una fonte vitale di energia in Paesi che non hanno risorse alternative, come gli Stati Uniti il carbone, a parte il molto, pur se insufficiente, petrolio. E' una materia ingarbugliata, e bisogna provarsi a dipanarla, o almeno a chiarirla. Le forniture La « bomba Carter » è esplosa il 7 aprile con la dichiarazione del presidente che bandiva l'impiego del plutonio dalla produzione nucleare americana a scopi pacifici, in quanto troppo esposto al pericolo di favorire la proliferazione degli armamenti atomici. Le centrali americane avrebbero im- piegato solo uranio arricchito. Non c'era un invito ai partners europei e giapponene a fare altrettanto, ma esso era implicito. D'altra parte, l'America aveva sospeso, mentre era in atto il riesame della sua politica nucleare, anche le forniture di uranio. La sospensione sarebbe durata come misura coercitiva nei confronti di chi non avesse accettato il bando del plutonio? Il 27 aprile. Carter, in un disegno di legge inviato al Congresso, ha dissipato il dubbio, ma solo in parte. Ogni fornitura di uranio superiore ai 15 chilogrammi e ogni cessione di impianti di arricchimento e di ritrattamento del materiale nucleare saranno sottoposti alla personale autorizzazione del Presidente. Qui è il caso di ricordare, per chi non la sapesse, la differenza fra i reattori nucleari ad uso pacifico. Essi sono di due tipi fondamentali: i reattori « provati » (quelli, diciamo così, convenzionali, a quasi esclusiva tecnologia americana), i quali impiegano uranio leggermente arricchito, e i reattori «veloci» (nei quali è la tecnologia europea all'avanguardia), che si alimentano con uranio naturale e plutonio: quest'ultimo, rarissimo e carissimo, non esiste in natura, è il risultato di un trattamento artificiale dell'uranio. La caratteristica dei reattori veloci è nel fatto che essi, « ritrattando » le scorie della produzione, forniscono nuovo plutonio, cioè nuovo combustibile, più di quanto non ne brucino, quindi sono, come si dice, « autofertilizzanti », cioè si alimentano da sé. La vera novità della tecnologia nucleare industriale è chiaramente qui, ed è qui che si è indirizzata l'offensiva di Carter. Il punto di vista di europei e giapponesi si può così riassumere. Nel 1985, secondo i più recenti studi dell'Ocse, ì Paesi industriali non comunisti avranno bisogno d'importare 35 milioni di barili di petrolio al giorno dai 13 Paesi dell'Opec. Questi, per loro conto, ne consumeranno almeno 4 milioni e 300 mila, sempre al giorno. E fa circa 40 milioni. Ora la produzione massima prevista dall'Opec stessa per il 1985 è di 45 milioni di barili al giorno, dunque il margine dì sicurezza è esiguo. Non solo: i dati dell'Ocse presumono che, sempre fra otto anni, i Paesi industriali siano in grado di produrre energia elettronucleare per 325 mila megawatt; se ciò non accadesse, sarebbero necessari altri 9 milioni di barili di greggio al giorno. Saremmo oltre la disponibilità massima dell'Opec. Dice in particolare il tedesco Guido Brunner, commissario all'energia della Comunità europea: « Se guardiamo agli Anni Ottanta, è chiaro che avremo in Europa una difficile situazione energetica. Non potendo sfruttare il carbone come gli Stati Uniti, dovremo contare sempre di più sull'energia nucleare. Dato che nel 1985 avremo bisogno di 20 mila tonnellate di uranio all'anno e che l'uranio allora sarà ancora più caro, noi non possiamo rinunciare al ritrattamento, come invece può fare l'America». Il ritrattamento è appunto la tecnica dei reattori veloci con la quale si riottiene il plutonio, senza dipendere dall'uranio arricchito, che bisogna importare dagli Stati Uniti per il 95 per cento. Patti violati Secondò lo svedese Sigvard Eklund, direttore generale dell'Aiea, l'organismo delle Nazioni Unite per l'energia atomica, la politica di Carter viola la lettera e lo spirito del Trattato di non proliferazione firmato nel 1968, pur avendo come obiettivo quello di fermare la proliferazione stessa. E Achille Albonetti, uno dei massimi esperti nucleari italiani, dirigente del Cnen e governatore per l'Italia dell'Aiea, precisa il concetto in questi termini: «Il Tnp nacque fornendo ai Paesi che rinunciavano all'opzione nucleare militare una triplice garanzia: quella dell'universalità delle adesioni, quella dell'impegno al disarmo da parte dei Paesi già nucleari, e infine — articolo 4 del Trattato — quella che, in cambio di controlli e accertamenti vari, sarebbe stata resa possibile la più ampia libertà di accesso alle tecnologie nucleari ad uso pacifico. Le prime due garanzie non sono state evidentemente rispettate, e neppure la terza ». Ha scritto ZEconomist di Londra: « Il trattato di non proliferazione conteneva