Elogio del lavoro manuale

Elogio del lavoro manuale TUTTI MEDICI, AVVOCATI, INGEGNERI, ARCHITETTI? Elogio del lavoro manuale Lo si considera ancora degradante perché visto secondo un'ottica piccolo-borghese - La cultura è necessaria, ma non vi è nulla di umiliante nello studiare fino a una certa età e poi entrare in fabbrica o in una bottega artigiana - Nella scuola di massa, che pure ha eliminato ingiustizie, si è creato un grosso equivoco - Quando l'egalitarismo artificioso diventa "somma ingiustizia" Ve una piccola « curiosità » che riguarda la mia persona, e che rimbalza da un giornale all'altro, negli articoli che mi vengono dedicati ogni tanto, quando esce un mio nuovo libro. Si dice che 10 sia un po' falegname, e che mi sia costruito alcuni mobili di casa. Al contrario di ciò che accade solitamente, questa voce non amplifica 11 vero, ma lo rimpicciolisce. In realtà io fin da bambino sono stato un costruttore. Ho fabbricato cose che oggi, a ripensarle, mi paiono incredibili. A dieci anni bucavo e piegavo lamiere per farne dei pezzi da arricchire il meccano che i nonni mi avevano regalato. L'estrema esattezza era d'obbligo, i buchi dovevano corrispondere perfettamente, altrimenti il pezzo sarebbe stato inservibile. A dodici o tredici anni costruii una carriola, con la ruota cer- chiata e i raggi di legno: un lavoro d'incastri di perfezione, da carpentiere provetto. In epoche diverse fabbricai infinite cose: un numero impressionante di giocattoli, carretti, tavoli, balestre, scaffali per biblioteche, presepi artistici, con i quali vinsi premi regionali e nazionali. Scolpii il legno e il gesso. Negli anni del liceo e dell'università passai intiere estati a segare legna da ardere, di cui allora mio padre gestiva una rivendita. Oggi, con mio rammarico, non mi resta più tempo da dedicare a queste cose. Ma non v'è dubbio che io sia rimasto lo scrittore-artigiano, che costruisce i suoi romanzi all'antica, con lo stesso spirito e lo stesso amore con cui i suoi avi operai e contadini lavoravano i campi o battevano il ferro. Sento fino in fondo di appartenere a un popolo di costruttori, di artigiani e contadini. I miei libri rappresentano una cultura la cui vocazione massima è quella di costruire: una cultura sobria, anticonsumistica, discreta, creativa, totalmente umana, allergica a tutte le sofisticazioni, le rabbie e i furori distruttivi che dilaniano l'uomo di oggi. Se mi guardo attorno, ho la sensazione che questa civiltà, che amo e che mi esprime, sia quasi scomparsa. Che si sia rifugiata nel Friuli, nell'Istria di Tomizza, nel Cadore di Buzzati, nel Piemonte di Fenoglio o di Arpino. in piccole isole di campagna o di collina, raggiunte dall'ombra imponente delle Alpi. Dove sono, oggi, i ragazzi che amano il lavoro manuale e che sanno costruire qualcosa? Sembra una specie del tutto estinta, appartenente a lontane epoche geologiche, come il dinosauro o il mammuth. Oggi i bambini giocano con orribili oggetti di plastica, che recano in sé non il sigillo della creatività dell'uomo, ma piuttosto il segno della scomparsa e della morte di essa. Giocattoli stampati da presse, che subito si guastano e non si possono riparare ma che, per compenso, sono indistruttibili, e quindi destinati a deturpare a lungo i fossati e i ruscelli, se non riescono a imboccare la via dell'inceneritore. Oggi perfino le fionde, gli archi e le cerbottane si comprano nel negozio di giocattoli o al supermercato. I bambini di oggi in genere non sanno far niente. Chi li osserva si accorge che spesso il loro gioco consiste soltanto nel distruggere qualcosa. Ouando hanno guastato un giocattolo non provano affatto, come accadeva ai nostri tempi, il rimorso e il complesso di colpa per il danno causato. V'è in loro una preoccupante insensibilità. Oggi sembra ai ragazzi, e persino ai giovani, che tutto piova gratis dal cielo, che nulla costi fatica, ansie, denaro, materia prima. Che i supermercati, dove si trova ogni cosa, riprodotta in serie infinita, siano un prodotto della natura, come la foresta vergine o la fauna marina. Pare che il consumismo abbia ottuso nei ragazzi ogni capacità creativa, ogni stimolo a realizzarsi producendo. Si annoiano II destino di questi ragazzi è poi di affollare le scuole per diventare per lo più studenti annoiati, abili soltanto nell'inventare sistemi per lavorare il meno possibile. Stringi stringi, il famoso «nuovo corso» della scuola, comprese le assemblee, che in apparenza sono un perenne dialogo sui massimi sistemi della società, si riduce a un meccanismo per tagliar via qualcosa