Liberi in privato conformisti fuori

Liberi in privato conformisti fuori COME CI COMPORTIAMO IN ITALIA Liberi in privato conformisti fuori Giorgio Girard, professore di psicologia sociale all'Università di Trento, osserva in un suo libro su Conformismo e atteggiamenti politici (ed. Angeli) che il « clima socioculturale» del nostro Paese determina una duplicità di atteggiamenti per ogni problema che implichi una presa di posizione precisa. C'è un « atteggiamento privato »: ciascuno di noi vede il problema con i propri occhi in tutte le sue sfumature e ne dà istintivamente — in piena autonomia di giudizio — una personale valutazione. E c'è un « atteggiamento pubblico »: lo stesso problema viene semplificato nella sua struttura, sfrondato di particolari imbarazzanti e giudicato secondo un'ottica conformista, per aderire alle richieste ed alle valutazioni del « gruppo » a cui ciascuno sente di partecipare. Esiste cioè, secondo Girard, una forte « pressione al conformismo », che ostacola l'espressione « pubblica » di un giudizio « privato » sui fatti concreti, esercita una sorta di ricatto ideologico e limita un'« autonomia» di giudizio. Un esempio molto vistoso di questa « pressione al conformismo » la si ebbe, in anni passati (e la si continua ad avere, in qualche misura, anche oggi), nella « teoria degli opposti estremismi». Ad un'analisi storica ingenua — osserva Girard — gli « opposti estremismi » appaiono « fenomeni naturali di azione e reazione »: nel proprio atteggiamento «privato», vale a dire, non c'è persona (di « destra » o di « sinistra ») che non ne constati la realtà. Eppure nell'atteggiamento « pubblico » le cose cambiano. Da una parte (da « sinistra ») gli « opposti estremismi » non esistono (« la violenza è sempre fascista »). Dall'altra parte (da « destra ») la teoria degli « opposti estremismi » diviene uno strumento di manipolazione della realtà, perché, nella finzione di un comportamento « neutrale », propaganda « di fatto un atteggiamento conservatore »: rende generale (e generica) la protesta, accomuna in un'unica, catartica, condanna la violenza « nera » e « rossa », sublimando lo statu quo, glorificando le istituzioni, senza analizzarne le possibili storture (quelle proprio che in realtà determinano lo scatenarsi della violenza). Il negare la realtà degli «opposti estremismi» o il rimanere neutrali di fronte ad essa, indicano due atteggiamenti equivalenti, per quanto contrari, di « conformismo »: e conformismo pericoloso, se è vero che la violenza « nera » e « rossa » ha potuto prosperare in questi anni quasi del tutto indisturbata, fra balletti e balbettii di parole. Ma vai più il timore d'esser bollati per fascisti che il desiderio responsabile di dichiarare una semplice realtà, entro un margine di dubbio; vai più la comodità di usufruire di un argomento dialettico di facile presa, che impegolarsi in una rischiosa analisi dei problemi. * ★ Le idee pubbliche prevalgono, oggi, sul pensiero individuale: il conformismo culturale non è che una delle conseguenze, e nemmeno la più appariscente, del prevalere del momento collettivo su quello privato della nostra società. E ciò ha forse delle motivazioni psicologiche, oltre che sociolo giche. Il conformismo dà la sicurezza protettiva del gruppo, non fa correre pericoli all'individuo, non comporta il rischio di un suo scomodo ed improvviso « spiazzamento » In più offre il vantaggio notevole di una gratificazione: rassicura l'individuo con la forza dei più, lo consola della coscienza della propria debolezza e dei suoi limiti, lo preserva dalla sofferenza di una solitudine intellettuale, lo solleva dall'urgenza dei dubbi, distraendolo con il miraggio di una sicurezza di idee, nutrita di certezze prefabbricate. Di fronte ad un problema, ricco di sfumature, come quel lo dei « dissidenti » sovietici, per esempio, esiste un conformismo di tipo stalinista che nega il problema di per sé, etichettando i protagonisti del dissenso come provocatori «fascisti», come « spie dell'imperialismo »; ed esiste invece un conformismo « neutrale », che strumentalizza ogni episodio del « dissenso » come arma di propaganda conservatrice. L'uno e l'altro atteggiamento conformista si basano su una cosciente manipolazione dei fatti, che risponde ad una precisa logica di potere, qualunque sia la forma in cui si esprime Un quotidiano conservatore (anche se si dichiara « neutrale »), come il « Tempo » di Roma, per esempio, non si preoccupa di indagare quali siano le ragioni politiche reali dell'espulsione o della carcerazione dei dissidenti russi, considerandole nella loro complessità, allo stesso modo in cui le reali ragioni della rivolta ungherese non interessavano anni fa all'« Unità ». Nell'una e nell'altra prospettiva si tende alla semplificazione: ci si preoccupa di confezionare immediatamente una verità, per eliminare subito ogni margine di dubbio e di incertezza. Così oggi, per fare un altro esempio vistoso, sul problema delle « lotte » studentesche, non c'è lettore che non sappia — con una buona percentuale di probabilità — quello che troverà scritto sul « Giornale » o su «Lotta continua»: sicché l'esercizio di lettura si ridurrà per qualcuno forse ad un vero e proprio quotidiano esercizio di gratificazione, mai invece, per i più, ad uno stimolo alla chiarificazione ed alla discussione. I diversi «conformismi» del « Giornale » e di « Lotta continua » hanno certamente una loro logica rispettabile: rispondono ad un dichiarato punto di vista. Meno rispettabile invece è il conformismo (più ambiguo) dei giornali televisivi, che usano (grazie al potere che hanno) una maggiore arroganza e una più sottile furbizia nel gestire le « idee pubbliche ». Una arroganza e una furbizia che costringono, di fatto, gli altri operatori dell'informazione alla prudenza, che li obbligano ad un tatticismo di parola e di comportamento (quasi ad un patteggiamento), quando non li esasperino in qualche (miglior) caso ad una presa di posizione, spesso aggressiva ed istintiva. In ogni modo negano quasi del tutto la possibilità — oggi — di esprimere in pubblico dubbi ed incertezze d'opinione, che potrebbero invece avere un effettivo valore di analisi ed una reale capacità costruttiva di fronte ai problemi. Cosi passa sotto un fuoco incrociato di irrisioni e di sorrisetti, di sberleffi e di imprecazioni, il « gesto » di Lama che affronta gli studenti del¬ l'Università romana: un gesto forse politicamente scorretto (ma in quale clima di rispetto delle parti?), certo tatticamente sbagliato, ma alla fine fuori da ogni schema opportunisticamente conformista, nella sua ansia di chiarezza: tanto scomoda nella sua genuinità da creare seri imbarazzi all'interno del pei. Mentre è difficile discutere in pubblico oggi, fino in fondo e senza ricatti o censure, l'isterismo ideologico degli studenti, il vittimismo politico delle femministe, pur apprezzando la loro creatività, come all'opposto, è difficile discutere il qualunquismo catastrofico di Montanelli, pur riconoscendone il buon senso. Giorgio De Rienzo

Persone citate: Giorgio De Rienzo, Giorgio Girard, Girard, Lama, Montanelli

Luoghi citati: Italia, Roma