di per sé, inevitabilmente, un elemento di paternalistica presunzione da parte delle potenze nucleari militari. Esse sole sono mature e re¬ sponsabili. Le armi atomiche sono solo per questi modelli di perfezione, non devono andare in mano ai bambini. Ora l'America vorrebbe estendere questa tesi alla "tecnologia sensibile" atta a produrre la più probabile prossima fonte di energia del mondo, perché tale tecnologia potrebbe aiutare le dita infantili ad arrivare più rapidamente al grilletto ». E tuttavia la stessa rivista ammette che Carter ha avuto ragione a porre il problema, perché il problema esiste ed è sempre più grave. Il problema, s'intende, della proliferazione nucleare. Questo problema viene ora comunemente diviso in due: microproliferazione e macroproliferazione. La prima si riferisce alla possibilità che gruppi terroristici s'impadroniscano di una quantità di materiale fissile sufficiente a fabbricare una bomba rudimentale, con la quale ricattare questo o quel potere costituito. La seconda è invece la diffusione, diciamo così, normale dell'armamento nucleare in Paesi che ne erano prima sprovvisti (fra i più indiziati, o comunque più preparati tecnicamente, Brasile, Sudafrica, Israele, Egitto, Pakistan, Svezia, Spagna e così via). Terribile veleno La domanda è semmai perché, per fronteggiare l'una e l'altra. Carter colpisca in particolare il plutonio, dando meno importanza all'altro combustibile primario, che è l'uranio arricchito. E' per una maggiore «agibilità » del plutonio? I critici di Carter fanno osservare che esso, proprio per la sua straordinaria, terrificante tossicità (è 20 mila volte più potente del veleno di un cobra, pochi milligrammi bastano a provocare una morte rapida), è praticamente inaccessibile a terroristi che non siano soprattutto degli aspiranti suicidi. Ma un rapporto della «Ford Foundation» sul terrorismo atomico afferma che il plutonio di per sé, non mischiato ad altri materiali radioattivi, è trasportabile sema rischi eccessivi, se contenuto in una scatola a tenuta d'aria. Comunque il plutonio ottenuto dal ritrattamento dei reattori veloci non è ancora adatto alla fabbricazione di una bomba, avrebbe bisogno di altri processi. Il pericolo vero in questo campo (a parte i furti, come quello clamoroso sulla nave AnversaGenova, che comunque trasportava uranio) è piut¬ tosto nell'assalto di centrali nucleari, con la minaccia di farle saltare, con relativa fuoruscita di materiali radioattivi, eccetera, ed è un pericolo dal quale ci si difende con adeguate misure protettive. Quanto alla macroproliferazione, la tecnologia militare del plutonio sembra in effetti più ovvia di quella che usa l'uranio arricchito. Ma l'arricchimento dell'uranio dì per sé è ormai una pratica relativamente diffusa, e l'Italia, per esempio, partecipa per il 25 per cento all'» Eurodìf » con francesi e belgi (s'intende, a scopi pacifici: il potenziale energetico dell'Eurodif è calcolato nell'equivalente di 150 milioni di tonnellate dì petrolio all'anno). Così negli europei è quasi inevitabile alla fine il sospetto che nella politica americana ci sia, sì, l'obiettivo di frenare la proliferazione, ma anche di scoraggiare quella tecnologia del plutonio nella quale l'Europa è in testa, e di salvare quindi ì vantaggi commerciali della tecnologia americana, fondata sull'uranio arricchito. Di nuovo, ciò ha un sottinteso positivo: controllando direttamente il commercio nucleare, l'America può più agevolmente frenare la proliferazione, e per esempio impedire agli europei di vendere impiantì completi a Paesi del Terzo Mondo. Ma il socialdemocratico tedesco Egon Bahr giudica che la soluzione non possa comunque essere in « una nuova forma di colonialismo », ai danni insieme dell'Europa e del Terzo Mondo. Dunque, riassumendo, una esigenza legittima, e anzi vitale per tutti, giustamente fatta valere da Carter, si scontra con interessi più particolari, ma altrettanto vitali. Gli strumenti di pressione di cui dispone l'America sono chiaramente notevoli, ma la partita è aperta. Quel che soprattutto è mancato finora è stato il coordinamento, la discussione comune, l'analisi congiunta degli interessi generali e di quelli particolari (gli europei e i giapponesi rimproverano a Carter di aver comunicato loro la dichiarazione del 7 aprile con solo 48 ore di tempo per osservazioni e rilievi, troppo poco per pensare d'influire su una decisione americana evidentemente già presa). Il coordinamento, il confronto pacato, però, non hanno alternative accettabili: e cominceranno sabato a Londra, si spera. Aldo Rizzo

Persone citate: Achille Albonetti, Egon Bahr, Eisenhower, Enrico Fermi, Guido Brunner, Jimmy Carter, Robert Oppenheimer