dei programmi, diminuire le ore di lezione, mascherare le defezioni dalle aule scolastiche con motidazioni ideologiche. Se consideriamo ciò che sta avvenendo nella scuola, dobbiamo constatare che la culturalizzazione di massa sta rapidamente conducendo a una situazione anomala e assurda, per una serie di manchevolezze, di pregiudizi, di impostazioni sbagliate, di sciocca retorica. La scuola di massa doveva servire, giu¬ stamente, a strappare il monopolio della cultura alle classi privilegiate, a soddisfare la sete di sapere delle classi subalterne. Ahimè, quante delusioni. Anzitutto, si è visto che quella sete era molto scarsa. Si è dovuto constatare con grande amarezza che eserciti di ragazzi del popolo sono entrati nelle scuole o nelle università non per avvicinare la cultura, ma soltanto per sfuggire al lavoro dei campi, delle botteghe artigianali o delle fabbriche. I pregiudizi Infatti in tutte le classi sociali esistono ancora secolari, forse millenari pregiudizi nei confronti del lavoro manuale. Già la Bibbia lo chiama «lavoro servile», ossia lavoro da schiavi. Lo si considera ancora degradante, umiliante, perché visto secondo un'ottica pìccolo-borghese, per non dire feudale. Certo, fino a pochi anni fa, quell'ottica era giustificata: l'artigiano, l'operaio, il lavoratore dei campi erano mal pagati e guardati come esseri inferiori. Ma ora le cose sono radicalmente cambiate. Oggi vi sono idraulici, elet¬ tricisti, imbianchini, piastrellisti, e via dicendo, che esercitando la libera professione guadagnano ciò che vogliono; le loro prestazioni sono ricercatissime, e per ottenerle ci vogliono lunghissime attese e anticamere. Perché dunque i loro figli sognano di arrivare al diploma o alla laurea che ne farà dei disoccupati, o dei grigi burocrati con stipendi da fame? Evidentemente nella scuola di massa si è creato un grosso equivoco, che bisogna chiarire al più presto. Bisogna spiegare ai giovani che la cultura è un'ottima cosa, anzi indispensabile, e che senza di essa si è dei cittadini soltanto u metà. Ma bisogna subito aggiungere che dopo i quindici o i sedici anni, la scuola deve diventare per forza selettiva, e aprire la sue porte soltanto ai più dotati. (Che la scelta si faccia sulla base del merito, e non del censo o della classe sociale, è cosa ormai tanto evidente che solo i ciechi o gli arrabbiati in malafede la possono negare). Bisogna chiarire che in una società sana ci deve essere un giusto equilibrio tra contadini, operai, artigiani e individui dediti alle attività terziarie. Che, per ragioni fatali, inerenti alla natura stessa (e l'economia è una delle poche cose con le quali non si può bluffare), non tutti possono fare i medici, gli architetti, gli ingegneri, gli avvocati. E ciò in tutte le società esistenti, liberali o socialiste che siano. Bisogna chiarire che non vi è nulla di umiliante nello studiare fino a una certa età e poi entrare in una fabbrica o in una bottega artigiana. Che, anzi, è segno di una vera crescita della società che vi siano operai i quali non leggono soltanto fumetti o pornoriviste, ma libri veri; che non entrano soltanto allo stadio, ma anche nei teatri. Tanti frustrati Bisogna chiarire die un laureato il quale non trovi un lavoro adeguato ai suoi studi sarà un frustrato, un uomo invelenito e mortificato per tutta la vita. Bisogna avere il coraggio di sgonfiare l'ultimo slogan degli studenti arrabbiati, che la «meritocrazia» sia classi¬ sta, perché conduce a fare una distinzione tra gli studenti. Tanto varrebbe accusare di classismo la natura, perché ci fa differenti. E bisogna avere il coraggio di dire chiaramente che creare un egaliiarismo artificioso dove la natura ha creato differenze non è giustizia, ma al contrario livellamento, e quindi somma ingiustizia. E' giunto il momento di imprimere una sterzata generale all'andamento delle cose, di ricreare l'amore per il lavoro, le premesse per una concezione costruttiva, creativa e non protestataria e vandalica dell'esistenza. Ma bisogna farlo subito, perché la scuola è ormai diventata una santabarbara, un deposito micidiale di infiammabili, dove già incendi pericolosi si accendono qua e là in continuazione. E' una battaglia sacrosanta cui tutti gli uomini di cultura dovrebbero sentirsi impegnati: una battaglia assai più urgente, più necessaria e più degna di tante altre crociate ■ bislacche, di cui molti di essi si sono fatti petulanti banditori. Carlo Sgorlon

Persone citate: Buzzati, Carlo Sgorlon, Fenoglio, Ingegneri, Stringi, Tomizza

Luoghi citati: Arpino, Friuli, Istria, Piemonte