Ai tifosi manca persino il desiderio di fischiare

Ai tifosi manca persino il desiderio di fischiare Ai tifosi manca persino il desiderio di fischiare (Dal nostro inviato speciale) Milano, 17 aprile. Povero Milan, ancora fischi e sberleffi. Gli applausi sono tutti per i giocatori del Foggia, che alla fine alzano le braccia al cielo senza rendersi conto, lì per lì, che a perdere un punto sono stati proprio loro. Puricelli esulta rivolto alla tribuna. Rocco saluta l'arbitro e calca il cappellaccio sugli occhi, cinquantamila persone esprimono sonoramente, e nell'unica maniera possibile, la loro disapprovazione Il Milan non c'è, non ha gambe, cuore, anima. Viene a San Siro per una partita drammatica quasi, unica nella sua lunga e gloriosa storia, perché qui si tratta non di onori, bensì di sopravvivenza, e pare estraneo a tutto, incapace di lottare, rassegnato a un ruolo che il suo paziente e magnilico pubblico mostra di non meritare per nulla: sull'erba di San Siro la squadra rossonera pareggia un incontro im- portante. Rocco dice, anche, che — In fondo — è un punto guadagnato, eppure il distacco tra tifosi e giocatori mai come oggi raggiunge dimensione cosi acuta e disperante. Sugli spalti il tifo è contenuto e diverso, logico, visto II genere di spettacolo che va in scena di solito, ma dietro silenzi e Incitamenti timidi stanno paura e rammarico, rimpianti, speranze frustrate, amore che comunque non viene mai meno. Sotto uno striscione, su in curva, una ventina di irriducibili tentano cori subito spenti, un capopolo in maglietta azzurra dirige la sua patetica banda, un tamburo, uno solo, batte lento e sordo come un palpito di cuore, a tratti, quando la squadra offre un'occasione minima, spunta anche una bandiera, un teschio In campo rossonero che oggi non fa paura a nessuno. In questa città rigurgitante di auto e di folla, dove Fiera, Ippica e calcio creano ingorghi e fanno saltare I semafori, in questo splendido stadio carico di emozioni latenti, il Milan è assente e stranissimo. I motivi sono tanti, più volte analizzati, ripetuti, sofferti: una società in disgregazione, errori tecnici e di conduzione, componenti psicologiche In questo momento di crisi diventano ancora più acute, paura di perdere, disabitudine a battersi per non cadere nel vuoto, sottile angoscia mentale che arrugginisce muscoli e cervello. Tutto vero; eppure, c'è un altro problema, che adesso può forse sembrare di secondo piano, ma che è stato in passato importantissimo per le sue conseguenze. Nel tentativo di sottrarre la squadra all'abbraccio spesso sollocante dei suoi tifosi, quando il Milan era bravo e forte, si è deciso di portare tutti a Milanello, oasi di pace e di verde, ma anche distacco pericoloso da quel calore emotivo che deve stare alla base di ogni sport: I giocatori non abitano nemmeno più in città, I loro sostenitori non li vedono mai. San Siro diventa un luogo di lavoro che non regala brividi o passioni particolari, e anche il professionismo, la serietà, non bastano- più quando sì tratta di trarre dal cuore le forze che vengono meno alle gambe. Cosi il Milan, teso e preoccupato oltre misura, ma nel contem¬ po incapace di creare e ricevere passioni dal suo tifo, lascia sensazioni doppiamente amare e tradisce doppiamente quanti dell'amore verso una squadra di calcio fanno ancora una ragione di vita. Di fronte a questa realtà senza acuti, il pubblico milanese mantiene atteggiamenti di rassegnata pazienza: non un fischio all'inizio, quando ce ne sarebbe stata anche ragione, e solo con il passare del tempo e in maniera proporzionale al peggioramento del gioco, qualche episodio d'insofferenza, tipo il diniego a restituire il pallone finito in gradinata, ma per il resto un pubblico estremamente civile e responsabile. Alla fine i giocatori sono stati fischiati, è vero, e poi sono stati derisi da un centinaio di persone che attendevano il pullman della squadra davanti al piazzale, ma i richiami riguardavano la professionalità degli atleti, le preoccupazioni sul futuro della società, tutte cose legittime per uno che paghi ogni domenica il biglietto. Dentro gli spogliatoi, invece, malgrado musi lunghi e volti bui. le dichiarazioni sono sempre le solite: l'autocritica è concetto quasi sconosciuto, prima vengono le giustificazioni, lo gamba che faceva male, la contrattura, il dolorino qui, mai uno cui venga in mente di mettere in discussione la legittimità del suo stipendio. L'unico che riesca a strappare un sorriso, anche se lo fa inavvertitamente, è Rocco, bontà sua: esce dallo stanzone e scappa via, letteralmente inseguito dai giornalisti, braccato agli angoli del corridoio, lui davanti con il collo torto e gli altri dietro con I taccuini. Ogni tanto è bloccato e butta lì due battute, anche oneste, ma il suo merito più grosso è forse quello di correre più velocemente di quanto non abbiano fatto in campo i suoi ragazzi. Carlo Coscia

Persone citate: Carlo Coscia, Puricelli

Luoghi citati: Milano