"Sono uno che vive alla giornata,,

"Sono uno che vive alla giornata,, Sergio Cittì parla di sé e del suo nuovo film "Sono uno che vive alla giornata,, Non riesce a programmare il lavoro - Deve tutto a Pasolini ma anche Pasolini doveva molto alla sua intelligenza spontanea ■ Sta girando "Casotto" in cui lavora anche la minidiva Foster Roma, 20 marzo. Sergio Citti sta girando « Casotto » negli stabilimenti della De Paolis, sulla Tiburtina. Tra gli attori: Iodio Foster, la ragazzina di Taxi driver, Paolo Stoppa, Gigi Proietti, Ninetto Davoli, Michele Placido, Mariangela Melato, Flora Carabella, moglie di Mastroianni, Franco Citti, il fratello di Sergio, interprete di quasi tutti i film di Pasolini. « Casotto », lo spogliatoio comune dove si avvicendano i vari personaggi di questo film, racconta la cronaca di una giornata al mare: Teresina (Jodic Foster) è la ragazzina rimasta incinta non si sa di chi; i suoi nonni, Stoppa e la Carabella, cercano di « incastrare » Michele Placido, il cugino d'Abruzzo. A questo punto entra in scena Gigi Proietti. Il finale è a sorpresa. Fu proprio questa storia divertente raccontata da Sergio Citti una sera a cena a convincere il produttore Grimaldi a finanziare il film. E' il terzo che il regista gira. « Con Ostia (1970) ho scoperto me stesso; con Storie scellerate (1973) ho voluto scoprire il culo degli altri; con Casotto... vedremo che uscirà. Non si può dirlo prima. Solo la macchina da presa sa scoprire la verità con occhio spietato. Io non larei mai l'attore perché so che la macchina da presa rivela con crudeltà cosa c'è dietro una faccia, e tutti abbiamo qualcosa da nascondere ». Sergio Citti è nato e cresciuto alla Mammella, una borgata di Roma, tra l'Acqua Bullicante e Tor Pignattara. E' stato in quattro riformatori (Volterra, Bosco Marengo, Roma e Pisa) poi a Regina Coeli, « per furtarelii di poco conto: il ferro nei cantieri, il maiale alia suore del convento, le sigarette agli americani, un rubinetto dorato per fare un regalo a una ciumachella ». E' stato anche a Rebibbia (per guida senza patente) ma il carcere modello l'ha deluso: « Niente sbarre alle finestre, niente bocche di lupo, né tavolaccio, né bugliolo. Manca l'oppressione, la ferocia. La noia ammazza ». Quando aveva meno di venti anni, nel '50 (è nato nel '33) e stava col fratello a fare il bagno a fiume, a Ponte Mammolo, fece l'incontro che decise di tutta la sua vita, conobbe Pier Paolo Pasolini. « Er Pasòla, così lo chiamavamo noi nelle borgate, aveva la faccia tutta spigoli, gli occhi indagatori, pareva una madama ». Sergio Citti, che ha sempre avuto il gusto del linguaggio parlato, delle parole vere (« le raccolgo come la cicoria nei prati ») divenne subilo il consulente linguistico per il primo romanzo che Pasolini aveva già in mente, «Ragazzi di vita ». Lo fu anche per « Una vita violenta ». Inoltre Pasolini lo volle assistente alla regia in nove dei suoi dodici film, collaboratore alle sue sceneggiature. Ninetto Davoli ricorda Pasolini seduto davanti alla sua Olivetti, scrivere sotto dettatura di Citti, che camminava per la stanza. « Ho sempre vissuto alla giornata, lasciandomi vivere, andando appresso all'orologio » dice Citti. « Ma Pier Paolo mi spronava a fare, a scrivere, a girare io slesso le mie storie. Se non c'era lui a quest'ora invece di stare nel cinema stavo a Regina Coeli ». Pasolini diceva di lui: «£' la persona più intelligente che io conosca». E lo poneva tra Sandro Penna (la libertà, l'anarchia senza aggressività) e Moravia (la rapidità dell'intelligenza e il pessimismo). Parlava del suo sguardo spietato, cui nulla resiste di ciò che è ufficiale, rispettato. Della sua filosofia