Taccuino Mezza paga

Taccuino Mezza paga Taccuino Mezza paga LEONARDO SCIASCIA Carmelo Miccichè — Carmelino come lui usava chiamarsi nelle sue opere — nacque a Caltanissetta il 10 marzo 1898. Il padre, ferroviere, morì che Carmelino era in quarta elementare: e dunque « il destino avverso e l'estrema povertà della famiglia lo condussero a lavorare come caruso nelle miniere di zolfo di Caltanissetta ». Vi lavorò per sette anni. Fu poi assunto come manovale nelle ferrovie, lavoro cui tentò di sfuggire entrando prima in convento e poi arruolandosi nelle guardie di finanza. Era arrivato al grado di brigadiere e sperava di diventare ufficiale quando venne mobilitato, 1917, per il fronte. Lo mandarono in Albania, dove « fu assalito più volte da febbri malariche che gli produssero un indebolimento generale e quindi un esaurimento nervoso ». Congedato con pensione, si diede « anima e corpo alla propaganda fascista ». Nel 1925 — « calma relativa era sopraggiunta ai suoi nervi scossi » — gli venne l'idea di diventare avvocato. Conseguì nel '28 la licenza liceale e nel '32 la laurea in legge: con una tesi sulla figura del capo del governo nel nuovo diritto pubblico italiano che diede alle stampe sei anni dopo dedicandola a sua eccellenza Benito Mussolini magnifico duce d'Italia conquistatore e fondatore del secondo impero di Roma; e con fedeltà assoluta. Ma così assoluta la fedeltà non fu, se sei anni dopo abbiamo sentito da lui i cinque punti per cui il fascismo doveva necessariamente rovinarsi e rovinare l'Italia. Di questi cinque punti crediamo non ci sia traccia nelle sue opere a stampe' e manoscritte che si trovano nella Biblioteca Comunale di Caltanissetta. Venivano formulati così: una frase di Mussolini, una pausa di maliziosa solennità; poi, con tono di sommesso e sbrigativo buon senso, la battuta di Carmelino che inesorabilmente demoliva l'affermazione di Musso: lini. Condannando il fascismo, indicandone i cinque capitali difetti, Carmelino aveva elaborato una teoria e fondato un partito. Il partito lo aveva denominato Pace e Progresso; la teoria — mai citata senza l'attributo di gloriosa o di-santa — era quella della « mezza paga ». Tutti gli italiani, diceva Carmelino, dovevano ave¬ re una mezza paga: dalla culla alla tomba. Intera, quando fossero arrivati in età di lavoro e fossero riusciti a trovarlo; mezza, quando non ancora o non più in grado di lavorare o disoccupati. Predicata nelle piazze di Caltanissetta, tra il '43 e il '44 questa teoria diede qualche preoccupazione alle truppe americane di occupazione. Scoppiò un tumulto popolare: sedato con un certo divertimento da parte dei numerosi MP, gli uomini della polizia militare, che inseguirono Carmelino e i suoi proseliti per strade., portoni e negozi con due uscite — come in una comica di Charlie Chaplin —. Poi Carmelino spostò a Roma la sua attività. Monarchico di fedeltà assoluta voleva che Umberto di Savoia, luogotenente, facesse propria la teoria della mezza paga e varasse un governo presieduto da Nitti e con Carmelino sottosegretario all'alimentazione. Ma lasciamo che altri, con più fervore, cura et studio ne racconti le gesta. Noi ci fermiamo a segnalare le due opere più importanti, nella speranza che qualche sagace editore si senta sollecitato a ristamparle: « // sogno di Carmelino ovvero il sogno della pace universale (1951) e Carmelino il cavaliere dell'ideale (1959). Vi è prefigurata l'Italia della « mezza paga » quale l'abbiamo vista noi realizzarsi, vi sono affermazioni e intuizioni che senz'altro possiamo dire mirabili. Negli ultimi anni della sua vita, Carmelino era a momenti preso dà scetticismo, faceva ironia su se stesso e il partito che aveva fondato. Riceveva notizie di sezioni che dovunque si aprivano, di folle che accorrevano ad iscriversi. « Ma chi sa se è vero », diceva. Non aveva più voglia di muoversi, di andare a verificare. L'esortazione del dottor Salvatore Venti, suo ammiratore e discepolo — « Ai tuoi seguaci addita la via retta, / la pace ed il progresso a tutti dona, / corri, non più tardar: Roma Ti aspetta! » — lo lusingava ma non lo muoveva. Roma, nonché aspettarlo, era già sua: ma Carmelino non lo seppe. Noi, come De Sanctis quando interruppe La storia della letteratura italiana per dar gloria al Machiavelli della breccia di Porta Pia e di Roma capitale d'Italia, possiamo oggi dire: sia gloria a Carmelino.