Nostri glutei quotidiani
Nostri glutei quotidiani Nei manifesti murali, al cinema (anche alla tv) Nostri glutei quotidiani Chissà che qualche mamma non ci abbia già pensato, a raccomandare alla figlia in cerca d'impiego: « Lascia stare il sorriso, bambina, tira fuori il culetto... ». Tirar fuori nel senso di esibire, mettere in bella mostra, imporre con forza. La dolcezza dello sguardo, il fulgore di due pupille, un'occhiata assassina, virtù tanto celebrate dai poeti, sono state sconfitte da un nuovo attributo: il sedere. Oggi il messaggio che ci arriva, sempre più perentorio, è emesso da questa parte del corpo un tempo reietta. Possiamo constatarlo giorno per giorno: dalla moda alla pubblicità dei prodotti, dai manifesti stradali ai comportamenti. La guerra dei jeans (che da anni le varie fabbriche conducono senza esclusione di colpi) è tutta imperniata su questa immagine eloquente, vista di profilo, di sbieco o di faccia (si fa per dire), meglio ancora se dal sotto in su. Nel pacchetto delle « rivendicazioni » sociali, si poteva lasciar fuori il culo? La sua riabilitazione, cominciata nel linguaggio quotidiano, doveva giustamente essere anche iconografica. Bisogna dire che una cultura bigotta aveva provveduto, da secoli, a censurare anche la parola. Ricordo che tanti anni fa, quando facevo il correttore di bozze, una delle regole era il modo di dividere certe parole. Si insegnava, cioè, che « rinculo » e « stilografica » non dovevano mai andare a capo dopo « rin » e dopo « stilogra » per non creare capoversi imbarazzanti. E siccome ogni eccesso ne genera uno contrario, eccoci alla beatificazione del sedere, celebrato in lungo e in largo, eccoci alla magnificazione del gluteo, al peana della chiappa, unico autentico simbolo della nostra epoca. In passato, solo i poeti giocosi si permettevano di celebrarlo, soprattutto come provocazione verso l'ipocrisia e la retorica. Ma oggi? Oggi siamo alla retorica del culo. E se la poesia ritornasse stilnovista canterebbe certamente (lo fece in un sonetto il Belli da par suo) le grazie del deretano. Del resto, diciamo la verità, nessuno si permette pubblicamente di commentare un volto, ma un sedere sì. Diciamo « una culona » oppure un « culo basso » quasi affettuosamente, come fossimo a una esposizione canina. Se siamo in coda a uno sportello, o a un funerale, o in marcia in un corteo, il culo è II, sempre presente davanti a noi, caricp di tutti i suoi significati, estetici e psicanalitici, come un'ossessione'di cui non si possa liberarsi. La moda poi, col rinforzo della permissività in campo omosessuale, ha rilanciato anche il sederino maschile. E il cinema subito ci ha dato dentro con la solita pesantezza: primi piani di natiche scimmiesche proposte all'ammirazione delle platee, inqua¬ drature compiaciute di glabri glutei infantili, a cui il più delle volte è affidata tutta la poetica del film. I fotografi pubblicitari sono stati i primi interpreti di questa voga, perché la reclame di uno shampoo ha una presa ben più forte se l'immagine non si ferma alle spalle nude, ma va giù giù, fino al cosiddetto « solco della pesca ». Insomma questo culo, tanto disprezzato dai nostri nonni, sta per entrare fra le grandi icone del nostro tempo, non più come « l'altra » faccia dell'uomo, ma « la » faccia, l'unica vera possibile. E' un po' come se ci vergognassimo di avere occhi naso e bocca, e preferissimo esprimerci col di dietro. L'epopea della chiappa potrebbe anche avere questo significato. Anzi invito gli studiosi di semiologia a indagare in questo senso sulla fortuna della chitarra, ormai regina tra tutti gli strumenti musicali, la preferita dei giovani che forse ci vedono la compagna ideale. E il panettone? Credete si sia imposto sul piano nazionale solo in virtù del suo sapore? Ma è stata quella forma, ragazzi, a sedurci, tant'è vero che il panettone era nato appena appena tondeggiante, e la sua forma attuale, di bel sedere pienotto, che evoca salute e voracità, l'ha assunta in questi ultimi decenni. In fondo, guardate com'è in declino il seno. La civiltà moderna non lo tollera più, è un'appendice d'altri tempi. I sarti poi l'han sempre odiato, perché deformava i modelli che essi, quasi sempre invertiti, intendevano lanciare. Una ragazza se ha troppo petto se ne fa un, problema, invece è assolutamente disinvolta nel portare in giro un bòffice smisurato... I pittori, d'altronde, l'avevano scoperto e valorizzato fin dai tempi di Rubens. E se oggi il sedere torna a trionfare (dopo le mortificazioni dell'Ottocento imposte dall'uso della crinolina) potrebbe essere una forma di rivincita sull'austerità economica. Come dire: poveri di borsa ma ricchi di culo, al quale il nostro gusto di moderni ha ridato proporzioni apollinee. Basta vedere con che orgoglio e consapevolezza sculettano ora anche i nostri ragazzi. Ci volevano i pantaloni, è chiaro, portati unisessualmente, per valorizzare le natiche. Compresse nel tessuto, fasciate fino al limite di guardia, pronte a esplodere come ordigni, esse riassumono bene rutta una serie di tensioni, sociali e no. Ed è a questo simbolo che ogni giorno ci inchiniamo, reverenti nel recepire il messaggio. Finirà, già me lo sento, che andare a dar via il... (e tutte le altre espressioni italiote) perderanno ogni valore di anatema. Diverranno convenevoli di augurio, di benedizione. Non lo si dice già: un gran culo, per dire fortuna? Carlo Castellaneta
Persone citate: Carlo Castellaneta
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