di vita, quella stoico-epicurea, che ha ignorato e snobbato per secoli il cattolicesimo. «Crede solo» diceva Pasolini «nelle donne e negli uomini che non credono, come lui, e che quindi vìvono nel mondo come in una ridicola mascherata». Il pessimismo dei suoi personaggi, assoluto e totale, consente loro di essere allegri. E concludeva: «E' questa ideologia senza incrinature che consente a questo regista non borghese e incolto — che ha rifiutato di diventare autodidatta — di essere, oltre che miracolosamente realistico, addirittura raffinato e elegante». Di differente opinione deve essere stato quel tassista che, l'altro giorno, dopo avergli dato un'occhiata, si è rifiutato di prenderlo a bordo della propria vettura. Il suo aspetto non è rassicurante agli occhi di un piccolo borghese. Lo chiamavano «er Pittoretto de la Maranella»: «pittore» a Roma sta per imbianchino. Questo ha sempre fatto, è stato il suo vero mestiere, prima che si occupasse di cinema. Oggi, a 44 anni, vive nell'entroterra di Fiumicino, in una casetta dove abita con la moglie svedese Anita, cinque cani, due gatti. Passa il tempo libero andando a pesca («sono bravo a pescare perché ho tanta pazienza»). Parla a voce bassa, un po' rauca, e sospira, come se ogni risposta gli costasse fatica e ne vedesse l'inutilità. Che cosa le ha insegnato Pasolini? «Non credo che nessuno possa imparare niente da un altro, che non sappia già. Il cinema non è una cosa che s'impara». Perche la chiamano regista naif? Perché so' stronzi». Salò era suo, come soggetto e sceneggiatura. Perché l'ha ceduto a Pasolini? «Perché io, essendo libero come mi sento, sarei stato una volta con le viuime, una volta coi carnefici (io prendo il mio piacere dove lo trovo). Invece questo era un film da difendere. Figurarsi che cosa avrebbero fatto a me, se ne fossi stato l'autore: mi avrebbero levato da mezzo. Altro che naif». Che pensa dei gruppi autonomi, dei ragazzi che contestano il sistema con le molotov? «Mi fanno più rabbia che pena. Che significa la violenza? Non dico di porgere l'altra guancia — che è un'altra forma di violenza, forse più terribile — ma andiamo, un po' di serietà. Per me questi ragazzi sono completamente strumentalizzati. Se qualcuno 10 decidesse, da un giorno all'altro andrebbero in giro a distribuire fiori e cioccolatini». Pasolini diceva che un tempo bastava passare una notte in giro per Roma per tornare a casa col materiale per un libro; mentre negli ultimi anni, diceva sempre Pasolini, i ragazzi si erano involgariti, non avevano più nulla da darti. E' cosi? «/ ragazzi sono finiti, sono vuoti. Non ridono più e nemmeno piangono. Non hanno sentimento, niente». Di chi la colpa? «Del consumismo. Ma anche dei padri, che non dovevano avere l'ambizione falsa di fare del figlio un professionista fallito, invece di un buon muratore. Quando i genitori vogliono vestire come il figlio e si mettono i suoi pantaloni... brutto segno». Quali sono le sue letture? «lo non ho mai letto per studiare. Ho preso a caso il primo libro dalla libreria di Pasolini, ed era Epicuro, la filosofia. Poi ho letto Platone, i dialoghi; Voltaire, 11 dizionario filosofico. Ho letto e riletto il Belli, i sonetti. E conosco tutti i libri di Pasolini, naturalmente». Sergio Citti, che è molto amico di Bernardo Bertolucci, non ha mai visto un suo film. Il fatto è che non va quasi mai al cinema. «Il film che piacciono a me non piacciono agli altri» dice. Qual è l'ultimo film che le è piaciuto? «Brutti, sporchi, cattivi. // pubblico non ha capito l'allegria dei poveri. Ho telefonato a Ettore Scola, il regista, e gli ho detto: Vorrei essere uno dei tuoi personaggi». Fabrizio Del Dongo