La tentazione del femminismo armato

La tentazione del femminismo armato CRESCE LA RABBIA DOPO TANTI STUPRI, ANCHE PSICOLOGICI La tentazione del femminismo armato Occorre sfuggire alla trappola, cercare una risposta non violenta, ma ferma: la vera arma è la vigilanza collettiva Le dichiarazioni di guerra contro la donna si moltiplicano. Sappiamo ormai che non si tratta soltanto e semplicemente di violenza carnale. Per Claudia Caputi, la diciottenne violentata dai teppisti nell'agosto scorso sui prati della Caffarella alla periferia di Roma, la rappresaglia maschilista non si è fermata alle sevizie subite nuovamente dopo la prima udienza del processo. Il magistrato Paolino Dell'Anno l'ha accusata di simulazione di reato, l'ha trasferita dal' banco degli accusatori a quello degli accusati. C'è da meravigliarsi? La magistratura è ancora Io specchio della società di qualche decennio fa e applica concetti antiquati e scaduti di verginità e di onore. E' lo specchio delle definizioni reazionarie di Weininger: «Le donne non hanno esistenza né essenza; esse non sono, esse sono nulla...». Vanno negate come persona e come identità. Il magistrato giudica anche secondo una morale tradizionale e non strettamente in termini giuridici. Sta «da quella parte» perché è un uomo e ha il compito di difendere questa società a misura di maschio. Ha ragione il movimento femminista a collegare ruolo della donna e sua oppressione allo stupro. Questo non conosce classe sociale perché la donna è comunque preda del singolo e sempre più del branco e la rapina di sesso si ripete come un tenebroso safari cittadino con monotonia crescente ma non per questo meno allarmante e disgustosa. Né menti malate né raptus, come ne parlano gli egregi difensori degli stupratori nelle loro fiorite arringhe; il potere virile si è sempre affermato, seppure per varie intensità di gradi, con la forza fisica. E la ribellione va punita. La lezione deve servire a mantenere la donna assoggettata. Oggi la guerra è più evidente perché la donna sfugge alla privatezza, vive maggiormente fuori dalle pa reti domestiche: la violenza privata diviene cosi un fatto pub blico. La tortura quotidiana dello schiaffo, della percossa, dell'aggressività parolaia sfocia nel massacro sessuale sui prati, sui sedili delle auto, in squallidi scannatoi di periferia. Ma il femminicidio quotidiano non avrebbe da solo raggiunto queste drammatiche proporzioni se non fosse sorretto e agevolato dalla violenza delle istituzioni nei suoi anche meno palesi messaggi. C'è la violenza della repressione sessuale ed ecco Stefano Mecarini, sedici anni, che uccide a Tarquinia una signora, Anna Francia, schiacciandole la carotide con remo da gommone, dopo averla trascinata per i capelli nella stanza da letto in un tentativo di stupro. Il ragazzo piangendo si giustifica: «Credevo che così si fa all'amore». C'è la violenza dell'istituzione familiare ed ecco Maria Di Carlo, studentessa diciassettenne di Corleone, picchiata dal padre medico perché frequenta un circolo. Condannato, il medico afferma: «Vorrei che mia figlia fosse tutta mia; la prendevo a schiaffi perché è un mio diritto». C'è la violenza della medicina: Elena Cavinato, 37 anni, ricoverata nella clinica Mangiagalli di Milano, quinto mese di una gravidanza ad alto rischio, che muore improvvisamente perché non le è stato permesso di abortire. La violenza della legge: Patrizia Lucilla Stocco, tre anni, di Venezia, che i giudici vogliono sottrarre ai coniugi Scalabrin, genitori adottivi, perché troppo anziani. La violenza del potere in genere, che va da quel collocatore che fa spogliare la ragazza in cerca di lavoro ai poliziotti di Padova che trascinano una femminista in commissariato e la frugano fin nella vagina. La violenza politica: Lucia Carnevali, 17 anni, militante della Fgci a Roma, stordita da una bastonata, colpita con spranghe e calci da una squadraccia fascista, nove tagli al collo e al viso. E tutto si dilata e confluisce nella violenza del quarto e del quinto potere, della stampa e della televisione, nello stupro psicologico nascosto in certe notizie scritte e lette: da Emanuela Trapani con il flirt Vallanzasca allo speaker del Tg2 che sembra presentare con orgoglio il «primatista mondiale della violenza carnale, cinquanta donne in un i anno e mezzo». Basta, gridano le femministe, basta, non tolleriamo più, chiunque sia lo stupratore aspetti di pagare. La rabbia cresce, cresce la voglia di una risposta violenta a ogni nuova sopraffazione, oppressione, aggressione. C'è già l'esempio del commando antilavoro nero che ha lanciato la bomba-carta in una fabbrichetta milanese, e di quel collettivo autonomo che smembra il simbolo femminista (poi- lice e indice uniti a forma di va- gina) nel gesto da pistoleros, le dita come due P 38 puntate. Si preparano forse squadre di vigilantes, corpi di difesa armata? La tentazione esiste, fanno scuola i manuali di autodifesa e la stessa violenza di regime istituzionalizzata sembra fare scuola, approvare. Occorre sfuggire alla trappola, occorre una risposta non vio¬ lenta anche se ferma, piuttosto che l'uso di armi proprie o improprie. Dibattere e capire: Io hanno cercato di fare in assemblea le studentesse del liceo scientifico Donatelli a Milano per Carmen, la compagna quindicenne violentata. Il momento positivo è la vigilanza collettiva, è la ritrovata solidarietà tra donne, creare altri, tanti centri antiviolenza, organizzare gruppi di pressione perché la legge sia anche dalla parte della donna. Maria Adele Teodori

Luoghi citati: Corleone, Milano, Padova, Roma, Tarquinia, Venezia